G13 Speciale Grand Canyon
Secondo giorno di riposo
Si può trascorrere una vita senza vedere il Grand Canyon? Certamente, ma sarebbe un gran peccato.
Il primo giorno di riposo, una settimana fa, è stato tutto fuorché riposante, nel senso che mi sono alzato alle 5.30 per andare in un grande albergo, punto di raccolta per i passeggeri della gita organizzata al Grand Canyon.
Pulmino confortevole, autista/guida tuttofare e 9 passeggeri oltre al sottoscritto: una coppia di New York, una coppia più anziana con nipote al seguito, sempre di New York e una famiglia messicana di Guadalajara, con due figli di cui uno ha appena fatto un master al Politecnico di Torino. Il mondo è piccolo, si sa, ma discutere della crisi del Toro e della Juve con un messicano fa sempre un certo effetto: sbaglia chi snobba la lettura dei quotidiani sportivi, a volte servono nelle relazioni internazionali .
Quattro ore di guida con traffico, ma in autostrada attorno a Phoenix possiamo usare la corsia preferenziale a sinistra, riservata esclusivamente a motociclette, veicoli con più di due passeggeri e veicoli ibridi o a energia alternativa: questo per limitare traffico e inquinamento nelle ore di punta.
Da bravo italiano, provo a immaginare cosa succederebbe da noi se un sistema simile fosse adottato: usare quella corsia diventerebbe il più ambito degli status symbol, per cui ci sarebbe deroga immediata per (ex)parlamentari, (ex) militari, (ex) eletti regionali e personale dei ministeri, medici, veterinari e farmacisti, ragionieri, geometri, rappresentanti di commercio e casalinghe in depressione, eccetera (completare a piacimento). In più, boom del racket delle bambole-passeggero gonfiabili e dei permessi fasulli per invalidi. Risultato: corsia preferenziale intasata e ambulanze e pompieri che corrono sulla corsia d’emergenza.
A parte la facile ironia, ho chiesto alla guida se la gente rispettava davvero la regola. Mi ha guardato in modo strano, come se non capisse la domanda. Non era una questione di lingua, era proprio che il concetto di fare i furbi, così congeniale alla nostra indole, lo lasciava completamente perplesso. La risposta, tra lo stupito e l’incredulo, è stata che ovviamente la gente rispetta le regole (al plurale, si noti) se no a cosa servirebbero? Elementare, caro Watson!
Ma dicevamo del viaggio: la strada pari pari il primo sentiero dei cercatori d’oro e dei coloni. Come sempre stupisce la varietà di paesaggi che si incontrano salendo fin oltre i 2.000 metri. Attorno a Phoenix è deserto fitto di cactus, dai saguaro che guardano il cielo, ai cactus che fanno i fichi d’India, agli “ocotillo” usati da indiani e coloni come una specie di filo spinato con cui tenere a bada le bestie. E si incontra “Lonesome Sammy”, l’ultimo dei cactus, che in splendido isolamento segna il limite fisico della sua specie e annuncia la mesa (il tavoliere sull’altipiano) che è un immenso pascolo verde, con allevamenti, cervi, alci e antilopi.
Più su c’è la fascia di ginepri, piccole conifere e querce nane, il cosiddetto “chaparral”, da cui deriverebbe anche il nome delle protezioni in pelle usate dai cowboy sopra i pantaloni per difendere le gambe dalle spine mentre cavalcano in questa macchia.
Più in alto ancora la foresta di pini “Ponderosa” della Valle Verde, dove la guerra fra l’uomo rosso e quello bianco continuò fino alla resa di Geronimo e dei suoi Apache. E la neve, tanta neve ancora sul terreno, testimonianza di un inverno insolito e di una primavera a venire stranamente ricca d’acqua.
Siamo in piena zona indigena (i primi pueblos sono di 12.000 anni fa). Ora è la riserva Navajo e facciamo tappa in quello che una volta era il loro “trading post”, il Golden Nugget dove Tex va a prendere i rifornimenti e le coperte per la sua tribù e spacca la faccia all’agente indiano che fa la cresta sui prodotti, ma questa è un’altra storia.
Oggi c’è un grande ristorante e pure l’emporio, che vende souvenir e gioielleria più o meno originale: è fondamentale leggere le etichette dei prodotti e capire la differenza fra “Indian made” e “Made in India”. Non è uno scherzo: tanti turisti partono con paccottiglia fatta a Bombay/Mumbay.
E infine si arriva al canyon, il Grande Orrido, il paesaggio più spettacolare e imponente che io abbia mai visto. Il concetto di “Sette meraviglie del mondo” è cangiante per definizione. Ogni epoca ha avuto la sua lista e le opinioni giustamente si dividono a seconda del gusto estetico. Ma sul Grand Canyon no, non si può discutere. È stato e rimarrà in qualunque lista si vorrà stilare.
Noi capitiamo in un giorno ventoso, caldo e velato da una foschia leggera che appanna i colori. Già, i colori, una tavolozza impressionante di bianchi, gialli, rossi e grigi in tutte le loro sfumature, che cambiano di intensità man mano che cambia il cielo o si muove il sole.
L’apparecchio fotografico, per la prima volta, mi sembra inutile, perché rende, se va bene, un decimo dello spettacolo. Le uniche parole che vengono in mente sono di stupore, di incapacità ad abbracciare il tutto. Immaginate che occorre il binocolo per vedere, laggiù in fondo al crepaccio, un gruppo di temerari che sfidano le rapide del fiume Colorado.
Questo è anche il paradiso dei geologi, che vedono esposti in sequenza circa due miliardi di anni di storia in questa parte della terra, da quando i vulcani formarono la base del canyon, fino alla formazione dell’altipiano del Colorado (che comprende 4 stati), 60 milioni di anni fa, e allo scavo vero e proprio del canyon negli ultimi 5-6 milioni di anni.
Nel Grand Canyon, incredibilmente, c’è vita: serpenti a sonagli, piccoli mammiferi e roditori, pippistrelli e condor, e la bellissima aquila calva che, maestosa, vigila su questo mondo unico.
Nel Grand Canyon, se non si fa attenzione, si può trovare la morte: un libro fa l’elenco degli oltre 600 sfortunati che ci hanno lasciato le penne in maniera a volte incredibile. Vi dico come:
Fulmini
Fame e disidratazione
Morsi di serpente
Caduta di massi
Inondazioni improvvise (flash floodings)
Caduta dal bordo del Canyon (non ci sono protezioni fisiche!)
Caduta nel Colorado
Rovesciamento di barche o kajak
Aggiungete i suicidi, le sparizioni e gli omicidi, e capirete perché tanta gente porta la suocera in gita da queste parti.
Alla fine della giornata si sono verificati due fatti salienti. La coppia di New York è tornata con noi al punto di partenza di stamattina: ha trovato l’albergo, ma non ha più trovato l’automobile. Forse la “Pro loco” di Phoenix ha voluto farli sentire più vicini alle abitudini di casa.
Secondo: quanto torno, vado all’anagrafe di Cotignola e mi faccio cambiar nome.
Ne ho trovato uno dignitoso e soprattutto aderente alla realtà della mia capigliatura.
Da domani chiamatemi Aquila Calva. Augh!