G32 Tre metri sopra il cactus


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[alert close=”no”]G 32 La Grange (Tx) – Navasota (Tx) 118 km[/alert]

Ieri sera ero molto stanco, e di conseguenza anche un po’ giù. Per fortuna, mi sono ricordato dei consigli dietetici di un mio compianto concittadino, Michele Gordini, ciclista dell’epoca pionieristica a cavallo fra gli anni ‘20 e ‘30, che corse varie volte il giro d’Italia e il giro di Francia come “isolato”, cioè senza appartenere ad una squadra ufficiale, cuccandosi tappe dell’ordine dei 400 km al giorno.

E pensare che la sua bicicletta non aveva nemmeno il cambio, ma la ruota posteriore aveva due pignoni, da usare, ogni volta smontando e rimontando la ruota, a seconda del tipo di pendenza da affrontare!

Ebbene, nelle sue memorie Gordini consiglia ai genitori dei giovani aspiranti ciclisti di mangiare un numero esagerato di uova (poco care) alla mattina e carne (possibilmente una bella bistecca) almeno una volta a settimana, il che, considerati i tempi e i prezzi, non era poco.

Ora, io non sono giovane e non aspiro a fare il ciclista, per cui ho applicato alla ricetta di Gordini il famoso “coefficiente di Kit Carson”. Perciò, sia ieri sera che stasera mi sono sbafato una bella frittata e una fiorentina letteralmente coperta di patatine fritte e accompagnata da una (o tre?) birre gelate.

Lo so che i medici che leggono il blog adesso mi accuseranno di colesterolo con scasso e di trigliceridi armati, però, come si dice in questi casi, quando ci vuole ci vuole: e con la fatica che mi sembra di fare tutti i giorni, mi dico che potrei digerire anche il marmo.

Vedremo se le prossime analisi confermeranno la mia teoria.

90% non è la proverbiale percentuale di consenso alle elezioni bulgare. È, purtroppo, il tasso d’umidità con cui mi sono svegliato e che mi ha accompagnato per tutta la giornata: neanche nelle valli di Comacchio! È stato stranissimo uscire dal motel e trovarsi di fronte una pioggerellina fine, un’aria appiccicaticcia e una temperatura già elevata alle 7 di mattina.

È davvero incredibile il contrasto con l’aria secchissima che ho respirato praticamente dal giorno della partenza (a proposito, oggi si festeggia un mese!) nei deserti e sugli altipiani dei quattro stati attraversati finora. Comunque, meglio abituarsi in fretta, perché, andando verso est, proprio questo clima mi attende.

A parte il discorso meteorologico e il fatto che ho evitato la pioggia ancora una volta, l’aspetto della tappa di oggi che mi ha più colpito è stata la tranquilla bellezza del paesaggio, e soprattutto la varietà incredibile di piante e fiori selvatici che lo punteggiano.

Sarà che quest’anno è piovuto come non mai, sarà che ho preso le settimane della fioritura, sarà che non lo so, ma resta il fatto che il Texas orientale è un immenso, bellissimo, inaspettato territorio verde, un alternarsi continuo di pascoli, campi coltivati, prati di fiori, fiumi e alberi, se non proprio boschi.

Non è sicuramente un caso che questa sia la zona colonizzata in origine da tedeschi e ancor oggi abitata da loro discendenti, ma di questo vedrò di parlare un’altra volta.

Dicevo dei fiori. Lungo quasi tutto il percorso l’aria era profumata e ho scoperto che il fiore responsabile è una varietà di lupino, colorata di blu, il “lupinus texensis”, che è anche il fiore di stato.

Detto così può far sorridere, ma occorre sapere che ogni stato americano si sceglie i propri simboli. E così, ad esempio, in Texas esiste un animale di stato (l’armadillo), due mammiferi di stato (il pipistrello e la mucca Longhorn), un rettile, un insetto, un uccello, un albero, una pietra preziosa, un cane di stato, ecc. ecc.

A contorno dei lupini, tutta una serie di fiori di cui sinceramente non conosco il nome, tranne che di uno, il cosiddetto “pennello indiano”, un fiore rosso i cui petali sono dolci e, mi dicono, commestibili, mentre il resto della pianta è tossico.

Gli indiani lo usavano per farne una tintura per capelli, come ricostituente e per curare tutta una serie di malanni, dalle malattie veneree ai reumatismi.

Altri indiani di indole più artistica, invece, lo usavano per quello che indica il nome, cioè proprio come pennello per applicare colorazioni sulla pelle.

Ripensando a questo mese in bicicletta, mi dico che i due tipi di vegetazione che mi hanno impressionato di più sono appunto il tappeto “floreale” di oggi e la distesa di cactus in Arizona, soprattutto i cosiddetti “saguaro” che fanno tanto pensare, per chi si ricorda Carosello, alla pubblicità del caffè Paulista “Carmencita, chiudi il gas e vieni via”.

E pensare che sviluppano un ramo ogni cinquant’anni e hanno un impianto radicale ridotto, tanto che se provate a spingerli, cominciano ad oscillare. Si trapiantano facilmente, ma sempre mantenendo lo stesso orientamento, perché dalla parte esposta al sole la scorza è più spessa. Sono anche pieni di buchi perfettamente circolari e il responsabile è il picchio dei cactus, che ci fa anche il nido e che un giorno sono riuscito ad immortalare con mia grande gioia.

E il picchio, assieme al pipistrello “di stato” assicura anche l’impollinazione!

Il Texas è un fervente sostenitore dei cactus in generale, tanto da aver creato un apposito organismo (Texas Cactus Council) che ne promuove la coltura e l’uso nei settori più disparati, dall’alimentazione umana a quella animale, dalla cosmesi all’arredo urbano. Insomma, sono piante da difendere e da rispettare. E non si deve fare come quel gruppo di studenti in gita (sicuramente italiani), che si è divertito a deturpare qualche cactus per scopi goliardici, ad esempio affiggendo messaggi personali, come quello riportato nella foto accanto. (*)

Ancora peggio: ho visto che su un saguaro pluricentenario mani ignote avevano inciso, rovinandolo, una litania benaugurante che milioni di italiani recitano dal 1965 ogni mercoledì di coppa.

 

C’era scritto: Sarti, Burgnich, Facchetti…

 

(*) Questa la dovevo proprio, come ringraziamento, a Marco Zatterin, corrispondente da Bruxelles de “La Stampa” e autore di un blog che racconta i retroscena della costruzione europea (www.lastampa.it/zatterin). E sappiate che se potete leggere il mio delirio americano la colpa è tutta sua!

Ps: domani sveglia ritardata e tappa lunga, per cui il blog salta una giornata.

A dopodomani!