G31 Mellow Johnny


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[alert close=”no”]G 31 Austin (Tx) – La Grange (Tx) 101 km[/alert]

Diciamo che non è stata proprio una giornata di crisi, ma ci siamo andati vicino, e forse era anche da mettere in conto che prima o poi la fatica accumulata si sarebbe fatta sentire.

Solo che finora avevo fatto finta che la fatica non ci fosse e lei era stata al gioco.

In verità, oggi la tappa non era troppo difficile, a parte i soliti saliscendi di quello che qui chiamano the hill country, il paese delle colline, che mi perseguitano da qualche giorno, ma che per fortuna dovrebbero volgere al termine ben presto.

Purtroppo è il tempo che ci ha messo lo zampino ancora una volta: cielo grigio tutto il giorno, qualche accenno di pioggia, ma soprattutto vento da sud-est, che significa vento laterale o contrario per 100 chilometri su 101. Ed è un vento contrario che i ciclisti definiscono “ignorante”, perché non ti molla mai e alla fine ti sfianca i muscoli e, quel che è peggio, il morale. Hai voglia a riempirti di bevande isotoniche, barrette energetiche e noccioline assortite, ma alla fine della giornata sei cotto. O perlomeno, io ero cotto.

Ragion per cui, scrivo questo post, vado a mangiare un piatto di rigatoni all’amatriciana (sì, col piffero!) e vado a letto per recuperare.

 

Domani è un altro giorno, ma le previsioni danno di nuovo brutto, ed è inevitabile pensare alla eccezionalità del tempo: il Texas non hai mai, ripeto mai, visto tanta pioggia. Ieri ci sono state tempeste, grandine e tornado nel nord dello stato e in Oklahoma.

C’è una perturbazione che, neanche a farlo apposta, mi segue da quando sono entrato in Texas: mi sento molto Fantozzi con la sua nuvola da impiegato!

E a chi mi chiede notizie personali su dieta e altro, dico che a pranzo mi sono fermato da McDonald (ebbene sì), che era l’unica possibilità esistente in quel momento e che perlomeno serve una “insalata del Sudovest”, con pezzi di pollo grigliato, che è la cosa meno peggio sul menù. Stamattina, dato che il motel non offriva la possibilità di fare colazione (come spesso accade), mi sono fermato in un locale di Austin per un ottimo cappuccino, pane e marmellata.

Questo per dire l’imprevidibilità a cui bisogna far fronte sul piano alimentare. Cioè, per essere sicuri di mangiare quello che si vuole, occorrerebbe fare la spesa la sera prima e portarsela dietro.

Ma la sera prima si arriva magari a Uvalde, dove il negozio/ristorante più sfizioso che c’è è il frigorifero del benzinaio con i suoi panini di baloney (vedi G12) e formaggio ricostituito, che ti viene la gastrite solo a vederli.

Basta, mi sono sfogato e voglio parlare di cose belle, per cui torno indietro col pensiero a Austin, città piena di vita e di bella gente.

Ma dove va un qualunque ciclista di passaggio ad Austin per far regolare il cambio?

Va da Lance Armstrong, che abita proprio qui.

O meglio, diciamo che va nel negozio che ha aperto un paio d’anni fa e che è diventato la mecca dei ciclisti della zona, e non solo.

Chad, il meccanico che mi ha sistemato la bici dopo lo scempio di Del Rio, ha lavorato in Italia, più precisamente ad Arezzo, e ha speso parole molto belle per il nostro paese. Mi ha fatto visitare il negozio di Lance (tutti lo chiamano così), il centro per allenamenti e test e la collezione di maglie e biciclette con cui ha vinto i sette giri di Francia.

Lance viene spesso nel negozio, peccato non ci fosse ieri: gli avrei chiesto anche di darmi una regolatina alla sella, visto che il mio guru e allenatore a distanza, Rino, dice che la punta è troppo alta e mi sarebbe piaciuto avere il parere anche di un secondo esperto .

Scherzi a parte, il negozio è caro quanto basta, ma molto ben fornito. Ovviamente si sfrutta il marchio alla grande, ma spicca anche una serie di bici Pinarello e Cinelli in carbonio, queste ultime con lo scatto fisso, che, per qualche strano motivo che non ho ancora capito, sembra essere la scelta privilegiata di tanti: un solo pignone dietro e via andare.

Se penso che la mia bici ha la tripla davanti e nove pignoni dietro…

Ma dicevo di Austin, città piena di bella gente.

Ne ho avuto la riprova a due riprese: la prima è stata quando, appena arrivato e trovatomi a prendere finalmente un buon caffè col mio ormai amico canadese, Karman, che fa la stessa strada, siamo stati avvicinati da una signora molto simpatica che, accertato che facevamo la traversata e che io ero italiano, ci ha invitato seduta stante a cena.

Il motivo? Suo marito vorrebbe fare lo stesso tragitto, ma intanto a fine settembre andranno per due settimane in Italia, dove hanno affittato una villa a Castellina in Chianti e un’altra sul Canal Grande. Così si fa!

Ci siamo quindi ritrovati a mangiare con Angela e Bryce nel ristorante messicano più alla moda di Austin e devo dire che è stata una serata molto piacevole: ho persino mangiato benino.

La seconda serata, invece, l’ho dedicata alla movida, grazie ad Alberto, un giovane ricercatore piemontese attualmente a Austin e lettore del blog, con cui avevamo convenuto di bere un paio di birre in occasione del mio passaggio in città. Devo dire che invidio molto Alberto: non solo perché, essendo giovane, ha ancora tutti i capelli, ma perché ha avuto la possibilità di passare due mesi in questa città.

Ieri sera abbiamo scelto a caso uno fra le decine di bar che si aprono sulla sesta strada e che offrono musica dal vivo. Francamente, non avevo mai visto un’offerta tale, il che rende giustizia alla fama di capitale della musica dal vivo che Austin non cessa di vantare.

In due soli mesi Alberto è entrato nel cuore di questa città, o forse è questa città che è entrata nel suo cuore, a giudicare dalle descrizioni ammirate che mi ha fatto delle mille e una occasioni di incontro, della socialità così naturale, senza per questo essere invadente, e delle bellezze naturali e architettoniche che ha documentato in dettaglio grazie alla sua grande passione per la fotografia. Fotografia artistica, vorrei aggiungere, e non fotografia da ingegnere, quale pure è Alberto, a cui auguro un brillante futuro, in università o in azienda, pari almeno alla simpatia e alla disponibilità mostrate verso di me.

Nota bene: preciso subito, all’attenzione del mio allenatore e della fidanzata di Alberto, che abbiamo bevuto birra senza alcool tutta la sera, e che quindi la mia crisi di oggi non era dovuta a questa uscitina fra le nove e le dieci.

Bene, se avete creduto questa, posso continuare per chissà quanto .

 

La fine però la riservo ancora a Lance.

Mi raccomando, da ora in avanti quando parlate di lui dovete usare solo il suo nome di battesimo, primo perché in Texas fanno tutti così, e secondo perché, ad essere pignoli, il suo vero cognome sarebbe Gunderson, che non fa molto chic.

Indipendentemente dalla simpatia che si può avere nei suoi confronti e da ciò che si pensa su come ha ottenuto i suoi risultati, ho deciso di assegnargli un titolo onorifico molto raro, per non dire unico: quello di interprete spiritoso. Perché?

Perché ha chiamato il suo negozio Mellow Johnny (che può voler dire Johnny il dolce, il tranquillo, il rilassato, ma anche il “fatto” di marijuana).

Ma pochi sanno da dove venga veramente questo nome!

Ebbene, trattasi dell’americanizzazione spudorata della cosa più ambita per Lance: la maglia gialla del Tour, le maillot jaune, il Mellow Johnny, appunto!

 

Ho avuto un brivido lungo la schiena pensando che se, invece del Tour de France, avesse vinto sette volte il Giro d’Italia, il negozio l’avrebbe chiamato Amalia Rosy.