Di certo una cosa a Roma non manca,
è quella bestiaccia orrenda e mai stanca
ch’ ognun che la vede scatta e smoccola,
gridando a tutti: “Ce sta ‘na zoccola!”
Io che qui giunsi da una terra lontana
avevo già visto una pantegana.
Ma questa di Roma è un altro animale,
enorme, cattiva, è il modello imperiale.
La sua presenza, come poi vedremo,
risale ai tempi di Romolo e Remo.
E ‘sta bestia ispirò quel Vate sì fine,
che il “ratto” cantò, pur se delle Sabine!
Ricordo Cesare, che andando in Senato,
disse a Calpurnia: “È un dì fortunato!”
Ma quando un topaccio incrociò la sua biga,
lui disse sgomento: “Per me porta sfiga!”
Poi venne Nerone, poeta valente,
però un po’ nervoso e molto impaziente.
La sua soluzione era radicale,
bruciare i topi con la Capitale.
Provò Vespasiano, che non era un fesso,
facendo pagare una tassa sul cesso.
Ma i roditori, che non sono cicogne,
restaron tranquilli nelle loro fogne.
Poi viene Adriano, e fa :”Son sicuro,
risolvo il problema facendo un bel muro!
E se trovo topi al di qua dei confini
li sbatto in galera perché clandestini”.
Lui provò a venderla come una trovata
e tutti gli disser ch’era ‘na cazzata.
Ma ciò che allor fece un coglione nostrano
lo fa oggi un altro, però americano.
Pur se in questa città passarono in tanti,
nessuno trattò i problemi importanti.
Chigi o Borghese, Sforza o Orsini,
i topi di Roma fan sempre festini.
Poiché gira e volta le storie son quelle,
proviamo ad uscirne con i cinque stelle.
Se sorci e topacci li hai nei paraggi,
nessuna paura, ci pensa la Raggi.
Emilio Dalmonte 2017