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Ma Totti non c’entra

 

Polzeath-Launceston   37 miglia. 24-7-2013

Polzeath-Launceston 37 miglia. 24-7-2013

Quando, sul punto di giungere stremato alla fine dell’ennesima salita e della quinta giornata in sella, nel mio campo visivo periferico è sembrata passare l’immagine simbolo di Roma, cioè la lupa che allatta Romolo e Remo, ho pensato che la tradizionale colazione all’inglese della mattina fosse stata arricchita non dai soliti funghi coltivati, ma da una manciata di funghi allucinogeni messicani, che tanto andavano di moda prima che comparissero sul mercato le droghe sintetiche.

Launceston-Tiverton (Devon) 50 miglia. 25-7-13

Launceston-Tiverton (Devon) 50 miglia. 25-7-2013

 

Invece, dopo una rapida retromarcia e un vigoroso auto-schiaffeggiamento, ho constatato che era tutto vero. Ma cosa ci fa questa sfacciata esibizione di romanità in cima a Pen Hill, nella campagna verde del Somerset, a pochi chilometri dalla città di Wells? A prima vista, non c’entra niente. A seconda vista, nemmeno. È come se in una cittadina italiana a caso (non prendo Cotignola per non essere accusato di campanilismo), diciamo Ariano Irpino, sul campo sportivo dominasse una replica della statua di Nelson che si trova a Trafalgar Square!

Tiverton-Wells 67,8 miglia. 26-7-2013

Tiverton-Wells 67,8 miglia. 26-7-2013

La coincidenza era troppo invitante per potervi resistere, e così ho passato il mio giorno di riposo a cercare di risolvere il “mistero della statua”.
Alla fine non c’è voluto molto, nel senso che è bastato incontrare una persona che di quella statua conosceva tutta la storia: Tony D’Ovidio.

Allucinazione inglese

Allucinazione inglese

Tony è un imprenditore edile affermato, italiano di seconda generazione e molisano d’origine. Pur preferendo raccontarsi in inglese, va fierissimo dell’italianità della sua famiglia, ma allo stesso tempo è un protagonista riconosciuto della vita sociale di questa placida, per non dire sonnolenta, città del Somerset. La storia che mi racconta è notevole.

Durante la seconda guerra mondiale, molti soldati italiani vennero fatti prigionieri dagli inglesi vittoriosi, soprattutto a Tobruk, e vennero trasportati in campi di prigionia sparsi in tutto il paese. Uno di questi campi si trovava proprio a Wells e Tony mi ha mostrato alcune delle baracche che tuttora testimoniano l’evento. Alcune sono abbandonate, altre sono diventate nientemeno che una scuola elementare. Si vede che i prigionieri di guerra italiani non incutevano il terrore sacro, tant’è vero che durante la giornata erano autorizzati a lavorare, dietro compenso, nelle fabbriche, nelle miniere e nelle fattorie della zona. E i contatti con la popolazione locale si sono infittiti, al punto che, finita la guerra, una parte dei prigionieri, riacquistata la libertà, ha preferito rimanere sul luogo, che per alcuni era anche diventato il luogo del misfatto, come testimoniano le numerose famiglie miste italo-inglesi nate in quegli anni.

È proprio uguale

È proprio uguale

E la statua? Ebbene, un ex-prigioniero particolarmente dotato artisticamente preparò con cura lo stampo e fece la colata di cemento che ancora oggi, dopo l’opportuno restauro della D’Ovidio Bros, domina la vallata di Wells, e si offre, poggiata su due colonne di almeno quattro metri d’altezza, alla beata incomprensione di quasi tutti i frettolosi passanti. Per fortuna, una volta all’anno, da 18 anni a questa parte, il campo su cui è stata piazzata la statua diventa il luogo di una grande festa popolare, in cui italiani, inglesi, discendenti dei prigionieri e gente comune si incontrano per celebrare il rito pagano dell’amicizia e del rispetto. Antipasto di salumi, penne all’arrabbiata, porchetta, vino e tiramisu danno il loro piccolo, innegabile contributo!

Tony e Patricia

Tony e Patricia

Eppure, nella comunità c’è chi ha ancora ricordi di prima mano; come Patricia, oggi ottantaquattrenne e bambina all’epoca dei fatti. Mi guarda e mi dice che la guerra non è mai servita a niente, le ha portato via un fratello e ha causato solo tanta sofferenza. “Per fortuna che oggi non ci sono più guerre”, dice convinta e per parlare di come venivano trattati i prigionieri di guerra usa la parola “kindness” (gentilezza). È strano come la stessa parola (kindness) ricorra anche nella placca commemorativa che si trova ai piedi della statua. È un’aggiunta recente; è stata donata da un benefattore italo-canadese che non ha mai voluto rivelare il suo legame con il campo di prigionia e con questo apparente esempio di solidarietà e di umanità fattiva. Ma, evidentemente, la storia che racconta l’autore della placca non è diversa da quella che ho sentito io.

Scorcio di Wells

Scorcio di Wells

Dopo aver brillantemente risolto il mistero della statua romana di Wells, ho fatto il giro della città, famosa in tutto il mondo per la sua bella cattedrale medievale di impianto gotico, oggi anglicana.

La cattedrale (quella vera)

La cattedrale (quella vera)

Quello che molti non sanno è che a Wells c’è anche una chiesa cattolica molto bella e imponente, che va sotto il nome di St. Cuthbert. Ebbene, nel prato di fronte alla chiesa, due ignari turisti italiani, sbarcati da un camper megagalattico, commentavano con rabbia che il loro libro dava una descrizione totalmente errata della cattedrale e dei suoi tesori…
Peccato fossero davanti a St.Cuthbert, e non alla cattedrale, che è dall’altra parte della città!

Permesso?

Permesso?

Caro Tony, non è che con i tuoi operai puoi rimettere in sesto una di quelle baracche in disuso nel campo di prigionia? Avrei due candidati da affidarti per qualche anno.

Tanto, so che li tratterai con gentilezza.

Caviale a sbafo

 

Mentre mi appresto, dopo un giorno di riposo nella magnifica città di Wells, a completare il mio trittico di regioni del sud-ovest dell’Inghilterra e a virare verso il centro-nord, qualche considerazione si impone su ciò che, sia pur frettolosamente, ho visto in questa prima settimana di viaggio.

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Dico anzitutto che per chi ama la natura e ha un’idea romantica della campagna, Cornovaglia, Devon e Somerset sono, ciascuno alla sua maniera, regioni da non perdere; e non a caso, soprattutto le prime due d’estate raddoppiano praticamente la loro popolazione.

Surfisti allo sbaraglio

Surfisti allo sbaraglio

L’impressione che ho avuto partendo dalla costa e muovendo verso l’interno, è stata quella di visitare due paesi diversi. Sono partito dalle città della costa atlantica: qui si riversano soprattutto giovani, artisti e famiglie. I primi sono in genere surfisti alla ricerca di emozioni forti, che catturano le onde dell’oceano e volteggiano, in piedi, accucciati o stesi sulla pancia, con ogni genere di tavola: da surf, a vela, attaccata a un paracadute o a un aquilone. Per chi come me non sa nemmeno nuotare, è uno spettacolo bello ma incomprensibile, anche perché ogni volta che sento la parola tavola a me viene semplicemente l’acquolina in bocca.

Surfing in the rain

Surfing in the rain

Poi dicevamo degli artisti, pittori in particolare. Ora, a me le cittadine costiere della Cornovaglia sono sembrate tutte molto simili come struttura, salvo avere diversi gradi di eleganza estetica. A voler essere brutali, Newquay è abbastanza orrenda, mentre Padstow è carinissima. Ce n’è una però, St. Yves, che merita un discorso a parte, perché la popolazione è fatta soprattutto di artisti, che sostengono che qui la luce ha una qualità tutta speciale. Ammetto di non saper fare una “o” con un bicchiere, quindi avrei bisogno di un fotometro per capire in cosa la luce di St. Yves sia diversa dal resto del mondo. Ma da bravo cinico, ho come la sensazione che giochino altri fattori.

Alfred (the Great?)

Alfred (the Great?)

Sembra che la moda dei pittori sia nata negli anni ’20, quando un tale Alfred Wallis, dopo aver fatto il pescatore tutta la vita, decise a 67 anni che si faceva meno fatica a dipingere i pesci come autodidatta che a prenderli con la rete alzandosi alle tre ogni mattina. E si guadagnava anche di più.
Da allora, St. Yves è diventata una vera e propria colonia di artisti, con decine e decine di gallerie d’arte che ingentiliscono le case di pietra del borgo e riempiono di colore le sue stradine scoscese. Addirittura, la Tate Gallery di Londra ha aperto una succursale di fronte alla spiaggia, dove espone collezioni di arte prevalentemente moderna e prodotta in loco.

La terza componente della fauna turistica costiera sono le famiglie, che durante i mesi della transumanza dalle città, luglio e agosto, non esitano a invadere campeggi e pensioni bed and breakfast con il miraggio della vacanza a buon prezzo, degli spettacoli di burattini per i pargoli e con la garanzia assoluta di trovare ogni cento metri un posticino che vende l’altro grande mito gastronomico del paese, il “fish and chips”, cioè pesce impanato e fritto (merluzzo, quando va bene), con ampio contorno di patate fritte tagliate grosse, sale e aceto a gogo e succulenti piselli bolliti per pulire il palato.

Balanzone, Arlecchino o Pulcinella?

Balanzone, Arlecchino o Pulcinella?

Pensate che ogni anno c’è un concorso nazionale che premia i migliori “fish and chip shop”. Il bello è che due anni fa l’ha vinto una famiglia di italiani emigrati da generazioni in Scozia: secondo me, hanno usato l’accento balsamico…

Se l’atmosfera di questi posti sull’oceano è un po’ la stessa di quando andavo in colonia da bambino, lo stesso non mi è sembrato delle zone dell’interno, dove un turismo meno in vena di mare, arte e caciara, si abbandona alla suggestione veramente rustica dei luoghi, alla forza primordiale dei paesaggi boschivi e alla rarità del silenzio delle brughiere. Costeggiando i mille chilometri quadrati della brughiera di Dartmoor, si vede come questa zona superprotetta sia ancora oggi quasi disabitata, brulla, immensa, punteggiata di inquietanti resti neolitici e misteriose file di pietre rozzamente intagliate.
A scanso di equivoci, ho tenuto pronto il mio “dog dazer”, l’aggeggio elettronico che spara frequenze per tenere a bada i cani randagi, ma il dubbio rimane: e se saltava fuori il “Mastino dei Baskerville”?

Home sweet home

Home sweet home

Qui si trovano gli amanti delle passeggiate nella natura, così come i difensori ad oltranza del diritto di passaggio, che qualche agricoltore o allevatore vedrebbe volentieri limitato. I villaggi dell’interno sono spesso ridotti a poche case, a volte a sole seconde case, per cui l’attività economica stenta a sopravvivere. Per questo motivo, non è raro incontrare uffici postali che, come quello in cui mi sono fermato a chiedere indicazioni, oltre ad offrire francobolli e raccomandate, vendono anche giornali, generi di conforto ad alto tenore zuccherino, prodotti per la casa, zappe, vanghe e sementi, birra e sidro. La lista non è esaustiva.

Chiudo la carrellata turistica, dicendo che se le case con i tetti di paglia sono la caratteristica più giustamente nota del Devon, la regione del Somerset rimane molto sottovalutata. Sono passato per Glastonbury e Wells, ho purtroppo solo sfiorato Bath, ma mi capiterà di dire qualcosa su ognuna di esse.

Ufficio postale tuttofare

Ufficio postale tuttofare – Vendesi bici d’importazione semi nuova

Dimenticavo un aneddoto. Parlando di fish and chips dicevo che di solito il pesce usato è merluzzo o qualche pesce simile come gusto e consistenza. Ma una cosa è assolutamente certa: accanto alle patate non si potrà mai usare carne di balena, di delfino, di lemure o di storione. Forse perché sono specie protette? Certo, ma non solo. Il vero motivo è che dai primi anni del 1300 uno statuto attribuisce la proprietà esclusiva di queste quattro specie alla casa reale. Henry of Bracton, un famoso esperto di diritto che alla fine del ‘200 esercitò la giustizia nelle tre regioni che ho attraversato e oggi è sepolto nella navata della cattedrale di Exeter, ebbe a scrivere: “de balena vero sufficit . . . si rex habeat caput, et regina caudam” , cioè la testa della balena per il re e la coda per la regina, con la spiegazione che quest’ultima si sarebbe servita delle ossa della coda come stecche per i suoi preziosi busti e corsetti. Non è dato sapere cosa se ne facesse il re della testa della balena. Visto il livello di follia, la mia idea è che usasse i fanoni come stuzzicadenti, ma chissà!

Storia, storia cita o storione?

Storia, storiaccia o storione?

Uno che ha scoperto questo statuto a sue spese alcuni anni fa, è un pescatore gallese, che ha cercato di vendere all’asta uno dei rarissimi storioni (6 all’anno in media) che si pescano negli estuari. Una bella bestia di 120 chili che gli avrebbe fruttato qualche migliaio di sterline. Peccato che la legittima proprietaria coronata non fosse stata informata. E così, la preda del secolo si è trasformata in una colossale fregatura. La Regina ha graziosamente declinato il pesce, con annesso caviale (bontà sua), ma lo storione è finito al museo di scienze naturali in quanto specie protetta!
Che storia.

Anzi, che storione!