Forza Roma!
Ma Totti non c’entra
Quando, sul punto di giungere stremato alla fine dell’ennesima salita e della quinta giornata in sella, nel mio campo visivo periferico è sembrata passare l’immagine simbolo di Roma, cioè la lupa che allatta Romolo e Remo, ho pensato che la tradizionale colazione all’inglese della mattina fosse stata arricchita non dai soliti funghi coltivati, ma da una manciata di funghi allucinogeni messicani, che tanto andavano di moda prima che comparissero sul mercato le droghe sintetiche.
Invece, dopo una rapida retromarcia e un vigoroso auto-schiaffeggiamento, ho constatato che era tutto vero. Ma cosa ci fa questa sfacciata esibizione di romanità in cima a Pen Hill, nella campagna verde del Somerset, a pochi chilometri dalla città di Wells? A prima vista, non c’entra niente. A seconda vista, nemmeno. È come se in una cittadina italiana a caso (non prendo Cotignola per non essere accusato di campanilismo), diciamo Ariano Irpino, sul campo sportivo dominasse una replica della statua di Nelson che si trova a Trafalgar Square!
La coincidenza era troppo invitante per potervi resistere, e così ho passato il mio giorno di riposo a cercare di risolvere il “mistero della statua”.
Alla fine non c’è voluto molto, nel senso che è bastato incontrare una persona che di quella statua conosceva tutta la storia: Tony D’Ovidio.
Tony è un imprenditore edile affermato, italiano di seconda generazione e molisano d’origine. Pur preferendo raccontarsi in inglese, va fierissimo dell’italianità della sua famiglia, ma allo stesso tempo è un protagonista riconosciuto della vita sociale di questa placida, per non dire sonnolenta, città del Somerset. La storia che mi racconta è notevole.
Durante la seconda guerra mondiale, molti soldati italiani vennero fatti prigionieri dagli inglesi vittoriosi, soprattutto a Tobruk, e vennero trasportati in campi di prigionia sparsi in tutto il paese. Uno di questi campi si trovava proprio a Wells e Tony mi ha mostrato alcune delle baracche che tuttora testimoniano l’evento. Alcune sono abbandonate, altre sono diventate nientemeno che una scuola elementare. Si vede che i prigionieri di guerra italiani non incutevano il terrore sacro, tant’è vero che durante la giornata erano autorizzati a lavorare, dietro compenso, nelle fabbriche, nelle miniere e nelle fattorie della zona. E i contatti con la popolazione locale si sono infittiti, al punto che, finita la guerra, una parte dei prigionieri, riacquistata la libertà, ha preferito rimanere sul luogo, che per alcuni era anche diventato il luogo del misfatto, come testimoniano le numerose famiglie miste italo-inglesi nate in quegli anni.
E la statua? Ebbene, un ex-prigioniero particolarmente dotato artisticamente preparò con cura lo stampo e fece la colata di cemento che ancora oggi, dopo l’opportuno restauro della D’Ovidio Bros, domina la vallata di Wells, e si offre, poggiata su due colonne di almeno quattro metri d’altezza, alla beata incomprensione di quasi tutti i frettolosi passanti. Per fortuna, una volta all’anno, da 18 anni a questa parte, il campo su cui è stata piazzata la statua diventa il luogo di una grande festa popolare, in cui italiani, inglesi, discendenti dei prigionieri e gente comune si incontrano per celebrare il rito pagano dell’amicizia e del rispetto. Antipasto di salumi, penne all’arrabbiata, porchetta, vino e tiramisu danno il loro piccolo, innegabile contributo!
Eppure, nella comunità c’è chi ha ancora ricordi di prima mano; come Patricia, oggi ottantaquattrenne e bambina all’epoca dei fatti. Mi guarda e mi dice che la guerra non è mai servita a niente, le ha portato via un fratello e ha causato solo tanta sofferenza. “Per fortuna che oggi non ci sono più guerre”, dice convinta e per parlare di come venivano trattati i prigionieri di guerra usa la parola “kindness” (gentilezza). È strano come la stessa parola (kindness) ricorra anche nella placca commemorativa che si trova ai piedi della statua. È un’aggiunta recente; è stata donata da un benefattore italo-canadese che non ha mai voluto rivelare il suo legame con il campo di prigionia e con questo apparente esempio di solidarietà e di umanità fattiva. Ma, evidentemente, la storia che racconta l’autore della placca non è diversa da quella che ho sentito io.
Dopo aver brillantemente risolto il mistero della statua romana di Wells, ho fatto il giro della città, famosa in tutto il mondo per la sua bella cattedrale medievale di impianto gotico, oggi anglicana.
Quello che molti non sanno è che a Wells c’è anche una chiesa cattolica molto bella e imponente, che va sotto il nome di St. Cuthbert. Ebbene, nel prato di fronte alla chiesa, due ignari turisti italiani, sbarcati da un camper megagalattico, commentavano con rabbia che il loro libro dava una descrizione totalmente errata della cattedrale e dei suoi tesori…
Peccato fossero davanti a St.Cuthbert, e non alla cattedrale, che è dall’altra parte della città!
Caro Tony, non è che con i tuoi operai puoi rimettere in sesto una di quelle baracche in disuso nel campo di prigionia? Avrei due candidati da affidarti per qualche anno.
Tanto, so che li tratterai con gentilezza.
Al bar Edera siamo 1 a 16… 🙁
Emilio, sono in ritardo, ma te lo dico comunque, oggi è il compleanno di Clyde. Che è a casa sua a poulton nel domereste, zona Bath, a sella ero stata con lui un po’ di tempo fa e a cheddar, con un gelato fantastico, tant’è, buone pedalate, cindy
magari alla prossima tappa trovi un leone di San Marco? who knows? e mentre tu sudi io mi sono presa una bella bici elettrica, meglio del motorino, e senza casco … buona vacanza! ross
Pensa che giovedì scorso mi sono imbattuto in un’altra lupa romana (con tanto di fanciulli) in trasferta all’estero: niente meno che a Bucharest: http://www.looms.ro/filesystem/images/big/statuia-lupoaicei-bucuresti.jpg
Del resto si sa, Roma è Caput Mundi…seconda sola ad Ariano Irpino! 😉 Buon viaggio!