G40 Il cacciatore

[alert close=”no”]G 40 Baton Rouge (LA)[/alert]

A prima vista non sembra, ma piano piano ti accorgi che la frontiera fra il Texas e la Luisiana è molto più di un confine amministrativo: è la linea che separa due mondi molto diversi.

Tutto cambia nello spazio di pochi chilometri: il paesaggio, la cucina, il tipo di persone, tanti nomi di cose, il modello delle case, e molto altro ancora.

L’acqua è l’elemento dominante che compare improvvisamente in abbondanza. Non a caso, un buon terzo dello stato sarebbe sommerso, non fosse per gli argini artificiali che l’uomo ha costruito per salvaguardare i suoi insediamenti e le sue risorse. E abbiamo visto con l’uragano Katrina cosa può succedere quando le dighe cedono.

Le città più vecchie e i resti delle civiltà che hanno preceduto la colonizzazione si trovano a ridosso dei fiumi, poiché le vie d’acqua hanno garantito per millenni i trasporti e i commerci.

Una caratteristica di molti corsi d’acqua è che sono più alti delle pianure alluvionali che li circondano. Questo vale soprattutto per il Mississippi, che si snoda maestoso e a malapena contenuto da rive naturalmente costituite da depositi sedimentari. Dico a malapena perché è evidente il ruolo dei vari laghi e cosiddetti “finti fiumi” che, a mo’ di vasi d’espansione, accolgono il surplus idrico che scende verso il Golfo del Messico, soprattutto in anni come questo in cui è piovuto molto a monte.

L’abbondanza d’acqua ha un impatto che definirei globale: cambiano il paesaggio e la vegetazione, con l’apparizione di boschi di conifere molto alte, cipressi che affondano il tronco e le radici negli acquitrini, nuvoli di insetti e, purtroppo, zanzare affamate.

John, la cui famiglia di antiche origini francesi abita subito fuori della città di Simmesport, mi ha mostrato la terra che coltiva lungo il corso antico del Grande Fiume, quando la distanza dal mare era inferiore di circa 100 miglia rispetto a quella odierna. E mi ha indicato il migliore punto d’osservazione, da cui si può scendere fino a toccare fisicamente le acque del Mississippi; la mia cartina non lo segnala ed è sconosciuto ai turisti, forse perché è troppo vicino al penitenziario statale, dal nome, chissà perché africaneggiante, di Angola.

Questa è la zona dei cosiddetti bayous, che sono o zone paludose, o fiumi le cui acque scorrono talmente piano da diventare, a momenti, stagnanti.

Sono il luogo di riproduzione prediletto dei gamberi d’acqua dolce, una delle principali risorse economiche e alimentari dello stato, assieme a gamberetti, pesce gatto e, ahimé, alligatori (sì, anche la carne di alligatore si mangia).

Tutto sembra scorrere al rallentatore, dall’acqua, appunto, al ritmo del lavoro, alla parlata della gente, che diventa lenta, quasi strascicata, come se il caldo afoso e umido rallentasse tutte le funzioni vitali.

Il taglio controllato dei boschi è un’attività in piena espansione: lo testimoniano le squadre di uomini intenti a disboscare, il numero di camion carichi di tronchi che affollano le strade e tutti i pezzi di legno, radici e corteccia che ingombrano ogni corsia di emergenza e pista ciclabile.

E poi campi allagati a perdita d’occhio: da una parte per la coltivazione del riso, tradizionale alimento di base, e dall’altra per l’allevamento dei gamberi, che, una volta adulti, si imprigionano da soli in apposite gabbie di filo di ferro da cui non riescono ad uscire. Tutt’attorno aironi e bipedi vari in festa, che banchettano con le zampe a mollo.

Dobbiamo di sicuro ringraziare i coloni francesi se, finalmente, mi sono potuto concedere una cena degna di questo nome, dopo un mese di sofferenza grondante grasso.

Il piatto, in perfetto stile franco-americano, si chiama crawfish étouffé, ovvero gamberi cotti in un brodo ottenuto miscelando farina, cipolle, pepe rosso e nero, aglio, prezzemolo, spezie e servito su un letto di riso locale.

Già dagli ingredienti si capisce quando sia lontano il Texas, con le sue fiorentine e la sua cattiva imitazione della cucina messicana.

Cambia la popolazione, in termini di origine, colore, atteggiamento. Nella capitale, Baton Rouge, la percentuale di afro-americani, che nei quattro stati dell’ultimo mese era sempre di qualche punto decimale, sale d’un colpo al 51% del totale, portando con sé una sensibilità tutta diversa nei confronti delle grandi tematiche che scuotono l’America di oggi, l’America di Obama: l’immigrazione illegale, l’economia vacillante, le accuse di discriminazione delle minoranze, la riforma sanitaria e una politica in generale favorevole ai meno abbienti.

E non ci voleva proprio la tegola della grande macchia di greggio che rischia di rovinare l’intera economia della zona costiera, fondata sull’acquacoltura, e il delicatissimo equilibrio ecologico di una regione paludosa più unica che rara.

Sono persino riuscito ad avere una breve conversazione in francese con la signora del negozietto in mezzo alla campagna che, dopo avermi offerto i dolcetti al caramello fatti in casa, mi ha raccontato di quando, da bambina, sua nonna le parlava quella strana lingua di famiglia che la scuola non le voleva insegnare: il francese, o meglio una delle tante versioni del francese ufficiale, molto più arcaica, imbastardita con l’inglese ma pur sempre riconoscibile: la lingua dei “Cajun”.

Ma chi sono i Cajun? Sono i discendenti di coloni francesi che nel 17° secolo si erano insediati in una zona denominata Acadia (derivazione di Arcadia), che comprendeva alcune regioni della Nuova Scozia e del Quebec, attualmente a cavallo tra il Canada e il Maine.

Erano pescatori e agricoltori pacifici, che ebbero la sfortuna di trovarsi in una zona oggetto di contesa tra la Francia e l’Inghilterra e che, pur essendosi dichiarati neutrali, vennero deportati in massa dall’Inghilterra e dispersi in tutto il territorio delle colonie, finanche alle isole Falkland/Malvine. Dopo 30 anni di odissea, la Spagna si ritrovò ad avere urgente bisogno di qualcuno che colonizzasse la Luisiana, ed ecco che circa 2.000 “Acadiani” vennero reinsediati di forza nelle praterie, nelle paludi e nei fiumi (bayous) che ho attraversato negli ultimi giorni.

La trasformazione del nome, da “Acadian” a “Cadian” e infine a “Cajun” fu un inevitabile prezzo da pagare all’evoluzione della lingua. Purtroppo il francese di questa minoranza sopravvive a stento.

L’altro giorno, in un villaggio in mezzo alla palude, mi sono fermato assieme ad alcuni improvvisati compagni di viaggio, in un bel mini supermercato tutto nuovo.

Mentre ci stavamo rifocillando, ci siamo divertiti a fare qualche foto dentro a un modello di elicottero che era lì, penso, per intrattenere i bambini mentre i genitori fanno la spesa.

Il proprietario ci ha detto ridendo: “You like playing the cooyons, right?” Visto che un po’ di francese lo so, è stato facile capire che la parola cooyon (pronuncia cùion) altro non era che il couillon d’oltralpe, il nostro stupidotto, o per l’appunto “coglione”.

E così abbiamo scambiato qualche frase in francese, il che ha confermato che, purtroppo, la conoscenza di questa lingua negli Stati Uniti è ormai solo aneddotica.

A proposito di aneddoti, avevo dimenticato di raccontarne uno incredibile che mi porto dietro dal Texas.

Io non sono un cacciatore, né mai lo sarò, però rispetto chi ha il coraggio di alzarsi alle quattro della mattina e va in un capanno costruito a mano in mezzo a un bosco o a farsi chilometri con un cane, per sparare ad animali sempre meno numerosi.

A parte il fatto che qui i capanni si trovano già belli e fatti al supermercato (e passi), un texano ha deciso che non valeva la pena di fare tutta questa fatica per andare a caccia e ha inventato la caccia a distanza.

Funziona così: in una riserva si liberano gli animali che interessa cacciare (cervi, antilopi, cinghiali…). Poi si piazzano delle telecamere in alcuni punti strategici.

Il “cacciatore” paga un tot e, indipendentemente da dove si trova fisicamente, si piazza davanti al computer collegato alle telecamere, su cui è installato un apposito programma. Quando sullo schermo compare il “suo” animale, lo inquadra e spinge il bottone Enter/Invia. In questa maniera aziona un fucile (vero) che si trova sul terreno e uccide la preda. Se la ferisce solamente, qualcuno in loco va a finire l’opera.

Circa la metà degli stati americani ha vietato questa caccia via internet. I suoi sostenitori la giustificano con due argomenti: primo, si permette di cacciare anche a chi non può farlo a causa di un handicap fisico; secondo, i militari in missione all’estero si sentono più vicini a casa, possono cacciare e fare arrivare carne e trofei ai loro familiari!

In Luisiana hanno una parola per definire questa gente:

Cooyons!