Per Toutatis
Ricordo che quando al liceo il professore decideva di assegnarci come compito in classe una versione dal latino tratta dal “De bello gallico” di Cesare, un brusio di approvazione e di sollievo percorreva la scolaresca tutta. Il motivo è presto detto: sarebbe stata una versione facile, perché nella sua opera sicuramente più conosciuta Cesare usa una prosa chiara, lineare (oggi la definiremmo sobria), priva delle difficoltà e dei trabocchetti linguistici tipici di tanti autori classici. Poi c’era il vantaggio che si sapeva già come andava finire, nel senso che, come per gli eroi dei fumetti, alla fine vinceva sempre lui. Il fatto poi che scrivesse di sé sempre alla terza persona col pretesto di farsi spettatore delle proprie gesta, era un vezzo che gli perdonavamo volentieri.
Il motivo di questa lunga premessa sta nel fatto che i libri IV e V del “De bello” sono in gran parte dedicati alle sue due spedizioni in Britannia. Oltre a magnificare le gesta militari con cui stabilisce una prima forma di controllo sulla parte sud-orientale del paese, Cesare si dedica a qualche considerazione sul popolo che sta affrontando e sul territorio che abita, con enfasi particolare sul tempo atmosferico, che da solo gli causa più perdite del nemico.
Riporto di seguito qualche estratto a mio modo di vedere significativo:
“Tra tutti i popoli della Britannia, i più civili in assoluto sono gli abitanti del Canzio (Kent), una regione completamente marittima non molto dissimile per usi e costumi dalla Gallia. Gli abitanti dell’interno, per la maggior parte, non seminano grano, ma si nutrono di latte e carne e si vestono di pelli. Tutti i Britanni, poi, si tingono col guado, che produce un colore turchino, e perciò in battaglia il loro aspetto è ancor più terrificante; portano i capelli lunghi e si radono in ogni parte del corpo, a eccezione della testa e del labbro superiore. Hanno le donne in comune, vivendo in gruppi di dieci o dodici, soprattutto fratelli con fratelli e genitori con figli; se nascono dei bambini, sono considerati figli dell’uomo che per primo si è unito alla donna…(libro V, 14)”
Nell’interno…ritengono empio assaggiare lepri, galline e oche; tuttavia le allevano per proprio diletto (voluptatis causa)… (libro V,12,6)
Seguirono parecchi giorni di ininterrotti temporali… (libro IV, 34,4)
La notte precedente era scoppiata una furiosa tempesta… (libro V 10,2)
Considerando la perdita di parecchi vascelli in seguito alla tempesta…(libro V, 23,2)
A metà di questo tragitto si trova un’isola di nome Mona… (libro V,13,3)
Ebbene, a più di duemila anni dal primo sbarco di Cesare, gli storici continuano ad interrogarsi sui cinque grandi misteri che ancora avvolgono la vita, gli usi e i bizzarri costumi di questa popolazione celtica:
Ammesso che le lepri servissero per scommettere sulle corse dei cani levrieri, cosa vuol dirci Cesare con “allevano oche e galline per proprio diletto (voluptatis causa)”?Parla delle penne che ornavano i cappellini delle regine tribali, o allude a pratiche di accoppiamento inconfessabili?
I capi tribù avevano il sangue blu perché si iniettavano il guado direttamente in vena, invece di spalmarselo?
E quando Augusto Daolio dei Nomadi cantava “Cielo grande, cielo blu”, riprendeva forse l’agghiacciante urlo di guerra dei Britanni: “Ce l’ho grande, ce l’ho blu”?
Guerrieri e casalinghe si depilavano usando una spada affilata (God shave the Queen) o si facevano la ceretta con strappo brutale?
I Celti che battezzarono l’isola di “Mona” erano di origine veneta o triestina?
Poi, fuori concorso, c’è la madre di tutti i misteri della storia: “Ma chi glielo ha fatto fare, a uno scaltro e prudente come Cesare, di invadere un paese dove, quando va bene, piove un giorno sì e l’altro pure, e quando non piove grandina?”
Alla stessa maniera, dopo che la Britannia ha goduto, dal 54 a.C. in poi, di oltre 400 anni di educazione gratuita alla civiltà romana e di altri 1600 anni di apprendimento a distanza, è giunto il momento di trovare risposta a cinque grandi domande, che potrebbero cambiare il corso delle nostre relazioni diplomatiche e commerciali con la odierna Albione. Eccole.
I Britanni del terzo millennio:
Si nutrono ancora di solo latte e carne o si sono convertiti alla dieta mediterranea?
Si vestono ancora di pelli o si sono evoluti verso il Made in Italy?
Si tingono ancora la pelle col guado per non bruciarsi a Ibiza, o lo usano solo per i tatuaggi?
Portano ancora i capelli lunghi e i baffi come Jesus Christ Superstar, o imitano Crozza?
Mettono ancora le donne in comune, o si limitano ad invitarle a cene eleganti?
Ecco, la riconquista della Britannia parte da qui.
Il poeta e mio conterraneo Alfredo Oriani, il cui monumento fa bella mostra di sé sul Colle Oppio a Roma, fu autore tra le altre cose di uno dei primi libri sul viaggio a due ruote: (La bicicletta, 1902). Scriveva Oriani: “Cento libri non vi daranno di un popolo quella conoscenza che otterrete consultandolo a viva voce in un mese…”
È esattamente quello che conto di fare a partire da domattina. Messe da parte le mie ricostruzioni storiche più o meno sgangherate e le velleità scherzose di riconquista “romana” mi inoltrerò in queste lande, novello Panzio Pelato appesantito e fuori forma, lungo strade secondarie, il più possibile lontane dal cuore pulsante e cosmopolita di Londra. Il mio vuole essere un semplice itinerario di scoperta, dettato dal caso e da una piccola guida cartacea, che ogni giorno mi aiuteranno a scegliere una strada, anzi, la mia strada. Spero di riuscire a conoscere un po’ meglio questo paese a cui devo già molto per motivi personali e che, a occhio e croce, ha molte cose da raccontarmi e da insegnarmi. Magari non nel campo della gastronomia (vedremo!), ma di sicuro in materia di tolleranza, di rispetto della persona e di difesa della natura.
God save the Queen. E anche Freddy Mercury.