G54-55 Lupare, alligatori e barbera
Percorso: G 55 Palatka (FL) to Saint Augustine (FL) 53 km 17/5/2010
Percorso: G 54 Gainesville (FL) to Palatka (FL) 90 km 16/5/2010
Ho perso il conto delle persone che durante questo viaggio hanno rivelato e a volte vantato con commozione le loro origine italiane, più o meno perse nelle nebbie del tempo e nel conteggio delle generazioni.
Solo nell’ultima settimana, dal ligure Chiappini che vende attrezzatura da cacciapesca, ai siciliani Scalia, Russo, Taormina…la lista sarebbe lunghissima.
Ma mettetevi nei miei panni, quando uno si presenta dicendo: “Hi, my name is DeeJay Cravatta!”. Vi viene da rispondergli: “ Sì, e io mi chiamo Aldo, Giovanni e Giacomo”.
E invece è proprio quello che mi è successo una mattina, mentre stavo per lasciare De Funiak Springs, città peraltro molto bella e molto ricca, con un patrimonio storico-architettonico invidiabile di magioni ottocentesche. Dicevo di DeeJay (pronuncia digèi).
Il nome vero è Daniel James, ma va molto di moda usare le iniziali, per cui D.J. Assieme alla moglie, sta girando gli Stati Uniti in bicicletta. L’obiettivo è di rientrare a casa entro ottobre di quest’anno.
Casa, per lui che pure è americano, si trova ormai sulla costa occidentale del Canada, nello stato della British Columbia, al confine con lo Yukon, dove il giovane Paperon de’ Paperoni faceva il cercatore d’oro nel Klondyke. Ma questa è un’altra storia.
Il nonno di Deejay era emigrato da Palermo a New York, con l’inevitabile approdo a Ellis Island, punto d’arrivo di generazioni intere di emigrati da tutto il mondo. Lavorò tutta la vita come cuoco trasmettendo il suo sapere al figlio, che finì per fare il cuoco nell’esercito americano quando questo invase la Sicilia.
Sfruttando le sue conoscenze indirette della Sicilia e soprattutto il dialetto paterno, il padre di DeeJay fu autorizzato dal comando a scambiare ogni giorno una jeep piena di derrate alimentari per le truppe, contro le materie prime fresche che erano necessarie per preparare pranzo e cena alla mensa ufficiali: di sicuro si comanda meglio dopo una pasta con le sarde, piuttosto che dopo una scatoletta di carne in scatola!
Mi ha incuriosito il fatto che da una delle sacche appese alla ruota anteriore della bici di DeeJay spuntava il manico di una mazza da baseball. La spiegazione è stata semplicissima e disarmante: si tratta di una personalissima forma di difesa contro gli attacchi dei cani randagi.
Costo, nove dollari al supermercato. Ho espresso ammirazione, ma, anche se costa un po’ di più, continuo a preferire il mio macchinino non cruento spara-frequenze.
DeeJay mi ha spiegato che dalle sue parti il problema vero dei ciclisti non sono i cani, bensì gli orsi: alcuni viaggiatori su due ruote hanno perso la vita, visto che sullo scatto i plantigradi raggiungono velocità impensabili anche per Cipollini. Mi ha spiegato che per difendersi da attacchi del genere quando gira in bicicletta nelle foreste dello Yukon ha a portata di mano uno shotgun, praticamente un fucile a canne mozze. Normale precauzione o riflesso ancestrale ?
E a proposito di armi, mi viene in mente Dave, il meccanico di Baton Rouge che è venuto a prendere me e la bicicletta dall’albergo ed è stato di una gentilezza sconcertante.
Ho notato però sul suo furgone l’adesivo della NRA (National Rifle Association), la potentissima organizzazione che prona il possesso libero di armi da fuoco in virtù del secondo emendamento della Costituzione.
Nel raccontarmi i lunghi tragitti fatti in bici con o senza la moglie, Dave ha sollevato il tema degli attacchi da parte di animali o umani malintenzionati e, con mio grande stupore, mi ha tranquillamente raccontato che quando parte si porta dietro la pistola.
Giustificazione: “Sono un vecchietto piccolo e indifeso. Se mi attaccano, devo pur difendermi!”.
No comment, ma attenzione a litigare con un ciclista in America: tra mazze, lupare e pistole sembra di avere a che fare con una milizia su due ruote, altro che i bersaglieri!
Ma l’incontro “italiano” più bello l’ho fatto ieri. Nel primo pomeriggio mi sono fermato a visitare un vigneto. Sissignori, perché anche in Florida, nonostante gli acquitrini e gli alligatori, si fa vino.
E il vignaiolo in questione si chiama David DaCasto, italiano di terza generazione.
A differenza di quasi tutti gli italoamericani incontrati finora, Dave è stato in Italia e ha ritrovato le proprie radici.
Sono in Piemonte, più precisamente a Calosso, venti chilometri a sud di Asti, in pieno territorio ad alta vocazione vitivinicola.
DaCasto coltiva il muscadine, che, nonostante il nome, non c’entra niente col Moscato dei nonni. È una varietà autoctona, nota fin dal 1500 e diffusa in tutto l’est degli Stati Uniti. Che produca un vino buono è un’altra storia, anche se il rosso e il rosé degustati sono risultati accettabili. Diciamo che in una degustazione dell’AIS otterrebbero da 60 a 65 punti su 100.
Forse anche per questo motivo, Dave si è dedicato a coltivare un’altra varietà molto più evocativa: la Barbera!
Il risultato è impossibile da paragonare con l’originale, ma è interessante, soprattutto se si considerano i terreni sabbiosi in cui crescono le viti, che è necessario irrigare nonostante l’apparente abbondanza d’acqua in Florida.
A scanso di equivoci, sono ripartito con una bottiglia di Porto della Florida, “famosissimo” vino da meditazione che intendo degustare sulla spiaggia di Saint Augustine mentre rifletterò sugli ultimi due mesi.
Chiudo, spiegando come ho fatto a finire in questo vigneto.
Due ore prima mi ero fermato a mangiare con Karman, assieme a cui faccio gli ultimi giorni di viaggio, in un ristorante consigliato da un ciclista locale, il Blue Water Bay, nel villaggio di Melrose.Con grande sorpresa, nel menù trovo “la coda di alligatore della Florida”. Ovviamente si tratta di animali d’allevamento, ma il cameriere mi consiglia di provare questa specialità locale. La carne è bianca, viene fritta, e al gusto
ricorda una miscela interessante di coniglio e maiale.
Visto che siamo rientrati nella civiltà e il ristorante serve anche alcolici, decido di fare uno strappo alla regola e chiedo un bicchiere di vino. Conversazione:
Emilio: Servite vino al bicchiere?
Cameriere: Certamente
E: E che vino mi consiglia con l’alligatore ? (una domanda del genere non l’avevo mai fatta!)
C: (pensoso) Le suggerisco un bicchiere di Barbera
E: (incredulo) Come ha detto, scusi?
C: (paziente) Barbera, è il tipo di vino!
E: (contento) Benissimo, finalmente un vino italiano
C: (rassegnato) Veramente, è un vino della Florida, il produttore abita a poche miglia da qui!
E: Ah!
Morale della favola: occorrerà adattare il manuale dei sommelier sugli abbinamenti cibo/vino. Barbera della Florida e alligatore sono un connubio perfetto.
E occorrerà sostituire le parole “finto scrittore” nella vecchia canzone di Giorgio Gaber. Nuovo testo:
Si passa la sera scolando barbera
scolando barbera nel trani a gogo
Per fare del colore c’è il finto pittore
con l’alligatore che parlan di sé
tra sé e sé
nel trani a gogo !
Ps: Sono arrivato sull’Atlantico, ma mi vuole un po’ di tempo perché dalle gambe la notizia arrivi alla testa.
Intanto apro la bottiglia di “Porto della Florida” e medito.