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governo in bilico?

Ci sono due cose che detesto quando vado in bicicletta: la salita e la pioggia.
Oggi ho avuto l’una e l’altra in abbondanza. Ovviamente c’era da aspettarselo, visto che attraverso un paese prevalentemente collinare, dove piove in media 135 giorni all’anno. però la combinazione rimane sempre micidiale.

Worcester-Ironbridge 40 miglia. 31-7-2013

Worcester-Ironbridge 40 miglia. 31-7-2013

In questi giorni piove perché il vento si è rimesso a soffiare come deve, cioè da sud-ovest. Il che va benissimo da un lato, perché mi soffia quasi alle spalle, ma dall’altra parte porta con sé dell’oceano masse di aria umida e quindi le abituali perturbazioni.

Perciò stamattina ho fatto buon viso a cattivo gioco, ho indossato tutto il materiale impermeabile che ho con me, cioè copriscarpe, calzoni e giubbotto con cappuccio, e mi sono incamminato verso il mio destino. Scaramanticamente, ho provato a recitare sottovoce tutte le poesie imparate a memoria da bambino che avessero una qualche attinenza con la pioggia, ma non è servito a niente, se non a rinfrescare la memoria.

Pecore e rape

Pecore e rape

Oltre ai classiconi, D’Annunzio e Montàle in primis, è venuto naturale ricordare “La pioggia”; mi ha fatto capire che, a differenza del suo contemporaneo Alfredo Oriani, romagnolo come lui, Giovanni Pascoli non è di sicuro mai andato in bicicletta, sennò non avrebbe mai scritto un verso come questo:

Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose; e piovve a catinelle.
Poi tra il cantare delle raganelle
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo

Effettivamente stamattina il sole non si è visto per nulla, mentre c’era una nuvolaglia bassa e umida che quasi faceva arrugginire la catena della bici. E le raganelle… ma quando mai? Gli unici rospi in circolazione erano quelli che mandavo giù io assieme a qualche irripetibile imprecazione non appena la strada si impennava.

Pista ciclabile nel bosco

Pista ciclabile nel bosco

Meglio avrebbe fatto Pascoli a scrivere versi meno poetici, ma più vicini alla realtà delle cose, del tipo:

E il sol chi l’ha mai visto
In quest’ umido paese?
Vai, di GoreTex provvisto
O mio buon cotignolese…

Poi, improvviso colpo di scena: ho preso il treno!

Per dire la verità, era un diversivo programmato, non dovuto al fatto che ero inzuppato in parti uguali di pioggia e sudore: si trattava semplicemente di provare l’ebbrezza di prendere un vecchio treno coi sedili di legno e tirato da una locomotiva a vapore, che copre una dozzina di miglia lungo la vallata del fiume Severn, che, fra parentesi è il più lungo d’Inghilterra e sfocia nella baia di Bristol, dove ero due giorni fa.

Ponte sul fiume Severn tra Bristol e Chepstow

Ponte sul fiume Severn tra Bristol e Chepstow

L’atmosfera a bordo, nonostante l’età della locomotiva, non è propriamente quella dell’Orient Express.

Diciamo che il pubblico dei viaggiatori è fatto per metà di turisti americani che un treno vero non l’hanno mai visto, per cui fotografano tutto: i sedili, la ritirata, le tendine e il bigliettaio, e quando la locomotiva fischia si mettono a urlare “ciuff ciuff” come se fossero tornati bambini.

L’altra metà è fatta invece di bambini veri, inglesi, accompagnati da nonni impassibili che manifestano uno sdegnoso distacco nei confronti delle intemperanze verbali di questi ex-sudditi delle colonie. I bambini, dopo uno sguardo fugace a quelle colline verdi, bagnate e tutte uguali, silenziosamente giocano col telefonino.

Immagine della speranza

Immagine della speranza

All’arrivo a Bewdley, il capolinea, vengo accolto da un bel cielo color ghisa e dal tamburellare festante della pioggia, fine, insistente e monotona; per cui decido di fermarmi a mangiare nel pub della stazione, una specie di circolo ferrovieri aperto al pubblico. In onore a Pascoli e alle sue raganelle, vorrei tanto ordinare un piatto di rane fritte, ma il pub non ha la cucina, quindi mi devo accontentare di quello che c’è: caffè riscaldato, arachidi salate e un grande classico della gastronomia britannica: la “pork pie”.

Achtung. Pork pie!

Achtung. Pork pie!

Cos’è? Con un po’ di buona volontà lo potremmo chiamare un “pasticcio di maiale in crosta”. Qualcuno più cattivo di me lo definirebbe un pasticcio e basta. Diciamo che è un contenitore simile a quello del “pasty” della Cornovaglia, fatto di farina, acqua e lardo, riempito però di carne di maiale cotta, condita e tagliata a pezzi, a cui si aggiunge una gelatina personalizzata. Come sempre in questi casi, il prodotto industriale che si trova al pub è molto peggiore di quello che le mani sapienti delle “arzdore” inglesi sanno confezionare in casa. Per cui, il mio giudizio è sospeso.

Prima di uscire per cena ho fatto sosta in negozio che si vanta di fare una “pork pie” artigianale famosa in tutto il mondo. Nientemeno. Ne ho comperato una e, da bravo giudice imparziale, non influenzato dalle pressioni della piazza, dalle arringhe del PM e degli avvocati, né dalle possibili conseguenze della mia decisione sul futuro del paese, stanotte rifletterò. Domani, primo agosto, la sentenza 🙂

Famoso in tutto il mondo ?

Famoso in tutto il mondo ?

Ultima considerazione sul tempo, stavolta di ordine linguistico. Le previsioni del tempo in questo paese si risolvono quasi sempre nella stessa formula: “showers, with sunny intervals”, ovvero “rovesci accompagnati da schiarite”. Ho sempre trovato buffo che la parola “shower” significhi, oltre a rovescio, anche “doccia”.

Ecco, domani spero tanto di fare la doccia prima e dopo la tappa in bicicletta.

Non durante.

Pericoloso concorrente  del Team Royal Mail

Pericoloso concorrente del Team Royal Mail

 

dopo le cinque

Per non perdere quel poco di forma fisica che i circa 500 chilometri percorsi finora mi hanno permesso di recuperare, oggi ho deciso di salire i 235 scalini del campanile della cattedrale di Worcester, bella città appollaiata (e appisolata) sulle rive sinuose del fiume Severn, nella regione delle West Midlands, grosso modo al centro dell’Inghilterra.

Cattedrale lato fiume

Cattedrale lato fiume

Non esiste contrasto maggiore di quello che c’è fra una passeggiata in bicicletta nella campagna inglese e infilarsi su per una scala a chiocciola ripidissima, lungo un budello di pietra in cui si passa uno alla volta, aggrappati ad uno scorrimano reso appiccicoso da generazioni di scalatori impacciati e sudaticci.

 

Scala a chiocciola con scarpa

Scala a chiocciola con scarpa

Il bello è che per avere il privilegio di affrontare la salita ho pure dovuto pagare 4 sterline ad una signora magrissima, di età non lontana da quella della cattedrale, che annotava su un registro il nome di ogni visitatore, l’ora di entrata nella torre e l’ora di uscita. Essendo lei sorda come tutte e 15 le campane della chiesa messe assieme e volendosi ostinare per di più a scrivere i nomi in bella calligrafia piena di svolazzi, questa registrazione anagrafica completamente inutile prende almeno un minuto per persona. Così, chi è in fila ad aspettare il proprio turno capisce l’antifona, strizza l’occhio al vicino e si adegua.

Cattedrale con vista

Cattedrale con vista

Quando, tra 2.000 anni, un archeologo disseppellirà gli archivi della cattedrale di Wells arriverà alla strabiliante conclusione che metà degli inglesi maschi del 21.o secolo si chiamavano Joe e l’altra meta aveva nomi di tre lettere, quattro al massimo. Tra le donne, netta prevalenza di Bo e Jo.
La scena si ripete, paradossale, all’uscita dalla torre, con l’aggravante che chi non si ricorda del nome breve ma fasullo dato all’entrata, punta il dito a casaccio sul registro e dice: “Sono quello lì”.
Se avessi dato il mio nome vero, straniero e pieno di vocali, la trascrizione sarebbe durata quanto una gravidanza: per la cronaca, mi sono spacciato per Sid (Sex Pistols oblige).

 

Fotografia aerea

Fotografia aerea

Nonostante gli intoppi “burocratici” e un po’ di claustrofobia, alla fine la visita è valsa la pena, perché ho potuto ammirare il meccanismo dell’orologio, che batte le ore esattamente come Big Ben a Londra, la sala dove si tengono i corsi per campanari (con tanto di simulatore computerizzato per non rompere i timpani agli abitanti) e una bella vista panoramica della città, del fiume e della verdissima campagna circostante.

Aggiungo solo che la cattedrale risale al ‘200, è bellissima, ben tenuta e maestosa, con il suo chiostro interno, la sala capitolare, le immense vetrate policrome e una cripta piena di reperti a metà fra l’archeologia e la devozione delle reliquie. Il coro della cattedrale che si esercitava intonando salmi ha reso l’esperienza ancor più suggestiva.

Fragile !

Fragile !

Per un turista di passaggio e distratto come me, la cattedrale, con il suo parco che digrada verso il fiume sotto lo sguardo corrucciato della statua del musicista Edward Elgar,è sicuramente il pezzo forte di questa città, i cui importanti trascorsi storici sono testimoniati anche da un discreto numero di meravigliose case dell’epoca Tudor, coperte di intonaco bianco e con le travi di legno a vista, nere.

Villetta

Villetta bifamiliare

Non mi stancherò mai di ripetere che i ritmi di una città come questa sono totalmente diversi da quelli della capitale. Qui non siamo a Londra, qui si vive con un passo totalmente diverso, molto più lento. Torna ad avere un senso la tradizionale espressione “nine to five”, cioè si comincia a lavorare alle nove di mattina e alle cinque si chiude, negozi, impiegati o operai non importa. Il rovescio della medaglia è che mentre nelle metropoli la vita pulsa a tutte le ore, qui la strada principale, la “high street”, alle cinque del pomeriggio chiude le saracinesche e si trasforma in una specie di deserto dei tartari, con poche persone che mi sfilano davanti a passi frettolosi, mentre scrivo e bevo un cappuccino (ebbene sì, un cappuccino di pomeriggio!) di fronte all’unico locale ancora aperto a quest’ora.
È l’ora in cui si va a casa o, più probabilmente, al pub per chiudere la giornata di lavoro e aprire quella della socializzazione davanti a qualche pinta di birra, preferibilmente scura e servita a temperatura ambiente.

Organi caldi

Organi caldi

Una considerazione finale su come, secondo me, lo sviluppo della tecnologia digitale stia cambiando anche la fisionomia delle città inglesi come questa. Stamattina ho percorso tutta la strada commerciale principale di Worcester, la sua “high street”, annotando i negozi che vi si trovano. Ecco la lista:
25 negozi di abbigliamento e scarpe
19 locali per mangiare e bere (caffè, ristoranti, pub, kebab, pizzerie…)
12 istituti finanziari (banche, assicurazioni, istituti di credito per mutui…)
11 agenzie immobiliari
7 gioiellerie
6 negozi di telefonia
4 agenzie di scommesse e poco altro.

Periodo Tudor-pisano

Periodo Tudor-pisano

Sembrerebbe che l’inglese medio ormai passi il suo tempo a cercare casa e a contrarre mutui per comprarla. La cucina della nuova casa può anche essere piccola, tanto può mangiare fuori: costa poco, si fa veloce e intanto, tra una scommessa e l’altra, si può anche dare un’occhiata alle vetrine del lusso per tutti e dell’abbigliamento globalizzato, colorato e fintamente originale. Forse sono troppo pessimista, ma resta il fatto che in tutta la strada non c’è un giornalaio e ho visto un solo negozio di dischi e una sola libreria, cosa perlomeno strana in una città universitaria e in un paese in cui la lettura è sport nazionale, seconda solo dietro al ciclismo (e un giorno scopriremo anche come fanno ad andare improvvisamente così forte!). Non esiste più un solo negozio di apparecchi elettronici o fotografici e per trovare una memoria per immagazzinare le mie foto ho dovuto fare il giro della città.

Wells-Cheptow 50 miglia 28-7-2013

Wells-Cheptow 50 miglia 28-7-2013

La spiegazione è semplice e si chiama internet. Il negozio sulla “high street” sta diventando la vetrina in cui il consumatore studia il prodotto, che poi compera a meno prezzo in rete e aspetta seduto comodamente a casa. Temo che il futuro sia questo anche in Italia, che inevitabilmente ripercorre, con qualche anno di ritardo, la strada degli altri paesi europei ufficialmente più evoluti.

Penso che proverò almeno di non farmi sommergere (novello don Chisciotte?) dall’avanzata apparentemente inarrestabile di questo rullo compressore che mi vuole obbligare ad avere l’orecchio sempre incollato all’ iPhone, a digitare numeri al telefono per avere una banale informazione o a parlare con macchine idiote a riconoscimento vocale, piuttosto che con esseri umani.

Chepstow-Worcester 60,8 miglia 29-7-2013

Chepstow-Worcester 60,8 miglia 29-7-2013

Anzi, a dirla tutta ripenso con affetto alla signora della cattedrale e al suo folle registro.
Domani ci torno, faccio la fila e pago di nuovo quattro sterline:
“Your name, please?”
“Emilio Alberto Pietro Dalmonte da Cotignola”

Detto Sid.
Sid Vicious, ma solo per gli amici!

Ma Totti non c’entra

 

Polzeath-Launceston   37 miglia. 24-7-2013

Polzeath-Launceston 37 miglia. 24-7-2013

Quando, sul punto di giungere stremato alla fine dell’ennesima salita e della quinta giornata in sella, nel mio campo visivo periferico è sembrata passare l’immagine simbolo di Roma, cioè la lupa che allatta Romolo e Remo, ho pensato che la tradizionale colazione all’inglese della mattina fosse stata arricchita non dai soliti funghi coltivati, ma da una manciata di funghi allucinogeni messicani, che tanto andavano di moda prima che comparissero sul mercato le droghe sintetiche.

Launceston-Tiverton (Devon) 50 miglia. 25-7-13

Launceston-Tiverton (Devon) 50 miglia. 25-7-2013

 

Invece, dopo una rapida retromarcia e un vigoroso auto-schiaffeggiamento, ho constatato che era tutto vero. Ma cosa ci fa questa sfacciata esibizione di romanità in cima a Pen Hill, nella campagna verde del Somerset, a pochi chilometri dalla città di Wells? A prima vista, non c’entra niente. A seconda vista, nemmeno. È come se in una cittadina italiana a caso (non prendo Cotignola per non essere accusato di campanilismo), diciamo Ariano Irpino, sul campo sportivo dominasse una replica della statua di Nelson che si trova a Trafalgar Square!

Tiverton-Wells 67,8 miglia. 26-7-2013

Tiverton-Wells 67,8 miglia. 26-7-2013

La coincidenza era troppo invitante per potervi resistere, e così ho passato il mio giorno di riposo a cercare di risolvere il “mistero della statua”.
Alla fine non c’è voluto molto, nel senso che è bastato incontrare una persona che di quella statua conosceva tutta la storia: Tony D’Ovidio.

Allucinazione inglese

Allucinazione inglese

Tony è un imprenditore edile affermato, italiano di seconda generazione e molisano d’origine. Pur preferendo raccontarsi in inglese, va fierissimo dell’italianità della sua famiglia, ma allo stesso tempo è un protagonista riconosciuto della vita sociale di questa placida, per non dire sonnolenta, città del Somerset. La storia che mi racconta è notevole.

Durante la seconda guerra mondiale, molti soldati italiani vennero fatti prigionieri dagli inglesi vittoriosi, soprattutto a Tobruk, e vennero trasportati in campi di prigionia sparsi in tutto il paese. Uno di questi campi si trovava proprio a Wells e Tony mi ha mostrato alcune delle baracche che tuttora testimoniano l’evento. Alcune sono abbandonate, altre sono diventate nientemeno che una scuola elementare. Si vede che i prigionieri di guerra italiani non incutevano il terrore sacro, tant’è vero che durante la giornata erano autorizzati a lavorare, dietro compenso, nelle fabbriche, nelle miniere e nelle fattorie della zona. E i contatti con la popolazione locale si sono infittiti, al punto che, finita la guerra, una parte dei prigionieri, riacquistata la libertà, ha preferito rimanere sul luogo, che per alcuni era anche diventato il luogo del misfatto, come testimoniano le numerose famiglie miste italo-inglesi nate in quegli anni.

È proprio uguale

È proprio uguale

E la statua? Ebbene, un ex-prigioniero particolarmente dotato artisticamente preparò con cura lo stampo e fece la colata di cemento che ancora oggi, dopo l’opportuno restauro della D’Ovidio Bros, domina la vallata di Wells, e si offre, poggiata su due colonne di almeno quattro metri d’altezza, alla beata incomprensione di quasi tutti i frettolosi passanti. Per fortuna, una volta all’anno, da 18 anni a questa parte, il campo su cui è stata piazzata la statua diventa il luogo di una grande festa popolare, in cui italiani, inglesi, discendenti dei prigionieri e gente comune si incontrano per celebrare il rito pagano dell’amicizia e del rispetto. Antipasto di salumi, penne all’arrabbiata, porchetta, vino e tiramisu danno il loro piccolo, innegabile contributo!

Tony e Patricia

Tony e Patricia

Eppure, nella comunità c’è chi ha ancora ricordi di prima mano; come Patricia, oggi ottantaquattrenne e bambina all’epoca dei fatti. Mi guarda e mi dice che la guerra non è mai servita a niente, le ha portato via un fratello e ha causato solo tanta sofferenza. “Per fortuna che oggi non ci sono più guerre”, dice convinta e per parlare di come venivano trattati i prigionieri di guerra usa la parola “kindness” (gentilezza). È strano come la stessa parola (kindness) ricorra anche nella placca commemorativa che si trova ai piedi della statua. È un’aggiunta recente; è stata donata da un benefattore italo-canadese che non ha mai voluto rivelare il suo legame con il campo di prigionia e con questo apparente esempio di solidarietà e di umanità fattiva. Ma, evidentemente, la storia che racconta l’autore della placca non è diversa da quella che ho sentito io.

Scorcio di Wells

Scorcio di Wells

Dopo aver brillantemente risolto il mistero della statua romana di Wells, ho fatto il giro della città, famosa in tutto il mondo per la sua bella cattedrale medievale di impianto gotico, oggi anglicana.

La cattedrale (quella vera)

La cattedrale (quella vera)

Quello che molti non sanno è che a Wells c’è anche una chiesa cattolica molto bella e imponente, che va sotto il nome di St. Cuthbert. Ebbene, nel prato di fronte alla chiesa, due ignari turisti italiani, sbarcati da un camper megagalattico, commentavano con rabbia che il loro libro dava una descrizione totalmente errata della cattedrale e dei suoi tesori…
Peccato fossero davanti a St.Cuthbert, e non alla cattedrale, che è dall’altra parte della città!

Permesso?

Permesso?

Caro Tony, non è che con i tuoi operai puoi rimettere in sesto una di quelle baracche in disuso nel campo di prigionia? Avrei due candidati da affidarti per qualche anno.

Tanto, so che li tratterai con gentilezza.

…Vanilla fudge.

Un killer si aggira per la Cornovaglia, indisturbato. Per i suoi misfatti predilige i negozi che vendono paccottiglia per turisti, ma è stato avvistato anche in ambienti più raffinati e non disdegna i ristoranti. Alla polizia sono giunte segnalazioni persino dall’aeroporto, ma lui continua ad eludere l’arresto.
Dicono sia nato in America e la traduzione del suo nome è tutto un programma: “to fudge” significa “ingannare, falsificare, svicolare…”
Si pronuncia come le prime tre lettere della parola italiana “fagiano”, ma le affinità finiscono qui. Addirittura, nell’anno 1966 d.C. un gruppo musicale psichedelico americano (quello che allora si chiamava un “complesso”), scelse di chiamarsi con il suo nome (Vanilla Fudge) e raggiunse una discreta celebrità, con pezzi mitici come “Some velvet morning” e pezzi terrificanti come “Bang bang, you shot me down”, che nel corso dei decenni ha comunque conosciuto versioni a raffica con tanto di traduzione, da Mina all’Equipe 84, da Dalida a (incredibile) Iggy Pop, indiscusso proto-re del punk.

Wanted

Wanted

Ma non divaghiamo. In realtà il fudge è spacciato come un dolce. La cosa che più gli assomiglia è il caramello, anzi è caramello con la consistenza della gomma americana.
È un killer perché basta guardarlo e si prende il diabete.
Non è un cubo di zucchero. È zucchero al cubo, anzi all’ennesima potenza!
Gi ingredienti sono i soliti ignoti, cioè zucchero, burro e latte, riscaldati e sbattuti fino a raggiungere la consistenza e l’elasticità di una palla da tennis. Per buona misura, agli americani succede di aggiungerci anche un po’ di sciroppo di acero. L’aggettivo giusto per descriverlo è stucchevole, nel senso che dopo due assaggi diventa insopportabile, e per di più, come lo stucco, una volta in bocca diventa mammozzone appiccicoso che ti rimane incollato alla volta del palato e minaccia seriamente la saldezza delle otturazioni dentarie.

Frutta e verdura a babordo!

Frutta e verdura a babordo!

Perché ne parlo? Perché partendo di domenica mattina con vento forza 8 in faccia, sono arrivato ad ora di pranzo affamato come un lupo, ed è in quel preciso momento che ho capito la prima grossa differenza tra Londra (e ogni altra città del paese) e la Cornovaglia, ovvero la campagna inglese in genere: i supermercati (e i negozi di alimentari, sempre che esistano ancora), chiudono alle 5 di sera e soprattutto restano chiusi la domenica. Risultato: dopo una mezzora di ricerca in tutta Marazion, amena località costiera in cui i turisti vanno per soddisfare il loro istinto masochista, ho trovato un solo negozietto aperto che vendeva esclusivamente souvenir, gelato e fudge. Alla sera, il cardio-frequenzimetro aveva un bel dirmi che avevo consumato 6.000 calorie; non sapeva che con due morsi di fudge ne avevo assunto almeno il doppio!

Dopo questa esperienza, ho deciso di conservare il pezzo di fudge che mi rimane (vedi foto) fino alla fine del viaggio e oltre. Gli usi possibili sono molteplici: riparazione di pneumatico della bici in caso di foratura, riserva alimentare in caso di attacco sudcoreano prolungato, succedaneo della colla e del silicone per ripiastrellare il bagno, paraurti o casco di protezione, trafilatura per uso “bungee jumping” (in italiano, salto con l’elastico), e molti ancora.

St. Enodoc

St. Enodoc

Ma lasciamo da parte l’ironia sulle specialità corniche, per dire qualcosa sull’aspetto paesaggistico, che, per fortuna, mi ha ripagato abbondantemente delle disgrazie del palato. Un esempio valga per tutti: la chiesetta di Saint Enodoc, con annesso cimitero che da un lato raccoglie alla rinfusa lapidi dal 17.o secolo in poi, e dall’altro accoglie quella che ricorda Sir John Betjeman, che fino al 1984 è stato uno dei più amati “poeti di corte”, e che qui aveva scelto di vivere gli ultimi anni della sua vita e chissà quanti del suo prosieguo.

Rest in peace

Rest in peace, Sir John

Betjeman, pur essendo nato a Londra da una famiglia di antiche origini olandesi, amava la Cornovaglia, il vicino villaggio di Trebetherick, dove abitava, e questa meravigliosa chiesetta risalente al 12.o secolo, oggi anglicana, semi sepolta nelle dune e con il tetto a forma di cono storto, dove risuona una campana sopravvissuta al naufragio secoli fa di una nave italiana, chiamata “Immacolata” e proveniente da Barletta.
Nelle sue poesie i riferimenti alla regione, al villaggio e alla chiesa sono innumerevoli: “Blessed be St Enodoc, blessed be the wave…” recita un verso della sua poesia “Trebetherick”.

Il cono di Pisa

Il cono di Pisa

A parte il rispetto che si deve alla sua figura, mi corre però l’obbligo di precisare che il titolo ufficiale di Betjeman era “poet laureate”, che io ho approssimativamente tradotto con “poeta di corte”. Il fatto che fosse laureato non c’entra niente: rientra solo nella lunghissima lista delle parole ingannevoli che i traduttori conoscono bene, i cosiddetti “falsi amici”.

Ma la figura stessa di “poet laureate” rappresenta una di quelle tradizioni che un italiano come me considera a metà fra l’inutile e il ridicolo, ma che in realtà costituiscono una piccola parte, irripetibile e non condivisibile con altri, della identità profonda di un suddito di Sua Maestà, del suo essere inglese, o meglio britannico.
Perché, cosa fa un “poeta laureato” ? Conduce la sua vita normale, in genere scrive per mestiere, ma tecnicamente il prestigioso incarico, conferito dal sovrano fin dal 1700 e che dura a vita, non comporta nessun obbligo formale. L’unica cosa che ci si aspetta è che il poeta componga dei versi (si spera indimenticabili) nelle occasioni di “rilievo nazionale”.

Paesaggio cornico

Paesaggio cornico

Resto in attesa trepidante, per vedere se la nascita di Ciro Emilio Alfred Windsor, terzo in linea di successione al trono, meriterà adeguata produzione poetica! Tutto dipenderà dallo stato di sobrietà in cui si troverà l’attuale poeta, anzi poetessa, Carol Ann Duffy, che assomma tre record nella sua persona: è la prima donna poeta di corte, è la prima scozzese ed è la prima dichiaratamente gay. Fin qua tutto bene: il problema è che la ricompensa annuale (attenzione: annuale) per questa carica reale consiste in appena 5.000 sterline, accompagnate però da 477 litri di sherry!

Speriamo che Carol sia astemia, o al povero Ciro potrebbe toccare una strana ninna nanna:

Nonostante il capogiro
Riesco a prendere la biro.
Scrivo a getto un elzeviro
Dedicato al nostro Ciro
Che già dorme come un ghiro,
Manco fosse un fachiro.
Ninna nanna, ninna è
Che un bel giorno sarai re!

Ps: Chiedo scusa per il fatto che non rispondo agli innumerevoli messaggi e commenti che ricevo. In realtà, avrete capito che quando arrivo a destinazione la sera sono piuttosto cotto e passo il tempo a mettere in ordine i deliri pensati durante il giorno. Ma vi prego, continuate a scrivere, per me è un grande incoraggiamento. E con queste salite, ne ho proprio bisogno:-). E adesso sta pure piovendo…

è nato niro

Se è vero che il bambino più mediatizzato al mondo un giorno sarà re, oltre che della Gran Bretagna, anche di un numero assurdo di paesi dall’altra parte del mondo, tra cui Antigua, Bahamas, Barbados, Belize, Granada e Giamaica, sarebbe simpatico, oltre che politicamente corretto, se avesse la pelle scura. Confido quindi che tra qualche giorno, complice qualcuna delle leggi di Mendel sulla ereditarietà, avremo diritto ad una sorpresa planetaria: fuori da Buckingham Palace la banda militare dei Gurkha suonerà

Coltelli Gurkha

Coltelli Gurkha

ininterrottamente quel gioiello della canzone popolare napoletana che è la “Tammurriata nera” e il portavoce di palazzo annuncerà il nome del futuro erede della corona: Ciro!
Anzi, per completezza, Ciro Windsor.

Segue versione originale e libera traduzione inglese:

È nato nu criaturo, è nato niro,
e ‘a mamma ‘o chiamma gGiro,
sissignore, ‘o chiamma gGiro (Ciro)

The Royal Baby’s black, this is Ground Zero!
His mother calls him Ciro
Oh yes sir, she calls him Ciro

Panzio Pelato mentre Ciro viene mostrato alle folle

Panzio Pelato soddisfatto, mentre Ciro viene mostrato alle folle

In attesa del felice annuncio, suggello ultimo dell’avventura imperiale e della conseguente apertura sul mondo di questa isola felice, devo constatare con assoluto stupore che né Ciro, né Emilio compaiono tra gli oltre 200 nomi sui quali si scommette al momento. Esaminando la lista, si nota subito che i nomi femminili sono crollati nelle quotazioni, ma non sono stati eliminati del tutto: infatti una società di allibratori li dà ancora indistintamente a 949 a 1. Ossia, uno scommette una sterlina che l’erede maschio si chiamerà Isabella e, se la famiglia reale dovesse decidere una clamorosa apertura verso il mondo transgender, porterà a casa 948 sterline.

Si sa che i nomi più gettonati al momento sono Giorgio, Giacomo, Arturo e Alessandro, cioè tutti classici della dinastia presente e di quelle passate.
A me, personalmente, piace molto il nome Alfred.
Alfred fu un grande personaggio storico, che per aver difeso con successo il regno del Wessex dalle scorribande dei Danesi alla fine del IX secolo, fu il primo ad essere chiamato “il Grande” e soprattutto “re di Inghilterra”. Un po’ come Hitchcock.

Vorrei tornare un momento alla lista dei nomi per ripetere che Ciro, e ancor meno Emilio, non sono nomi così strampalati per un futuro monarca. Vediamo perché:

E Adriano è forse un brutto nome?

E Adriano è forse un brutto nome?

Psy, il rapper sudcoreano, è dato a 5.000 a 1: un affarone!
Brooklyn è dato a 1.000
Appena meglio Elvis, Wayne e Luther (500:1)
Sempre a 500 troviamo un terrificante Rumpelstiltskin. È il nome di un nano cattivissimo (a volte ritornano) protagonista di una favola dei fratelli Grimm e ripreso anche in un film dell’orrore degli anni ’90. Per chi ha la letto la storia, in italiano è il nano Tremotino.
Non poteva mancare Barack, dato 250:1 e possibile alternativa a Ciro.
Sempre a 250:1 abbiamo un nostalgico Thatcher e un misterioso Sapesan.
Viste le origine tedesche della dinastia, ecco spuntare Otto a 150:1
A 100:1 c’è un incomprensibile Duke. Come si fa a chiamare Duca uno che deve fare il re?
Sotto quota 100 i nomi diventano più accettabili, per non dire banali, ma tant’è.
Il mio preferito, Alfred, spunta un buon 50:1, quindi può essere considerato un outsider di tutto riguardo. Domani mi fermo in una ricevitoria e punto un bel bigliettone su Alfred vincente e un altro sul terno secco: Ciro, Barack, Emilio Windsor.
Se esce, divento milionario e vado a fare la traversata delle Bahamas!

Prima tappa

Prima tappa

A proposito. Dimenticavo che lo scopo del blog sarebbe anche quello di raccontare come sta andando il viaggio. Lo dico con una parola sola: malissimo, nel senso che di questo passo rischio di arrivare in Scozia per Natale. Senza voler essere blasfemo, come in ogni Via Crucis che si rispetti, anch’io vado avanti a tappe.

 

Prima tappa: Land’s End – Parrenporth: 44 miglia. Media ridicola e indolenzitura del polpaccio destro.

Seconda tappa: Parrenporth – Polzeath 30 miglia e gambe come due travi di legno.

Seconda tappa

Seconda tappa

Ribadisco il concetto di ieri: la Cornovaglia non è un paese per ciclisti e non è un caso se le poche biciclette che vedo in giro sono quelle che potenti Suv, guidati da gente sana di mente, trasportano verso qualche regione più consona alle due ruote.
Comunque, ormai sono in ballo e devo ballare, anche se il ritmo da seguire è quello forsennato di una giga cornica suonata con strumenti tipici: violino, corno, arpa e cornamusa.
Fuor di metafora musicale, capisco anche perché i Romani non si siano dannati l’anima più di tanto per conquistare queste lande che avrebbero dato loro tanti grattacapi e solamente una materia prima: lo stagno. Hanno preferito far venire lo stagno dalla Spagna, dove costava meno estrarlo (globalizatio, globalizationis…?), dove c’era il sole e non si rischiava di sprofondare negli acquitrini delle brughiere.

Ad maiora!

Ad maiora!

Insomma, se il progetto di riconquista della Britannia del centurione Panzio andrà in porto, mi impegno fin da ora, in accordo con il nuovo sovrano Ciro, a spianare ogni collina del paese e a trasformare questo luogo di sudore e sofferenza insensata in una nuova realtà morfologica perfetta per il chilometro lanciato, le gare di atletica, il bowling e le bocce, le piste per le biglie e le corse dei dragster.

Benvenuti nel tavoliere della Cornovaglia, altitudine 10 centimetri s.l.m!

Ps: ringrazio fin da ora l’amico Guido Carretta che si trova in questo preciso momento in Cornovaglia. Lui dice che è una coincidenza, ma io so che vuole documentare accuratamente le sue vignette. Tornerà fra due settimane con la sua personalissima visione a fumetti di questa nuova avventura di Panzio Pelato.