G57 Piadina per tutti!

Offro io …

Il fiume Mississippi, con i suoi 3.701 km, percorre gli Stati Uniti da nord a sud.

Io, con i miei quasi 5.000 km in bicicletta, ho percorso gli Stati Uniti da ovest a est.

Facendo un calcolo approssimativo (chilometri percorsi x campo visivo), penso di avere fisicamente “visto” una striscia di questo paese grossomodo equivalente alla superficie del corso del Mississippi (lunghezza x larghezza, più il delta).

Non è molto, a ben guardare: una metaforica fettina di carpaccio made in USA, appena sufficiente per farsi un’idea di quale sia la realtà quotidiana di una particella d’America.

Già, ma quale America? Quella che, mi verrebbe da dire, nessuno mostra in televisione, se non in qualche documentario agiografico sul Far West, su una razza di tori dalle corna impossibili o sulla ricostruzione di un viaggio in moto, da costa a costa, lungo la mitizzata Route 66.

È in ogni caso l’america con la “a” minuscola, l’America profonda, o, come mi ha detto un giorno l’abitante di un villaggio sperduto, l’America che è rimasta indietro.

Ed effettivamente, il completamento della Interstate 10, la vera arteria che congiunge la California alla Florida, poco a nord di Saint Augustine, ha avuto ripercussioni importanti sulla vita delle regioni attraversate.

Ha finito per far appassire molte delle attività che prosperavano sulle vecchie statali famose, come la Route 66, la Old Route 80, o ancora la Highway 90, che sono proprio le strade che ho in parte usato io.

I villaggi che vi fiorivano sono in crisi, perché tutto il necessario per i viaggiatori si è spostato attorno alle uscite dell’autostrada, dove, spesso in mezzo al nulla, si trovano i servizi di base (rifornimento, vitto e alloggio) ormai monopolizzati dalle grandi multinazionali.

E chi dice autostrada, dice automobile, forse il simbolo americano per eccellenza. Mi sono già dilungato su come tutto, a partire dalla struttura stessa dei paesi, sia progettato in funzione del possesso di un veicolo.

Ebbene, sono felice di annunciare che anche qui le cose potrebbero cambiare, con un clamoroso ritorno al futuro.

Accanto ai pick-up da 7.500 cc. di cilindrata, posso documentare la sopravvivenza di almeno due modelli di utilitaria insuperabili.

Se riprende la loro produzione, la città di Detroit, che ha perso quasi la metà degli abitanti da quando l’industria dell’auto è crollata, può farcela a uscire dalla crisi. E con lei, l’America intera.

Si tratta della nostra 500 e del modello T della Ford, risalente al 1919.

Fidatevi, so quello che dico: la prima ce l’ho e la seconda l’ho provata!

Per dare invece un’idea della mentalità del paese che ho attraversato, mi è venuta in mente la sua immagine simbolo, quella dell’hamburger: due fette “liberal” che racchiudono un grosso contenuto “conservatore”.

Certo è una forzatura, ma rende l’idea della differenza che può esserci in termini di atteggiamento, di comportamento e di apertura, fra le zone costiere della California e della Florida e, con le dovute eccezioni, qualche migliaio di chilometri di territorio che c’è in mezzo.

Qualcuno mi ha chiesto cosa mi ha colpito di più in questo viaggio.

Difficilissimo rispondere. In positivo, direi gli stati del West: Nuovo Messico, Arizona e soprattutto Texas, per i paesaggi indimenticabili e, a mia grande sorpresa, per la solidarietà e la disponibilità all’incontro da parte della gente. In negativo gli stati a est del Texas.

La sua capitale, Austin, ha rappresentato non solo la fine della prima parte del percorso, ma anche il passaggio verso un mondo diverso, più chiuso, timoroso del contatto con la realtà, con lo sguardo fisso su un passato ai limiti del puritanesimo bigotto, e spesso ben oltre.

Girando da queste parti, ho visto anche come si manifesta una delle grandi costanti americane: l’isolazionismo.

Nei pochi notiziari seri che ho seguito, ho sentito parlare di Europa tre volte in due mesi. Ogni volta la notizia consisteva nel vedere quali erano le conseguenze per gli Stati Uniti: la vittoria dei conservatori in Inghilterra ( = il rapporto speciale fra i due paesi), la crisi della Grecia (= il cambio euro/dollaro) e l’eruzione del vulcano in Islanda (= possibili problemi commerciali). Punto. Il resto non esiste.

Nessuno sa cosa sia l’Unione Europea. Per spiegare chi è il mio datore di lavoro, ero obbligato a far ricorso alla classica espressione: I work for the government, lavoro per il governo.

Sapendo perfettamente che “lavorare per il governo”, da queste parti, è come dire che si ha la lebbra.

Non ho certo la pretesa di aver capito a fondo ognuno degli stati che ho attraversato. In due mesi li ho appena sfiorati e so che ognuno di essi meriterebbe un’analisi a sé e tantissimo tempo per poterla fare.

Il mio diario di viaggio ha voluto essere solo una raccolta di impressioni personali, per definizione soggettive, ma se c’è una cosa che voglio dire è che mi sono divertito come un matto a scrivere una paginetta o due (quasi) ogni sera.

Non solo perché tutti andavano a letto con le galline e dopo le otto non c’era niente da fare, ma anche perché volevo cercare di conservare la freschezza dell’esperienza e buttar giù la mia personale lettura di quello che avevo visto, letto, imparato, immaginato, capito o creduto di capire.

È stato bellissimo condividere questa mia esperienza con tutti quelli che hanno avuto la pazienza di leggere il blog, e ancor più di commentarlo. Non potete immaginare quanto sia stato importante il sostegno che mi hanno dato tutti i messaggi, i commenti, le mail e le telefonate che ho ricevuto. Grazie, davvero!

Mi avete aiutato non a fare un’impresa (quella è roba seria!), ma a mettermi alla prova, a conoscere meglio i miei limiti e anche i miei punti di forza, e in ogni caso a realizzare un sogno da tanto tempo nel cassetto e ad assaporare una forma di libertà diversa.

E così, ieri ho finalmente immerso la bicicletta nell’Atlantico!

Ho voluto fare la foto con tre maglie diverse, perché ciascuna testimonia di una mia identità: locale, nazionale ed europea.

Ma l’identità più importante era quella da dare alla bicicletta.

Ho ricevuto 45 suggerimenti, in maggioranza via mail.

Confesso che fino all’ultimo in pole position c’era Aquilante (anche nella versione vernacolare Acvilante).

Poi sono andato a cena in un ristorante “italiano”.

E cosa ti trovo sul menù? “Piadina”, anzi, col più classico degli errori “Piadina al proscuitto di Parma”.

L’ho anche provata e in realtà della piadina non aveva molto: era la pasta della pizza passata sulla griglia, con un condimento tipo bruschetta.

Ma l’ho preso come un segno del destino e dunque sono fiero di annunciare che ora la bicicletta si chiama “Piadina al proscuitto”, per gli amici “Piadina”.

Penultimo pensiero per il mio amico Guido Carretta, vecchio compagno di scherzi all’università, che a questo mio periplo ha dedicato, oltre ad una generosa donazione, anche un fumetto, che in una quarantina di tavole satireggia le avventure di DalmonTEX.

Il blog non rende giustizia a questa sua opera, per cui mi riprometto di valorizzarla come merita in futuro.

Last but not least, come diciamo noi americani, ricordo che lo scopo principale del viaggio è quello di raccogliere fondi per una associazione che finanzia e gestisce, inter alia, un ospedale nella zona di Ruvuma, in Tanzania. Questo è il suo sito: www.ruvuma.it/

Ricordo che potete dare un contributo direttamente all’associazione, oppure sul conto speciale che ho aperto a Bruxelles. Coraggio! Mentre io mi riposo, voi avete 10 giorni per fare un ultimo sforzo .

(n.d.a. A luglio 2010 il conto è stato regolarmente chiuso e gli oltre 10.000€ depositati sono stati interamente versati a RUVUMA Onlus, assieme ai nominativi dei donatori).

L’avventura è finita, e il film “l’armata Brancaleone” ce ne dà forse il riassunto migliore, con il coro che intonano i pellegrini in cammino col monaco Zenone verso la Terra Santa:

Longo lo cammino ma grande la meta.

Sanza armatura, sanza paura, 

sanza calzari, sanza denari, 

sanza la brocca, sanza pagnocca, 

sanza la mappa, sanza la pappa.

Senza la pappa forse.

Ma, per fortuna, avevo la Piadina.

Al proscuitto, ovviamente!

Fine del primo episodio