G35 Armadilli, bufali e leoni
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[alert close=”no”]G 35 Silsbee (Tx) – De Ridder (LA) 127 km[/alert]
Beep Beep!
E così, dopo venti giorni esatti, abbandono il Texas, il secondo stato dell’Unione per grandezza. Mi porto via un tale tumulto di informazioni, sensazioni e ricordi che avrò bisogno di un po’ di tempo per rimetterli in ordine.
Non posso certo dire che venti giorni bastino per scoprire questa terra immensa, ricca e bellissima. Sono serviti solo a grattare un po’ la prima pelle, per farsi un’idea di cosa ci sia in fondo a quelle strade tanto diritte da sembrare infinite e quali pensieri si nascondano sotto i cappellacci da rudi cowboy che la gente ostenta con tanta normalità.
Mi aspettavo un altro Texas prima di attraversare la frontiera. Mi aspettavo il caldo e ho trovato una primavera piovosa; mi aspettavo il deserto e ho trovato boschi, fiori, pascoli e campi lussureggianti; mi aspettavo gente scontrosa e sbrigativa, e ho trovato persone nell’insieme disponibili e gentili; mi aspettavo di mangiare male e invece ho mangiato solo malino .
È bello il Texas, niente da dire. E nella vastità del suo territorio, dalle catene montuose agli altipiani aridi, giù giù fino alla costa del Golfo e fino alla zona delle foreste, incantano da una parte la varietà dei paesaggi, della flora e della fauna, e dall’altra le continue incursioni della storia che si ripropone in ogni momento, essendosi appropriata ormai per sempre di nomi, luoghi, fiumi e personaggi.
E il texano che ho incontrato io avrà pure, come nelle caricature, lo Stetson in testa, gli occhiali a specchio, gli stivaletti a punta e le gambe curve anche se non sa più cavalcare, ma la mia sensazione è stata quella di un’ostentazione difensiva, una barriera, una metaforica crema solare a protezione 100 contro gli UVA del mondo che gli cambia attorno.
Perché anche il Texas ha vissuto e vive delle contraddizioni molto grandi.
Era uno stato democratico e ora è un bastione conservatore; eppure nutre una realtà eretica come la sua capitale, Austin, che esula completamente dagli schemi del territorio.
E la Del Rio che ho trovato così brutta, mal tenuta e inospitale è la stessa città che negli anni ‘60 fu patria di Wolfman Jack, il mitico disc jockey immortalato in American Graffiti, colui che lanciò la grande moda del rock ‘n roll in tutto il paese, e da lì nel mondo. Pensate che, trovandosi appunto Del Rio sul confine, Jack fu costretto ad installare sul suolo messicano i ripetitori della sua radio, alti un centinaio di metri, che trasmettevano con una potenza di cinque volte superiore a quella permessa dalle autorità americane!
Questo è il paese dove convive una sensibilità ecologica ridottissima quando si parla di consumi petroliferi e riciclaggio, ma allo stesso tempo si salvaguardano i grandi parchi naturali, come quello del “Big Thicket” (la grande macchia) che ho attraversato per tutta la giornata di ieri. A fine ‘800, questa foresta enorme copriva un territorio di 160 x 80 km, impenetrabile rifugio di renitenti alla leva, bande indiane e malfattori assortiti. L’abbattimento indiscriminato per decenni, a fini industriali, lo ridusse al collasso e oggi si cerca di gestire in maniera intelligente la riserva di conifere e alberi indigeni che restano.
Una grossa delusione è stata quella di non riuscire a vedere dal vivo due degli animali simbolo del paese: l’armadillo e il road runner, o corridore della strada.
Il primo ce lo ricordiamo tutti dai libri di scuola come l’animale protetto da una corazza inviolabile che lo protegge da qualsiasi predatore quando si appallottola e si nasconde dentro i rovi.
Il secondo è nientemeno che il Beep Beep dei cartoni animati, quello che Vil Coyote cerca in tutte le maniere di acchiappare. Neanche tanto segretamente, abbiamo sempre tifato tutti per il Coyote e per i suoi sotterfugi sempre più assurdi. In mancanza della dinamite ACE, avevo comperato due petardi da una delle tante bancarelle che li vendono tutto l’anno lungo la strada (anche questa una bella stranezza). Speravo in questa maniera di poter fermare un Beep Beep, che in realtà è un uccello parente del cuculo e che ha davvero la caratteristica di correre a tutta velocità davanti ai mezzi meccanici, per spostarsi all’ultimo minuto: quando ce la fa…!
Per dire come industria e natura convivano fianco a fianco, basti ricordare che a lato del mio percorso si trova Spindletop, la collina dove nel 1901 venne scoperto il più grande giacimento petrolifero del mondo (di allora), che diede origine a un immediato boom economico di dimensioni mai viste, che si protrasse per decenni e portò, inter alia, alla nascita della Texaco.
A fianco della zona petrolifera, a sud della foresta, ecco che invece fa la sua comparsa un’altra grande fonte di reddito del paese: la coltivazione del riso, in immensi campi opportunamente allagati grazie a moderne tecniche di irrigazione. Insomma, un rimpallarsi continuo fra le attrazioni della modernità e i richiami della tradizione.
E tanto per richiamare un nome, oggi sono passato da Kirbyville, città al confine con la Luisiana. Alla fine dell’800 fu teatro di una faida tra famiglie del luogo che degenerò in un conflitto senza soluzione apparente. La soluzione la trovarono i colleghi di Tex (essendo lui impegnato nella ricerca di Apache Kid). I rangers del Texas infatti, chiamati dalla popolazione esasperata, diedero vita a un conflitto a fuoco in cui decimarono le famiglie impegnate nella disputa, che infatti finì immediatamente. Altri tempi, altri metodi…
Si diceva dei rangers che “sapevano cavalcare come i messicani, sparare come cecchini e combattere come il diavolo in persona”. Dei bei tipi, non c’è che dire! Furono anche il primo gruppo di tutori della legge a usare con “profitto” la Colt a 6 colpi in Texas.
E un bel tipo, che ha fatto la storia del West, è sicuramente Buffalo Bill. Da queste parti si ricorda che contribuì ad aprire la cosiddetta pista di Chisholm per portare alla stazione di Wichita le mandrie di Longhorn destinate al resto del paese.
Noi tutti ne abbiamo sentito parlare per le sue avventure e per il suo mega circo-spettacolo sul West, che lo rese ricco e celebre in tutto il mondo e al quale presero parte, interpretando sé stessi, anche Toro Seduto e Geronimo. Lo volevo ricordare rapidamente per alcuni aneddoti simpatici che riguardano l’Italia.
Ho letto da varie parti che Buffalo Bill portò in tournée il suo spettacolo anche in Italia, precisamente a Roma nel 1890. Si narra che, vedendo lo show, il Conte Caetani di Sermoneta avesse l’idea di una gara con scommessa in denaro (mille lire di allora) tra i cow-boys americani e maremmani, ove i butteri maremmani dovettero domare i cavalli dei cow-boys americani e vice versa. Inutile dire che vinsero i butteri, altrimenti non avrei raccontato l’aneddoto. Sembra anche che Buffalo Bill, indispettito, anzi imbufalito, abbia tolto letteralmente le tende senza mai pagare la scommessa.
Oggi giorno uno spettacolo del genere non lo assicurerebbero nemmeno i Lloyds di Londra, tali e tanti erano i rischi che correva anche il pubblico fra cavalli imbizzarriti, mini cariche di bisonti, rodei, lanci di frecce e coltelli ecc. Poi c’era la mitica signorina Oakley, che si esibiva sempre prima di Buffalo Bill in persona. Il suo numero? Spegnere la sigaretta in bocca agli altri attori del “circo” sparando con la pistola da una distanza di 30 piedi.
Fu così che, per far fronte alle richieste della sua troupe preoccupata non tanto dei danni del fumo, quanto della mira della signorina Oakley, Buffalo Bill tirò fuori l’asso nella manica: un leone.
Ma non un leone ammaestrato qualunque, bensì l’unico che poteva dargli una garanzia dall’alto: Leone XIII, il Papa, che acconsentì (è il caso di dire, docilmente) a benedire tutti i partecipanti.
E i Lloyds sottoscrissero l’assicurazione.