Piccolo è bello

È raro incontrare qualcuno mentre si ordina un panino, ma qui succede anche questo. Stavolta mi ha fregato l’accento troppo “inglese”, che da queste parti ti qualifica senza scampo come uno straniero, forse un europeo, sicuramente un “alieno”, come dicono gli americani.

E pensare che ero vestito anch’io in jeans e non mi sentivo troppo alieno mentre ordinavo l’accoppiata micidiale, vale a dire un panino al roastbeef e un tè verde. Comunque sia, ho già avuto modo di constatare che da queste parti la gente è naturalmente disponibile al contatto e genuinamente interessata a quello che l’altro ha da raccontare, tanto più se l’ “altro” viene dall’Italia.

Frankie e Joe Estes non fanno eccezione alla regola, anzi la confermano in pieno. Appena abbozzata la storia della traversata in bici, mi hanno invitato al loro tavolo e ci siamo messi a parlare. Per farla breve, finito il “lauto” pasto mi hanno invitato a visitare il loro ranch, e questo per due motivi. Testualmente: “primo, perché qui al sud la gente è così, secondo perché una cosa è vedere un ranch dalla strada, altra cosa è girarci dentro”.

Ragionamento assolutamente impeccabile, e io che non avevo un granché da fare salvo scrivere il mio blog, ho accettato di corsa. Detto fatto, sono salito sulla jeep dei miei nuovo amici e dopo 15 miglia siamo arrivati a casa loro.

Diciamo subito che Frankie e Joe abitano da soli tre anni in zona, e che in realtà hanno comperato un “piccolo” appezzamento di terreno appartenente ad un ranch per costruirci la loro nuova casa.

Capiamoci bene: gli aggettivi “piccolo” e “grande” in Texas hanno un significato diverso rispetto a quello solitamente accettato dal vocabolario italiano. Infatti il terreno su cui la casa è stata costruita è di “soli” 60 acri, grossomodo 25 ettari, tanto per non sentirsi soffocare dalla presenza dei vicini!

La proprietà da cui proviene il terreno, il vero e proprio ranch di cui abbiamo incontrato il proprietario con pick-up e cappellone d’ordinanza, fa all’incirca 3.000 acri, ossia 1.400 ettari. Ecco, in Texas questo è considerato un ranch piccolino, visto che ve ne sono tantissimi che spaziano su decine di migliaia di ettari.

Joe mi ha caricato su un veicoletto a motore 4×4 a due posti e mi ha fatto fare un giro bellissimo dentro la realtà del territorio. Mi ha raccontato che i cactus misteriosi che vedo da giorni si chiamano “cholla” e che i frutti multicolori che producono in questo periodo sono una ghiottoneria per le mucche.

Mi ha mostrato le piante di yucca in fiore e mi ha spiegato che l’unico animale impollinatore è una falena, una farfalla notturna il cui ciclo vitale è sincronizzato con questa fioritura: potenza dell’evoluzione.

Darwin da lassù, annuiva soddisfatto.

Insieme abbiamo osservato le querce, le cui foglie incredibilmente stanno ingiallendo ora. Fra qualche giorno cadranno e nel giro di due settimane al massimo rinasceranno: l’autunno-inverno più breve che io abbia mai visto. E per di più, fuori stagione!

Abbiamo ammirato il panorama potente che si gode da qua, fatto di montagne brulle coperte di massi levigati che, anche senza volere, fanno pensare al terreno ideale per un agguato alla diligenza.

Abbiamo fatto il giro dei pozzi d’acqua che servono ad alimentare il bestiame, le vacche di razza Hereford dalle zampe corte che pascolano beate fra l’erba in apparenza secca e mangiano avide i frutti dei cactus, a costo di riempirsi di spine.

A proposito, il rapporto teorico ideale fra numero di bestie e grandezza del pascolo dovrebbe essere di una mucca ogni 100 acri di terreno! Qui, vista l’abbondanza di acqua sotterranea che permette anche la crescita di alberi, il rapporto è molto più alto, ma la sensazione d’insieme è che la proprietà sia vuota. In tutto, avremo incontrato 10 animali tra sì e no.

Dicevo acqua sotterranea, ma forse è meglio parlare di fiume sotterraneo, senza per questo scomodare gli esperti di fenomeni carsici. Anzi, in Arizona e anche in Texas si usa una bellissima espressione che non conoscevo: “upside down river”, letteralmente “fiume alla rovescia” o sottosopra.

In realtà tutti usano il termine spagnolo “arroyo” quando mostrano il letto di un torrente completamente secco. Ma sotto la superficie della terra il fiume continua a scorrere, coperto da uno strato argilloso che lo protegge, inter alia, dall’evaporazione. Quando piove, il fiume corre su due piani, come a dire un pian terreno e una cantina.

Questo è dunque l’interno di un “piccolo” ranch, vicino di casa di quello dove furono girate per 15 anni le scene di “Bonanza”, famosissimo anche in Italia quando ancora si soleva parlare di “sceneggiato a puntate”. Oggi chissà perché, sarebbe una “soap opera”.

Frankie ci ha offerto un gelato per ristorarci dopo le fatiche del giro d’esplorazione, mi ha mostrato la casa e l’interno del maxi-camper, che sembra, anzi è, un appartamento di 200 metri quadri.

Abbiamo trovato il tempo di non essere d’accordo sul senso profondo della riforma medica di Obama.

Abbiamo discusso del confine bollente col Messico e della situazione degli indiani d’oggi, o “natives” come va di moda chiamarli.

Una breve parentesi a proposito di questi ultimi, per raccomandare caldamente un sito (www.memory.loc.gov/) segnalatomi da Valentina e Rodolfo che ringrazio di cuore, dove si trovano centinaia di foto di Indiani d’America realizzate dal fotografo etnografo Edward Curtis tra fine ‘800 e inizio ‘900.

Ma torniamo ai miei anfitrioni. Alla fine, si è parlato anche dell’origine di questo loro cognome così insolito, Estes, ed è saltata fuori una possibile connessione col nostro paese. Si sapeva che gli “Estes” sono arrivati in America dall’Inghilterra, dove compaiono attorno al 1400. Ma studi genealogici recenti puntano verso una preesistente origine italiana, vuoi con un legame diretto alla famiglia Este di Ferrara, vuoi con i Mongoli che giunsero a Venezia al seguito di Marco Polo e che vennero ribattezzati come “coloro che vengono dall’Est”, da cui la facile trasformazione nel cognome attuale. Storia affascinante, comunque la si guardi, che ci riporta ad un passato misterioso e in ogni caso a un mondo in cui il viaggio era un’avventura in piena regola, altro che una biciclettata in America .

Cosa potevo dire a due persone così squisitamente ospitali, che hanno aperto il loro “piccolo” regno ad un perfetto sconosciuto un po’ matto di passaggio nella loro città? Solamente grazie.

Ho abbracciato Frankie, che vorrebbe tanto venire in Italia, e le ho detto che sarei felice di aprirle la mia casa, per due motivi.

Primo, perché in Italia (e in Romagna in particolare) siamo fatti così.

Secondo perché una cosa è vedere i miei ulivi dalla strada, altra cosa è girarci in mezzo.