G46 Che culo!
[alert close=”no”]Percorso: G 46 Dauphin Island (AL) – Pensacola (FL) 108 km[/alert]
L’espressione “che culo!”, con la sua dose omeopatica di volgarità, è ormai entrata nel lessico comune e può essere usata in senso figurato o in senso letterale.
Facciamo un paio di esempi.
Stamattina, nel negozio di bici di Orange Beach ho di nuovo incontrato Karman, che si è finalmente deciso a cambiare ambedue gli pneumatici, visto che da quando è partito da San Diego ha avuto 21 forature.
Riflettendo sul fatto che, toccando ferro, finora non ho forato una sola volta, mi sono detto: “Che culo che ho avuto”!
Esiste una spiegazione per questo numero assurdo di incidenti: le corsie d’emergenza e le piste ciclabili delle strade americane (spesso le due cose coincidono) sono letteralmente ricoperte di detriti di tutti i tipi. Quelli più insidiosi sono le carcasse degli pneumatici radiali abbandonati dai camion, che li usano finché si sfasciano. I pezzi di carcassa sono fatti di gomma e di fasci di filo d’acciaio: questi ultimi possono facilmente penetrare le coperture di una bicicletta ed è difficilissimo trovarli e soprattutto estrarli completamente. Il risultato sono forature a ripetizione e un deciso ingrossamento del fegato.
Ma parlavo di “culo”. A parte il caso delle forature, quando si gira in questa parte di America l’espressione “che culo” deve per forza essere letta in maniera letterale, nel senso che il numero di persone obese che si incontra è assolutamente fuori dalla norma.
E quando dico “obese” intendo veramente obese, non semplicemente sovrappeso.
A titolo di illustrazione, tutte le foto che pubblico sono state scattate, in diversi ambienti, nella sola giornata di oggi!
Sul traghetto con cui ho lasciato Dauphin Island stamane ho fatto la conoscenza di Tommy e Janet, una coppia in vacanza che abita nel nord dello stato del Mississippi.
Il copione è sempre quello, nel senso che mi hanno chiesto da dove venivo con la bici ecc. ecc. Tommy, con notevole autoironia, ammette che avrebbe difficoltà a fare quello che sto facendo e conclude: “I guess I should eat a bit less”, che al cambio vuol dire più o meno “penso che dovrei mangiare un filino di meno”.
Tommy, per sua ammissione, non è malato; semplicemente mangia schifezze da una vita e si è ridotto a camminare con le grucce. Janet lo segue a distanza di sicurezza, ma non demorde. Comunque, e lo dico sapendo di suscitare l’invidia di tutti i maschi che leggono il blog, stamattina ha chiesto di fare una foto con me !
Battute a parte, il problema dell’obesità viene a galla regolarmente nelle trasmissioni televisive, ma nessuno ne discute le cause. Cioè nessuno, per evidenti motivi commerciali e per paura di conseguenze legali, ha il coraggio di dire che il modello alimentare a cui si affida una gran parte dei cittadini è semplicemente deleterio.
Qui non si diventa obesi mangiando bene, che sarebbe non solo una giustificazione, ma anche una consolazione importante. Qui si mangia in maniera noiosa, affrettata e soprattutto dannosa.
Da due mesi anch’io mi dedico, in mancanza di alternative valide, a questa attività che gli americani hanno così ben definito: il casual eating; quindi non solo ci si veste “casual”, ma si mangia pure “casual”, cioè ci si ingozza con quel che capita, a patto che sia poco costoso ma molto gustoso. E questo fa rima con scarsa qualità e grasso.
In un certo senso io posso permettermelo, quando il mio cardiofrequenzimetro mi registra giornate da 6.000 calorie consumate, ma in condizioni normali finirei come il protagonista di “Supersize me”, il film documentario di quel tipo che, dopo un mese intero passato a mangiare hamburger e simili, ha preso 11 chili di peso e si è ritrovato con tutti i valori sballati, a cominciare da un +13% di massa grassa.
A titolo di curiosità, la McDonald, per replicare al documentario, ha introdotto alcune insalate nel suo menù. Della serie “era ora”! Quello che trovo interessante è che il numero di persone veramente obese è andato aumentando man mano che dalla California pedalavo verso est. L’esplosione c’è stata a partire dal Texas orientale e si è amplificata in questi ultimi giorni, con una marcata propensione all’obesità fra le persone di colore.
Certo, a partire dalla Luisiana sui menù hanno fatto la loro comparsa pesce e frutti di mare: peccato che te li propongano quasi sempre fritti!
Io non sono certo un nutrizionista e non ho dati statistici che confermino quello che penso, ma un’idea me la sono fatta, anzi un’equazione: povertà + scarsa istruzione = obesità.
Sbaglierò, ma aspetto una dimostrazione del contrario. Per la cronaca, oggi ho attraversato la frontiera con la Florida, l’ottavo e ultimo stato del viaggio. Mississippi e Alabama sono passati troppo velocemente, non ho avuto il tempo di approfondire le sensazioni che ho potuto raccogliere in fretta e che non sono state sempre positive.
Grosso modo, la zona costiera mi è sembrata al passo col resto del paese, reattiva nei confronti dei disastri naturali che la perseguitano da sempre, propositiva, costruttiva, moderna. Per contro, all’interno di questi stati siamo ancora a livello di società che definirei pre-industriali, assurdamente chiuse, aggressive in quanto timorose che qualcosa o qualcuno possa turbare l’ordine stabilito. Qui si trova il vero conservatorismo con la “c” minuscola, piccolo, meschino e sorpassato a sua insaputa.
Come dicevo, per almeno una settimana sarò in Florida e già dai primi chilometri si vede la preponderanza della scelta abitativa (e turistica) in questo stato: li chiamano “condo”, abbreviazione non di condom, ma di condominio.
Sono una vera e propria foresta di stuzzicadenti di cemento piantati tra le dune della spiaggia: precludono ai più la vista di un panorama meraviglioso, quello delle spiagge sull’oceano.
Ma c’è ancora qualche giorno di tempo per approfondire questo aspetto!
E, tanto per gradire, stasera ho cenato da McGuire’s, un ristorante irlandese cult di Pensacola. Alle pareti una serie immensa di foto di ospiti più o meno famosi: vari astronauti, cantanti, il candidato presidenziale McCain, governatori, poliziotti, militari, i pugili Ken Norton e Larry Holmes, insieme dopo il loro incontro mondiale, ecc. ecc.
Ma la vera particolarità del ristorante è un’altra: al soffitto e alle colonne sono aggraffati biglietti da un dollaro firmati dagli avventori.
Tutto cominciò quando l’attuale proprietario attaccò al soffitto il primo dollaro che aveva ricevuto come mancia quando faceva il cameriere. Oggi si calcola che appesi da McGuire’s ci siano circa un milione di banconote. So che sembrano tante, ma bisogna vedere per credere. Mi dispiace solo non avere avuto la macchina fotografica con me, perché una cosa simile non l’avevo mai vista.
E a proposito di soldi, quando l’altra sera sono partito dall’Hard Rock Casino e ho cambiato le fiches che mi avanzavano, per un totale di 35 dollari, il cassiere, tal Franky Messina, mi ha detto serio: “Che culo!”.
Per un attimo ho avuto l’impressione che mi prendesse… in giro!
Ps: Dovrei ricordare più spesso che questo mio viaggio è a scopo di beneficenza.
Se volete, potete dare una mano all’associazione Ruvuma, che trovate all’indirizzo: www.ruvuma.it
Ricordo che potete dare un contributo direttamente all’associazione, oppure sul conto speciale che ho aperto a Bruxelles presso la banca BNP Parisbas Fortis, agenzia Schuman.
Ppss: il caldo, i chilometri e la stanchezza stanno lasciando il segno.
Per domani prevedo una tappa breve e una mezza giornata di riposo, sia per le gambe che per il neurone o due che mi aiutano a scrivere il blog.
A dopodomani.