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Caviale a sbafo

 

Mentre mi appresto, dopo un giorno di riposo nella magnifica città di Wells, a completare il mio trittico di regioni del sud-ovest dell’Inghilterra e a virare verso il centro-nord, qualche considerazione si impone su ciò che, sia pur frettolosamente, ho visto in questa prima settimana di viaggio.

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Dico anzitutto che per chi ama la natura e ha un’idea romantica della campagna, Cornovaglia, Devon e Somerset sono, ciascuno alla sua maniera, regioni da non perdere; e non a caso, soprattutto le prime due d’estate raddoppiano praticamente la loro popolazione.

Surfisti allo sbaraglio

Surfisti allo sbaraglio

L’impressione che ho avuto partendo dalla costa e muovendo verso l’interno, è stata quella di visitare due paesi diversi. Sono partito dalle città della costa atlantica: qui si riversano soprattutto giovani, artisti e famiglie. I primi sono in genere surfisti alla ricerca di emozioni forti, che catturano le onde dell’oceano e volteggiano, in piedi, accucciati o stesi sulla pancia, con ogni genere di tavola: da surf, a vela, attaccata a un paracadute o a un aquilone. Per chi come me non sa nemmeno nuotare, è uno spettacolo bello ma incomprensibile, anche perché ogni volta che sento la parola tavola a me viene semplicemente l’acquolina in bocca.

Surfing in the rain

Surfing in the rain

Poi dicevamo degli artisti, pittori in particolare. Ora, a me le cittadine costiere della Cornovaglia sono sembrate tutte molto simili come struttura, salvo avere diversi gradi di eleganza estetica. A voler essere brutali, Newquay è abbastanza orrenda, mentre Padstow è carinissima. Ce n’è una però, St. Yves, che merita un discorso a parte, perché la popolazione è fatta soprattutto di artisti, che sostengono che qui la luce ha una qualità tutta speciale. Ammetto di non saper fare una “o” con un bicchiere, quindi avrei bisogno di un fotometro per capire in cosa la luce di St. Yves sia diversa dal resto del mondo. Ma da bravo cinico, ho come la sensazione che giochino altri fattori.

Alfred (the Great?)

Alfred (the Great?)

Sembra che la moda dei pittori sia nata negli anni ’20, quando un tale Alfred Wallis, dopo aver fatto il pescatore tutta la vita, decise a 67 anni che si faceva meno fatica a dipingere i pesci come autodidatta che a prenderli con la rete alzandosi alle tre ogni mattina. E si guadagnava anche di più.
Da allora, St. Yves è diventata una vera e propria colonia di artisti, con decine e decine di gallerie d’arte che ingentiliscono le case di pietra del borgo e riempiono di colore le sue stradine scoscese. Addirittura, la Tate Gallery di Londra ha aperto una succursale di fronte alla spiaggia, dove espone collezioni di arte prevalentemente moderna e prodotta in loco.

La terza componente della fauna turistica costiera sono le famiglie, che durante i mesi della transumanza dalle città, luglio e agosto, non esitano a invadere campeggi e pensioni bed and breakfast con il miraggio della vacanza a buon prezzo, degli spettacoli di burattini per i pargoli e con la garanzia assoluta di trovare ogni cento metri un posticino che vende l’altro grande mito gastronomico del paese, il “fish and chips”, cioè pesce impanato e fritto (merluzzo, quando va bene), con ampio contorno di patate fritte tagliate grosse, sale e aceto a gogo e succulenti piselli bolliti per pulire il palato.

Balanzone, Arlecchino o Pulcinella?

Balanzone, Arlecchino o Pulcinella?

Pensate che ogni anno c’è un concorso nazionale che premia i migliori “fish and chip shop”. Il bello è che due anni fa l’ha vinto una famiglia di italiani emigrati da generazioni in Scozia: secondo me, hanno usato l’accento balsamico…

Se l’atmosfera di questi posti sull’oceano è un po’ la stessa di quando andavo in colonia da bambino, lo stesso non mi è sembrato delle zone dell’interno, dove un turismo meno in vena di mare, arte e caciara, si abbandona alla suggestione veramente rustica dei luoghi, alla forza primordiale dei paesaggi boschivi e alla rarità del silenzio delle brughiere. Costeggiando i mille chilometri quadrati della brughiera di Dartmoor, si vede come questa zona superprotetta sia ancora oggi quasi disabitata, brulla, immensa, punteggiata di inquietanti resti neolitici e misteriose file di pietre rozzamente intagliate.
A scanso di equivoci, ho tenuto pronto il mio “dog dazer”, l’aggeggio elettronico che spara frequenze per tenere a bada i cani randagi, ma il dubbio rimane: e se saltava fuori il “Mastino dei Baskerville”?

Home sweet home

Home sweet home

Qui si trovano gli amanti delle passeggiate nella natura, così come i difensori ad oltranza del diritto di passaggio, che qualche agricoltore o allevatore vedrebbe volentieri limitato. I villaggi dell’interno sono spesso ridotti a poche case, a volte a sole seconde case, per cui l’attività economica stenta a sopravvivere. Per questo motivo, non è raro incontrare uffici postali che, come quello in cui mi sono fermato a chiedere indicazioni, oltre ad offrire francobolli e raccomandate, vendono anche giornali, generi di conforto ad alto tenore zuccherino, prodotti per la casa, zappe, vanghe e sementi, birra e sidro. La lista non è esaustiva.

Chiudo la carrellata turistica, dicendo che se le case con i tetti di paglia sono la caratteristica più giustamente nota del Devon, la regione del Somerset rimane molto sottovalutata. Sono passato per Glastonbury e Wells, ho purtroppo solo sfiorato Bath, ma mi capiterà di dire qualcosa su ognuna di esse.

Ufficio postale tuttofare

Ufficio postale tuttofare – Vendesi bici d’importazione semi nuova

Dimenticavo un aneddoto. Parlando di fish and chips dicevo che di solito il pesce usato è merluzzo o qualche pesce simile come gusto e consistenza. Ma una cosa è assolutamente certa: accanto alle patate non si potrà mai usare carne di balena, di delfino, di lemure o di storione. Forse perché sono specie protette? Certo, ma non solo. Il vero motivo è che dai primi anni del 1300 uno statuto attribuisce la proprietà esclusiva di queste quattro specie alla casa reale. Henry of Bracton, un famoso esperto di diritto che alla fine del ‘200 esercitò la giustizia nelle tre regioni che ho attraversato e oggi è sepolto nella navata della cattedrale di Exeter, ebbe a scrivere: “de balena vero sufficit . . . si rex habeat caput, et regina caudam” , cioè la testa della balena per il re e la coda per la regina, con la spiegazione che quest’ultima si sarebbe servita delle ossa della coda come stecche per i suoi preziosi busti e corsetti. Non è dato sapere cosa se ne facesse il re della testa della balena. Visto il livello di follia, la mia idea è che usasse i fanoni come stuzzicadenti, ma chissà!

Storia, storia cita o storione?

Storia, storiaccia o storione?

Uno che ha scoperto questo statuto a sue spese alcuni anni fa, è un pescatore gallese, che ha cercato di vendere all’asta uno dei rarissimi storioni (6 all’anno in media) che si pescano negli estuari. Una bella bestia di 120 chili che gli avrebbe fruttato qualche migliaio di sterline. Peccato che la legittima proprietaria coronata non fosse stata informata. E così, la preda del secolo si è trasformata in una colossale fregatura. La Regina ha graziosamente declinato il pesce, con annesso caviale (bontà sua), ma lo storione è finito al museo di scienze naturali in quanto specie protetta!
Che storia.

Anzi, che storione!

… e whiskey dopo i pasty !

Il post di ieri sul “fudge” ha creato una lotta serrata fra detrattori e sostenitori della caramella Mou, con l’intera tifoseria interista schierata a favore, perché solo a sentire la parola Mou torna in mente l’artefice del mirabolante “triplete”.
Ma mettiamo i sogni nel cassetto e continuiamo la carrellata di specialità gastronomiche della Cornovaglia. Il giro è presto fatto, perché sono due in tutto: la “double cream” e il “pasty”.

Il dizionario Collins traduce “double cream” con panna da cucina. Forse è giusto, ma non mi piace, perché non rende giustizia al mito di questa “panna doppia”, o “panna pesante”, come la chiamano gli americani. Come consistenza fa pensare al nostro mascarpone, e al palato è semplicemente voluttuosa, forse perché la materia grassa sfiora il 50%.

Gnam gnam

Gnam gnam

Nonostante i tentativi di usarla in altre ricette, la “double cream” dà il massimo nel rito del tè, che non a caso da queste parti diventa un “cream tea”. Per chi non lo avesse mai provato, funziona così: vengono servite due focaccine (in inglese di chiamano “scones”) piuttosto insipide, che hanno la consistenza di una nostra ciambella. L’idea è che si imburrano le focacce, si tappezzano di marmellata di fragole e si ricopre il tutto con “double cream”. Il risultato è una esplosione eccezionale di sapori, però bisogna dimenticare le ultime analisi e le raccomandazioni del medico: della serie “meglio un giorno da leoni”…

Fabbrica di double cream

Fabbrica di double cream

Purtroppo non posso essere così elogiativo nei confronti del “pasty”. Intanto, cos’è?
Ha la forma e le dimensioni di un crescione, ma le somiglianze finiscono lì.
L’involucro è ottenuto mischiando farina, margarina, lardo e acqua. Lo si riempie con una combinazione di cipolla, scalogno, porri, rape, patate e carne di manzo tritata.

Praticamente è un crescione di stufato. Se proprio si deve, meglio consumarlo di mattina, perché la permanenza sullo stomaco può durare ore e la sensazione di pesantezza darebbe insonnia. Incredibilmente, però, il “pasty” è il prodotto principe delle esportazioni della Cornovaglia e la pietanza culto della Regione. Nel libro dei record ce n’è uno che pesa 850 chili.

... for ever...

… for ever…

Era il piatto forte dei minatori, che però mangiavano solo il ripieno e gettavano la crosta esterna, per non ingurgitare le sostanze chimiche e velenose che ricoprivano guanti e mani. Pensate che dall’inizio del ‘900 ( quando metà dello stagno mondiale era estratto da queste parti!), ogni volta che la squadra di rugby della Cornovaglia gioca una partita importante, sopra la traversa della meta viene issato un “pasty” portafortuna gigantesco. Il bello è che non è un “pasty” qualunque: è sempre lo stesso dal 1908!
E poi dicono che gli italiani sono superstiziosi…

Si pronuncia come il plurale di pasto. E vale altrettanto.

Si pronuncia come il plurale di pasto. E vale altrettanto.

I riferimenti nel titolo odierno a sidro, vino e whiskey non sono casuali, perché, con grande sorpresa, ho scoperto che la Cornovaglia li produce tutti e tre.
Niente da dire sul sidro, che è un prodotto eccellente, da gustare fresco e frizzante per apprezzarne aroma e gusto, non importa se alla base ci siano le mele o le pere. Si raccomanda comunque moderazione, perché ha un tenore alcolico che va dal 5 al 7% e si serve in bottiglie da mezzo litro. Non so se mi capisco…

Il vino è una storia recente, diciamo dagli anni ’80. Certo, il terreno è lo stesso della Champagne e le varietà di uva sono adattate al clima di queste parti. Certo, qui è permesso zuccherare il mosto per aumentare il grado alcolico. Certo, mi è capitato di offrire a cena vino inglese ad ospiti ignari, coprendo l’etichetta per fare una sorpresa… Resta il fatto, però, che il risultato non mi convince ancora. Ieri mattina stavo per visitare una cantina, la Camelvalley Vinery, ma ho rinunciato perché rischiavo di far tardi. Per scrupolo, mi impegno a tornarci una volta che ripasso in macchina da queste parti. Ma non mi aspetto miracoli; anzi, temo la fregatura, da quando ho visto che uno dei vini è intitolato ad uno chef francese che un giorno sì è l’altro pure compare in tv con le sue ricette “creative”. È il fenomeno dei cosiddetti “celebrity chefs”, su cui tornerò un altro giorno.

Ottimo dopo i pasty

Ottimo dopo i pasty

E il whiskey? Intanto si scrive con una “e” per distinguerlo da quello scozzese. Poi esiste solo da 10 anni e costa 175 sterline per una bottiglia da 500cc. Scusate il disturbo! Ma forse il prezzo così salato si giustifica con il fatto che è l’unica bevanda al mondo che riesce a far digerire un “pasty”.
Sono certo che Carlo e Camilla, che detengono i prestigiosi titoli di Duca e Duchessa di Cornovaglia, non esiteranno a regalarne almeno una bottiglia al neonato nipotino, acquisito o meno che sia. Dopotutto è una tradizione cornica, cornica in tutti i sensi.

Sterline al vento...

Sterline al vento…

A proposito, nel mio piccolo esprimo profonda indignazione per la scelta del nome George. Ma come? La fantasia si ferma al nome del nonno? E pensare che il mio cavallo di battaglia, Alfred, con uno scatto di reni era sceso a 33:1 nelle ultime quotazioni degli allibratori. Ieri sera, forse annebbiato dalla stanchezza e dalle salite, ho addirittura scommesso su quel nome la bellezza di 10 sterline. Se le cose fossero andate bene, avrei organizzato una festa in piazza a Cotignola: “anti-pasty e pasty-ccini” per tutti. E come dolce, “fudge” coperto di “double cream”. Il tutto innaffiato di sidro e vino di Cornovaglia. Whiskey come digestivo. Cotignola non è un paese per stomaci deboli.

Fra tutte le reazioni più o meno scomposte alla nascita dell’erede al trono, chiudo citandone due, che secondo me esemplificano da un lato l’amore di tutto un popolo per la monarchia e dall’altra la sua fenomenale indole dissacratrice.

– Un settimanale satirico ha titolato a tutta pagina: “Donna partorisce un figlio”.
– Invece il quotidiano “the Sun” ha cambiato il suo nome per un giorno in “The son”, giocando sul l’identità di pronuncia dei due termini.

Sarebbe come se, in Italia, Giuliano Ferrara avesse chiamato il suo giornale: “il Figlio”.

Gioco di parole

Gioco di parole

Ps: Domani giornata pesante. Si prevedono salite e pioggia. Il blog probabilmente salterà un giorno.

…Vanilla fudge.

Un killer si aggira per la Cornovaglia, indisturbato. Per i suoi misfatti predilige i negozi che vendono paccottiglia per turisti, ma è stato avvistato anche in ambienti più raffinati e non disdegna i ristoranti. Alla polizia sono giunte segnalazioni persino dall’aeroporto, ma lui continua ad eludere l’arresto.
Dicono sia nato in America e la traduzione del suo nome è tutto un programma: “to fudge” significa “ingannare, falsificare, svicolare…”
Si pronuncia come le prime tre lettere della parola italiana “fagiano”, ma le affinità finiscono qui. Addirittura, nell’anno 1966 d.C. un gruppo musicale psichedelico americano (quello che allora si chiamava un “complesso”), scelse di chiamarsi con il suo nome (Vanilla Fudge) e raggiunse una discreta celebrità, con pezzi mitici come “Some velvet morning” e pezzi terrificanti come “Bang bang, you shot me down”, che nel corso dei decenni ha comunque conosciuto versioni a raffica con tanto di traduzione, da Mina all’Equipe 84, da Dalida a (incredibile) Iggy Pop, indiscusso proto-re del punk.

Wanted

Wanted

Ma non divaghiamo. In realtà il fudge è spacciato come un dolce. La cosa che più gli assomiglia è il caramello, anzi è caramello con la consistenza della gomma americana.
È un killer perché basta guardarlo e si prende il diabete.
Non è un cubo di zucchero. È zucchero al cubo, anzi all’ennesima potenza!
Gi ingredienti sono i soliti ignoti, cioè zucchero, burro e latte, riscaldati e sbattuti fino a raggiungere la consistenza e l’elasticità di una palla da tennis. Per buona misura, agli americani succede di aggiungerci anche un po’ di sciroppo di acero. L’aggettivo giusto per descriverlo è stucchevole, nel senso che dopo due assaggi diventa insopportabile, e per di più, come lo stucco, una volta in bocca diventa mammozzone appiccicoso che ti rimane incollato alla volta del palato e minaccia seriamente la saldezza delle otturazioni dentarie.

Frutta e verdura a babordo!

Frutta e verdura a babordo!

Perché ne parlo? Perché partendo di domenica mattina con vento forza 8 in faccia, sono arrivato ad ora di pranzo affamato come un lupo, ed è in quel preciso momento che ho capito la prima grossa differenza tra Londra (e ogni altra città del paese) e la Cornovaglia, ovvero la campagna inglese in genere: i supermercati (e i negozi di alimentari, sempre che esistano ancora), chiudono alle 5 di sera e soprattutto restano chiusi la domenica. Risultato: dopo una mezzora di ricerca in tutta Marazion, amena località costiera in cui i turisti vanno per soddisfare il loro istinto masochista, ho trovato un solo negozietto aperto che vendeva esclusivamente souvenir, gelato e fudge. Alla sera, il cardio-frequenzimetro aveva un bel dirmi che avevo consumato 6.000 calorie; non sapeva che con due morsi di fudge ne avevo assunto almeno il doppio!

Dopo questa esperienza, ho deciso di conservare il pezzo di fudge che mi rimane (vedi foto) fino alla fine del viaggio e oltre. Gli usi possibili sono molteplici: riparazione di pneumatico della bici in caso di foratura, riserva alimentare in caso di attacco sudcoreano prolungato, succedaneo della colla e del silicone per ripiastrellare il bagno, paraurti o casco di protezione, trafilatura per uso “bungee jumping” (in italiano, salto con l’elastico), e molti ancora.

St. Enodoc

St. Enodoc

Ma lasciamo da parte l’ironia sulle specialità corniche, per dire qualcosa sull’aspetto paesaggistico, che, per fortuna, mi ha ripagato abbondantemente delle disgrazie del palato. Un esempio valga per tutti: la chiesetta di Saint Enodoc, con annesso cimitero che da un lato raccoglie alla rinfusa lapidi dal 17.o secolo in poi, e dall’altro accoglie quella che ricorda Sir John Betjeman, che fino al 1984 è stato uno dei più amati “poeti di corte”, e che qui aveva scelto di vivere gli ultimi anni della sua vita e chissà quanti del suo prosieguo.

Rest in peace

Rest in peace, Sir John

Betjeman, pur essendo nato a Londra da una famiglia di antiche origini olandesi, amava la Cornovaglia, il vicino villaggio di Trebetherick, dove abitava, e questa meravigliosa chiesetta risalente al 12.o secolo, oggi anglicana, semi sepolta nelle dune e con il tetto a forma di cono storto, dove risuona una campana sopravvissuta al naufragio secoli fa di una nave italiana, chiamata “Immacolata” e proveniente da Barletta.
Nelle sue poesie i riferimenti alla regione, al villaggio e alla chiesa sono innumerevoli: “Blessed be St Enodoc, blessed be the wave…” recita un verso della sua poesia “Trebetherick”.

Il cono di Pisa

Il cono di Pisa

A parte il rispetto che si deve alla sua figura, mi corre però l’obbligo di precisare che il titolo ufficiale di Betjeman era “poet laureate”, che io ho approssimativamente tradotto con “poeta di corte”. Il fatto che fosse laureato non c’entra niente: rientra solo nella lunghissima lista delle parole ingannevoli che i traduttori conoscono bene, i cosiddetti “falsi amici”.

Ma la figura stessa di “poet laureate” rappresenta una di quelle tradizioni che un italiano come me considera a metà fra l’inutile e il ridicolo, ma che in realtà costituiscono una piccola parte, irripetibile e non condivisibile con altri, della identità profonda di un suddito di Sua Maestà, del suo essere inglese, o meglio britannico.
Perché, cosa fa un “poeta laureato” ? Conduce la sua vita normale, in genere scrive per mestiere, ma tecnicamente il prestigioso incarico, conferito dal sovrano fin dal 1700 e che dura a vita, non comporta nessun obbligo formale. L’unica cosa che ci si aspetta è che il poeta componga dei versi (si spera indimenticabili) nelle occasioni di “rilievo nazionale”.

Paesaggio cornico

Paesaggio cornico

Resto in attesa trepidante, per vedere se la nascita di Ciro Emilio Alfred Windsor, terzo in linea di successione al trono, meriterà adeguata produzione poetica! Tutto dipenderà dallo stato di sobrietà in cui si troverà l’attuale poeta, anzi poetessa, Carol Ann Duffy, che assomma tre record nella sua persona: è la prima donna poeta di corte, è la prima scozzese ed è la prima dichiaratamente gay. Fin qua tutto bene: il problema è che la ricompensa annuale (attenzione: annuale) per questa carica reale consiste in appena 5.000 sterline, accompagnate però da 477 litri di sherry!

Speriamo che Carol sia astemia, o al povero Ciro potrebbe toccare una strana ninna nanna:

Nonostante il capogiro
Riesco a prendere la biro.
Scrivo a getto un elzeviro
Dedicato al nostro Ciro
Che già dorme come un ghiro,
Manco fosse un fachiro.
Ninna nanna, ninna è
Che un bel giorno sarai re!

Ps: Chiedo scusa per il fatto che non rispondo agli innumerevoli messaggi e commenti che ricevo. In realtà, avrete capito che quando arrivo a destinazione la sera sono piuttosto cotto e passo il tempo a mettere in ordine i deliri pensati durante il giorno. Ma vi prego, continuate a scrivere, per me è un grande incoraggiamento. E con queste salite, ne ho proprio bisogno:-). E adesso sta pure piovendo…

è nato niro

Se è vero che il bambino più mediatizzato al mondo un giorno sarà re, oltre che della Gran Bretagna, anche di un numero assurdo di paesi dall’altra parte del mondo, tra cui Antigua, Bahamas, Barbados, Belize, Granada e Giamaica, sarebbe simpatico, oltre che politicamente corretto, se avesse la pelle scura. Confido quindi che tra qualche giorno, complice qualcuna delle leggi di Mendel sulla ereditarietà, avremo diritto ad una sorpresa planetaria: fuori da Buckingham Palace la banda militare dei Gurkha suonerà

Coltelli Gurkha

Coltelli Gurkha

ininterrottamente quel gioiello della canzone popolare napoletana che è la “Tammurriata nera” e il portavoce di palazzo annuncerà il nome del futuro erede della corona: Ciro!
Anzi, per completezza, Ciro Windsor.

Segue versione originale e libera traduzione inglese:

È nato nu criaturo, è nato niro,
e ‘a mamma ‘o chiamma gGiro,
sissignore, ‘o chiamma gGiro (Ciro)

The Royal Baby’s black, this is Ground Zero!
His mother calls him Ciro
Oh yes sir, she calls him Ciro

Panzio Pelato mentre Ciro viene mostrato alle folle

Panzio Pelato soddisfatto, mentre Ciro viene mostrato alle folle

In attesa del felice annuncio, suggello ultimo dell’avventura imperiale e della conseguente apertura sul mondo di questa isola felice, devo constatare con assoluto stupore che né Ciro, né Emilio compaiono tra gli oltre 200 nomi sui quali si scommette al momento. Esaminando la lista, si nota subito che i nomi femminili sono crollati nelle quotazioni, ma non sono stati eliminati del tutto: infatti una società di allibratori li dà ancora indistintamente a 949 a 1. Ossia, uno scommette una sterlina che l’erede maschio si chiamerà Isabella e, se la famiglia reale dovesse decidere una clamorosa apertura verso il mondo transgender, porterà a casa 948 sterline.

Si sa che i nomi più gettonati al momento sono Giorgio, Giacomo, Arturo e Alessandro, cioè tutti classici della dinastia presente e di quelle passate.
A me, personalmente, piace molto il nome Alfred.
Alfred fu un grande personaggio storico, che per aver difeso con successo il regno del Wessex dalle scorribande dei Danesi alla fine del IX secolo, fu il primo ad essere chiamato “il Grande” e soprattutto “re di Inghilterra”. Un po’ come Hitchcock.

Vorrei tornare un momento alla lista dei nomi per ripetere che Ciro, e ancor meno Emilio, non sono nomi così strampalati per un futuro monarca. Vediamo perché:

E Adriano è forse un brutto nome?

E Adriano è forse un brutto nome?

Psy, il rapper sudcoreano, è dato a 5.000 a 1: un affarone!
Brooklyn è dato a 1.000
Appena meglio Elvis, Wayne e Luther (500:1)
Sempre a 500 troviamo un terrificante Rumpelstiltskin. È il nome di un nano cattivissimo (a volte ritornano) protagonista di una favola dei fratelli Grimm e ripreso anche in un film dell’orrore degli anni ’90. Per chi ha la letto la storia, in italiano è il nano Tremotino.
Non poteva mancare Barack, dato 250:1 e possibile alternativa a Ciro.
Sempre a 250:1 abbiamo un nostalgico Thatcher e un misterioso Sapesan.
Viste le origine tedesche della dinastia, ecco spuntare Otto a 150:1
A 100:1 c’è un incomprensibile Duke. Come si fa a chiamare Duca uno che deve fare il re?
Sotto quota 100 i nomi diventano più accettabili, per non dire banali, ma tant’è.
Il mio preferito, Alfred, spunta un buon 50:1, quindi può essere considerato un outsider di tutto riguardo. Domani mi fermo in una ricevitoria e punto un bel bigliettone su Alfred vincente e un altro sul terno secco: Ciro, Barack, Emilio Windsor.
Se esce, divento milionario e vado a fare la traversata delle Bahamas!

Prima tappa

Prima tappa

A proposito. Dimenticavo che lo scopo del blog sarebbe anche quello di raccontare come sta andando il viaggio. Lo dico con una parola sola: malissimo, nel senso che di questo passo rischio di arrivare in Scozia per Natale. Senza voler essere blasfemo, come in ogni Via Crucis che si rispetti, anch’io vado avanti a tappe.

 

Prima tappa: Land’s End – Parrenporth: 44 miglia. Media ridicola e indolenzitura del polpaccio destro.

Seconda tappa: Parrenporth – Polzeath 30 miglia e gambe come due travi di legno.

Seconda tappa

Seconda tappa

Ribadisco il concetto di ieri: la Cornovaglia non è un paese per ciclisti e non è un caso se le poche biciclette che vedo in giro sono quelle che potenti Suv, guidati da gente sana di mente, trasportano verso qualche regione più consona alle due ruote.
Comunque, ormai sono in ballo e devo ballare, anche se il ritmo da seguire è quello forsennato di una giga cornica suonata con strumenti tipici: violino, corno, arpa e cornamusa.
Fuor di metafora musicale, capisco anche perché i Romani non si siano dannati l’anima più di tanto per conquistare queste lande che avrebbero dato loro tanti grattacapi e solamente una materia prima: lo stagno. Hanno preferito far venire lo stagno dalla Spagna, dove costava meno estrarlo (globalizatio, globalizationis…?), dove c’era il sole e non si rischiava di sprofondare negli acquitrini delle brughiere.

Ad maiora!

Ad maiora!

Insomma, se il progetto di riconquista della Britannia del centurione Panzio andrà in porto, mi impegno fin da ora, in accordo con il nuovo sovrano Ciro, a spianare ogni collina del paese e a trasformare questo luogo di sudore e sofferenza insensata in una nuova realtà morfologica perfetta per il chilometro lanciato, le gare di atletica, il bowling e le bocce, le piste per le biglie e le corse dei dragster.

Benvenuti nel tavoliere della Cornovaglia, altitudine 10 centimetri s.l.m!

Ps: ringrazio fin da ora l’amico Guido Carretta che si trova in questo preciso momento in Cornovaglia. Lui dice che è una coincidenza, ma io so che vuole documentare accuratamente le sue vignette. Tornerà fra due settimane con la sua personalissima visione a fumetti di questa nuova avventura di Panzio Pelato.