G37 91 metri e 44 centimetri


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[alert close=”no”]G 37 Mamou (LA) – Washington (LA) 50 km[/alert]

L’impressione terribile che ho raccolto attraversando California, Nuovo Messico, Arizona e Texas è che l’America profonda faccia una tremenda confusione fra combustibile e nutrimento, fra carburante e cibo.

E così, prima ancora di parlare di cucina, occorre spiegare come è fatto uno dei luoghi più frequentati da chi vuol fare il pieno: la cosiddetta “gas station”, cioè il distributore di benzina.

Non è un caso se anche la più scalcinata delle stazioni di servizio che ho incontrato sulla mia strada vende una serie di prodotti che rientrano, anche solo di sbieco, nella categoria dei generi alimentari. Capiamoci: non si tratta di mini-versioni dei nostri autogrill, che andrebbero più che bene. È altro, molto peggio.

Intanto, questi distributori sono spesso aperti 24 ore su 24, tutto l’anno, per cui inconsciamente uno sa che a qualsiasi ora del giorno e della notte può andare a cercarsi qualcosa da mettere sotto i denti. Risultato: si mangia di tutto a tutte le ore. Vediamo come è strutturato il negozio del distributore.

Sezione caffè: entrando si nota subito un tavolo con una termopiastra che tiene calda un’anfora o un termos di caffè già fatto; oppure, ci sono delle macchinette automatiche che, a richiesta, servono un intruglio trasparente che viene spacciato per caffè. Di fianco, vari contenitori in plastica che contengono zucchero e una polvere bianca (creamer) che fa le veci del latte. Una pila di bicchieri di polistirolo usa e getta con coperchio e una confezione di cannucce completano il quadro.

Più di una volta mi sono ridotto a fare colazione in questi posti, non perché mi piacessero, ma perché non c’era nessuna alternativa: quindi, “caffè” trasparente e merendine dolciastre ai gusti più incredibili. Come inizio di giornata non c’è male!

Sezione bevande sfuse: Il distributore automatico di bevande c’è quasi sempre, anche se assume forme diverse. Purtroppo non cambia mai il contenuto: prodotti che conosciamo (fanta, coca, sprite, pepsi…) e altri che per fortuna non conosciamo ancora (dr. pepper, root beer, powerade…). Tutti gassati, tutti dolci. L’americano medio prende il bicchiere più grande, lo riempie a metà di ghiaccio (sempre disponibile!) e versa la bibita. Spesso il secondo giro è gratis. E l’acqua? Neanche a parlarne.

Sezione bevande: Una mezza parete è presa dalle bevande gassate di cui sopra, ma stavolta in bottiglia. In un piccolo frigorifero si trovano il latte (recipienti da un gallone, 4 litri), i succhi di frutta e l’acqua, che è più cara dello champagne ma è solo acqua di rubinetto purificata (infatti c’è stato uno scandalo non indifferente su questa cosa). In un secondo frigorifero ci sono le bevande energetiche, sollievo dei ciclisti stanchi: personalmente ho provato di tutto, dal Gatorade in tutte le sue versioni, al Powerade, al Red Bull, al Monster Energy, ai flaconcini monodose che assicurano “energia per cinque ore”. Sono tutti ottimi. Il solo dettaglio è che la mattina dopo il pigiama sa di arancia (o di limone). Dipende da cosa si è bevuto il giorno prima in salita.

Sezione “alimentare”: sacchi di patatine di tutte le forme e dimensioni, merendine a sfinire, cioccolata, burro di arachidi, caramelle e dolciumi confezionati e sfusi. Poi alimenti inscatolati: spaghetti liofilizzati in salsa Alfredo (?), pesche, pomodori, piselli e carote in barattolo, la mitica “baloney” (vedi G-12), e l’angolo del gourmet, composto da pizza o hamburger congelati e apposito forno a microonde per riscaldarseli da soli. Nei negozi più forniti si trovano anche noci e noccioline varie, a volte banane e un altro pilastro della dieta di Tex e Carson quando devono attraversare il Deserto Dipinto: il pemmican, cioè la carne secca, in genere affumicata, un tempo di bisonte, oggi di vile manzo speziato. Verdura zero.

Sezione farmaceutica: uno sguardo ai nomi dei prodotti vale più di qualsiasi commento: Maalox (in bottiglioni), Acid Reduce, Acid Control, Gaviscon (in taniche!), No Burp, Decongestil, Super Transit, Transit Easy, Go Go Go!, Happy Colon, Morning Release, Digest-All, Deep Clean e via di questo passo.

Sezione alcolici: quasi tutte le pareti sono occupate da frigoriferi pieni della vera, unica bevanda alcolica di riferimento in America: la birra. La birra si vende soprattutto in pacchi da 6, 12, 18 o 24 barattoli di contenuto variabile. Il barattolo più capiente contiene 32 once, che al cambio fanno la bellezza di quasi un litro. Ora, il problema è che l’apertura da cui si beve aumenta, chissà perché, in funzione del contenuto. Ho provato a bere da un normale barattolone da un litro e mi sembrava di essere nella vecchia barzelletta della rana dalla bocca larga: ho provato di tutto, ma mi sono sbrodolato la maglia!

Ci sono tanti produttori, ma nove volte su dieci la birra è quella: bionda, gelata e molto alcolica, anche se non si sa quanto. Mentre scrivo, sto bevendo una Old Milwaukee e, per quanto cerchi, non trovo indicato il tenore alcolico. Questo è molto grave, soprattutto da quando ho scoperto che le birre “leggere” fanno tra i 5 e i 6 gradi. Il che spiega che a farmi girare la testa non è la finale di Champions .

Poi c’è la birra in bottiglia, che vi permette di fare un figurone con le ragazze. Quasi tutte (le birre) hanno il tappo a corona, ma in realtà questo è avvitato alla bottiglia. Allora, con finto sprezzo del dolore si afferra il collo della bottiglia, si fa una smorfia di sforzo e il tappo a corona si svita come niente. La prima volta che l’ho visto fare pensavo che il tipo mingherlino davanti a me fosse il Grande Hulk in incognito. E invece… Però attenzione: alcune bottiglie hanno veramente il tappo a corona e lì si rischiano dieci punti al pronto soccorso.

L’importanza del galateo: la birra va bevuta freddissima e direttamente dal barattolo o dalla bottiglia. Questa sembra essere la regola del sud, bar, caffè e ristoranti compresi. Per l’acqua vi danno un bicchiere a metà colmo di ghiaccio, ma per la birra no. Il vero cowboy e la vera cowgirl bevono a garganella e se chiedete un bicchiere vi guardano storto.

Poi ci si mette anche la legge, che mi fa dire che il retaggio del puritanesimo è ancora ben presente nelle sue forme più ipocrite, per non dire ridicole. Tre esempi:

Primo: mi capita spesso la sera, prima di arrivare al motel, di fermarmi al distributore a comperare una bella birra con cui celebrare i chilometri fatti. Ebbene, il benzinaio/cassiere è tenuto a mettere il barattolo in un contenitore qualsiasi, affinché non sia visibile quando esco dal negozio. Di solito opta per la soluzione meno costosa, cioè un sacchettino di carta marrone o una sportina di plastica scura. Davanti al locale non posso bere, devo allontanarmi e in ogni caso devo bere col barattolo sempre dentro al sacchettino, pena una multa!

Secondo: esiste un numero di cosiddette dry counties, o contee asciutte, nelle quali non si può vendere e/o consumare alcool. L’origine di questo moderno proibizionismo, nonché bell’esempio di rossiniana inutil precauzione è per lo più religiosa, dato che molte confessioni cristiane Protestanti scoraggiano il consumo di alcool ai loro fedeli. Il problema è che lo impediscono anche ai non fedeli, e qui avrei da ridire.

Prendiamo il Texas, tanto per cambiare: su 254 contee, 30 sono asciutte, 182 parzialmente asciutte e 42 bagnate. Quelle bagnate sono, per fortuna, nella zona al confine col Messico dove sono passato io. La confusione è totale: in alcune contee la birra è legale fino a 4 gradi, in altre si arriva al triplo! Da alcune parti basta diventare membri del bar, anche se si è di passaggio. E il bello è che da studi recenti risulta che gli abitanti delle contee asciutte hanno un tasso di mortalità da incidenti stradali più alto, perché si pappano decine e decine di chilometri per poter andare a bere fuori contea e poi si schiantano tornando a casa!

Terzo: quasi tutti i locali in cui ho mangiato non servivano birra o alcool di nessun tipo. Perplesso e un po’ nervoso a forza di mangiare hamburger con il tè, ho cominciato a chiedere spiegazioni e la risposta mi ha lasciato stupefatto: “Qui vicino c’è una scuola…”. Oppure: “Di fronte c’è la chiesa!”.

Incredulo, ho verificato la legge che si applica in Luisiana, così come da tante altre parti. Dice testualmente la legge: “Nessuna licenza o permesso saranno concessi quando il locale (…) si trova a meno di 300 piedi (= 91 metri e 44 centimetri) da edifici adibiti a luogo di culto (chiese e sinagoghe), biblioteca pubblica, scuola (ad eccezione di un’università), orfanotrofio, parco pubblico, centro di assistenza giornaliera (…). La distanza di trecento piedi sarà misurata come da articolo 26 dello Statuto della Luisiana (…).

Anche nella ridente cittadina (e non borgo!) di Cotignola è d’applicazione la legge americana dei trecento piedi fra bar e chiesa.

Ma tutto dipende dal metro che si usa: l’ufficio tecnico del Comune ha stabilito che se un millepiedi è lungo dieci centimetri, trecento piedi sono 3 centimetri.

E così si può bere tranquillamente un prosecco sotto il loggiato del Comune rispettando la legge, e allo stesso tempo ammirare la facciata della chiesa di Cotignola, lì di fianco.

Salute!