G43 Piano, Marshall!
[alert close=”no”]Percorso: G 43 Franklinton (LA) – Poplarville (MS) 104 km[/alert]
Il reverendo Shannon Marshall è il pastore della chiesa battista di Steep Hollow, a Poplarville, stato del Mississippi, dove mi sono fermato per la notte.
Non ci conosciamo personalmente, e forse è meglio così, anche se due cosine da dirgli le avrei.
Ma veniamo ai fatti. Oggi, almeno sulla carta, doveva essere una tappa facile, da non più di 80 chilometri. Invece si è rivelata più dura del previsto, per vari motivi. Intanto, causa una imperdonabile distrazione, ho sbagliato strada e mi sono ritrovato a fare 30 km. di più. E sarebbe andata anche peggio se Karman, il ciclista canadese che oggi ha viaggiato con me, non avesse acceso il suo GPS e non si fosse reso conto che eravamo fuori strada.
Poi c’è da considerare il calore, ben oltre i 32 gradi per tutta la giornata, con molta umidità nell’aria, il che richiede un’idratazione costante e abbondante.
E da ultimo, il pericolo rappresentato dai cani, che spesso non sono al guinzaglio e quindi sono liberi di inseguire i pochi ciclisti che osano passare vicino al territorio che presidiano. Le armi di difesa sono varie, dal mio aggeggio che spara frequenze, alla semplice spruzzata d’acqua, ma certe volte, viste le dimensioni dei cani, è meglio spingere sui pedali e basta.
Resta comunque il fatto che in Luisiana e ancor più nello stato del Mississippi, dove sono entrato verso mezzogiorno, tante persone ignorano tranquillamente la legge sul controllo dei cani.
Ecco, dopo una giornata così, quando si arriva finalmente a destinazione, il manuale del bravo ciclista prevede di fermarsi dal benzinaio a comperare una bella birra fresca da consumare non certo in pubblico (per carità!), ma appena si entra nella propria camera o nella propria tenda in campeggio.
Quale non è stata la nostra sorpresa quando il benzinaio di turno, molto dispiaciuto, ci ha detto che eravamo in una contea “asciutta”, dove non si può vendere alcun tipo di alcolico. O meglio, un posto ci sarebbe anche, ed è il circolo dei veterani di guerra, che serve birra e vino, ma non superalcolici.
Teoricamente, ci spiega il benzinaio, bisognerebbe essere o essere stati militari per entrare nel circolo, ma vista la situazione sono molto disposti a chiudere più di un occhio, e anche lui ci va regolarmente per bere una bella Budweiser! Il problema è che questo circolo è a non so quante miglia di distanza e non avevo più la forza né la voglia di rimettermi in sella.
Nel frattempo arriva il proprietario del bed & breakfast dove alloggeremo: Bob, un arzillo ultrasettantenne che bazzica i casinò della costa e che ha capito il nostro bisogno impellente.
Ci dice con fare sornione: “Io non posso bere in questo momento, ma a casa dovrei avere ancora qualcosina”.
Tempo cinque minuti e torna con sei birre freddissime che, dice testualmente, suo nipote gli deve aver comperato a sua insaputa (sic). Mi è venuto da chiedergli se di cognome fa Scajola, ma mi sono trattenuto per carità di patria.
Bob mi ha purtroppo confermato quello che temevo: il divieto di bere e vendere alcolici nella contea ha un fondamento religioso, nel senso che in particolare la chiesa battista, potentissima da queste parti, da sempre condanna l’uso delle sostanze alcoliche.
Qui siamo nel cuore della cosiddetta “cintura della Bibbia”, e non a caso ci sono più chiese che bar, spesso in fila una dopo l’altra: soprattutto di fede battista, ma anche di pentecostali, metodisti, presbiteriani, cattolici, mormoni, testimoni di Geova, ecc.
Siamo nella zona più credente (e anche bigotta) del paese, dove nei giardini delle case i nani di Biancaneve sono stati sostituiti da sculture di carattere sacro, e dove la religione incarnata dal movimento protestante evangelico ha moltissimi adepti, al punto da condizionare la vita politica, l’insegnamento delle scienze e la scuola in generale.
Qui si trova gente che va a visitare il Museo del Creazionismo, aperto tre anni fa più a nord, in Kentucky, dove si insegna ai visitatori che la Terra fu creata in sei giorni circa 6.000 anni fa e che i dinosauri (bontà loro) facevano parte degli animali che erano sull’arca di Noè.
Non si dice quanto fosse grande l’arca, che a rigore di logica dovrebbe avere la stazza di un paio di portaerei, ma questo rientra nella categoria dei misteri gloriosi.
Comunque, visto che ognuno ha il diritto di credere quello che gli pare, la cosa non mi turba più di tanto. Quello che mi turba alla grande è il fatto di non potermi bere una birra quando e dove mi pare.
Così come non mi va di essere considerato una persona immorale in base al mio modesto consumo alcolico: lo trovo oscurantista e francamente umiliante.
Il bello è che le tre o quattro persone con cui abbiamo parlato stasera erano tutte scontente di questa proibizione e ci hanno confermato la realtà dei fatti: quasi tutti gli integerrimi cittadini di questo buco di paese che va sotto il nome di Poplarville votano per il divieto sugli alcolici, poi prendono il camioncino, vanno a fare il pieno di alcol in Luisiana, che dista meno di 30 km, e si ubriacano come delle tinche dietro le quattro pareti di casa.
È un classicone, a pensarci bene, che in Italia conosciamo benissimo: vizi privati e pubbliche virtù!
Altra conseguenza paradossale del divieto: per non farsi vedere in paese mentre commettono l’atto impuro di bere una birra, i bravi cittadini salgono sull’immancabile camioncino, fanno un giro in campagna e gettano le lattine vuote dal finestrino.
Il risultato è che i detenuti del piccolo carcere locale passano tutte le loro giornate all’aria aperta, nel senso che si occupano di raccogliere le lattine e le bottiglie vuote per tenere puliti i fossi delle strade del comune.
La signora del locale che vende hamburger mi ha detto che in genere la chiesa battista chiede ai fedeli di votare per il divieto, con la motivazione che si vuole evitare che in paese vengano aperti dei bar, noti luoghi di perdizione.
Perfetto, ma vi lascio immaginare cos’è Poplarville di sera: un po’ peggio di un mortorio.
Mentre iniziavo a scrivere questo post, Karman è uscito per fare un giretto del paese ed è tornato con i capelli dritti.
A differenza, ad esempio, del villaggio da cui siamo partiti stamane, qui in giro non c’è praticamente nessuno, una volta che il Mcdonald e qualche altro localino simile chiudono alle 9. Non ci sono cinema, non ci sono bar, non ci sono luoghi di socializzazione.
Ben tre conducenti di pick-up gli hanno urlato qualcosa di incomprensibile e uno è partito col rosso al semaforo e ha cercato di metterlo sotto mentre attraversava sulle strisce. Forse stava scherzando, chi lo sa.
Già in un altro paesino di questi ho notato che l’attività serale principale degli uomini, giovani o adulti che siano, sembra essere quella di partire a tutto gas agli incroci lasciando strisce di gomma per terra. Quello che è sorprendente è che “fanno le riprese” da soli, guardando con aria cupa l’ignaro turista di passaggio, come a lanciargli una messa in guardia.
Qualche sera fa, a Mamou, stessa scena. Stavo camminando per la strada pricipale in cerca di un ristorante con i miei quattro improvvisati compagni di bicicletta, quando un tipo, con un pick-up Dodge Ram a benzina ha piazzato una “ripresona” assurda guardandoci con aria di sfida e lasciandosi dietro almeno mille dollari di gomma bruciata e 500 di benzina, visto che ha un motore da 7.500 cc!
Tre incroci dopo gli siamo passati di fianco mentre spiegava le sue ragioni con aria mite ad uno sceriffo piuttosto arrabbiato.
Questi sono i cosiddetti red necks, o “colli rossi”. Così infatti vengono definiti con termine dispregiativo i bifolchi del sud degli Stati Uniti, semplicemente per il colore acceso della nuca, esposta continuamente al sole.
Da domani, sul collo uso una crema solare protezione 100.
Mentre sto per chiudere, vedo che davanti alla porta si è fermato un pick up e ha spento le luci. Dentro, riconosco la sagoma inconfondibile del reverendo Marshall.
Ha qualcosa di luccicante in mano.
Gli dico: “Piano, Marshall!”
Ma non è una Colt. È una Budweiser.
Budweiser Light, ovviamente, perché così è solo peccato veniale.