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Vero o falso?

 

Perth-Pitlochry 32 miglia 12-8-2013

Perth-Pitlochry 32 miglia 12-8-2013

Se si inserisce il nome “Perth” in un qualunque motore di ricerca, il primo risultato sarà la città capitale dello stato dell’Australia Occidentale, e non certo la cittadina scozzese da cui sono partito stamane. La cosa è sicuramente giusta in termini numerici, dato che la prima vanta quasi cinquanta volte il numero di abitanti della seconda, e fra loro alcuni amici, come Andrea, Valentina e Maria, che saluto da questo blog.

Australiani?

Australiani?

Però, a me piace ricordare che la città australiana deve il suo nome proprio alla Perth scozzese, che, nel suo piccolo, è stata considerata a lungo la capitale della Scozia, dato che i suoi re o regine venivano incoronati nell’Abbazia di Scone, appena fuori città. Il rito prevedeva l’uso della cosiddetta “pietra del destino”, un pietrone oblungo di un quintale e mezzo, che sarebbe appartenuto, per chi ci crede, nientemeno che a Giacobbe, il quale, secondo la Genesi, l’avrebbe usato come guanciale.

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Un bel giorno, nel 1296, il re inglese Edoardo I pensa bene di appropriarsi del “guanciale” come bottino di guerra (un po’ come la “secchia rapita” dai modenesi ai bolognesi) e di piazzarlo nell’Abbazia di Westminster, a Londra, sotto il cuscino

Trono (con pietra)

Trono (con pietra)

di piume vere su cui si appoggia il fondoschiena reale il giorno dell’incoronazione. Così, tanto per far capire chi comanda tra Inghilterra e Scozia.

L’ultima, in ordine di tempo, a seguire questo rito pluricentenario è stata proprio la regina Elisabetta, nel 1953. E questo, nonostante che tre anni prima la pietra fosse stata oggetto di un “rapimento” in piena regola, che l’aveva vista ritornare, pur spezzata in due, in territorio scozzese, a seguito di un viaggio che fa pensare al film “Tre uomini e una gamba” di Aldo, Giovanni e Giacomo: ricerche su tutto il territorio affidate a Scotland Yard (ironia del nome!), blocchi stradali per intercettare i rapitori, la pietra che si rompe in due pezzi, una festa propiziatoria in una brughiera del nord inglese… di tutto, di più. Ma alla fine, per evitare un conflitto diplomatico, la Chiesa di Scozia decise di rispedirla a Londra.

Un'altra pietra segna il centro del mercato medievale di Perth (quella scozzese)

Un’altra pietra segna il centro del mercato medievale di Perth (quella scozzese)

A prima vista, la storia finisce nel 1996, quando, con soli 670 anni di ritardo, l’Inghilterra ha finalmente deciso di rispettare la promessa, fatta in un trattato del 1326, di rispedire la pietra ai legittimi proprietari in cambio del permesso di continuare ad usarla in occasione delle incoronazioni. La riconsegna dell’ostaggio è avvenuta con tanto di cerimonia ufficiale alla frontiera, alla presenza di dignitari e del Principe Andrea.

Ma il bello della storia è che, secondo studi e scoperte archeologiche recenti, con tutta probabilità, nel ‘200 i frati dell’Abbazia di Scone rifilarono al re inglese una colossale patacca: gli avrebbero consegnato una copia della pietra sacra, oltretutto più piccola dell’originale descritto da documenti dell’epoca. Che tempi! Se risultasse vero, l’episodio sarebbe per me non solo divertente, ma lo vedrei come fondamentale precedente storico al caso fantastico delle finte sculture di Modigliani fatte trovare nel canale di Livorno nel 1984, che beffarono tutti i critici d’arte. Fidarsi è bene, ma non fidarsi (neanche dei frati), è meglio!

Falso d'autore

Falso livornese d’autore

Ma dicevo di Perth 1, quella australiana, che deve il suo nome a Perth 2 (quella scozzese). In effetti, il nome venne scelto nel 1829 per onorare l’allora Ministro delle Colonie, che, guarda caso, era nato proprio a Perth 2. Sarebbe un po’ come se, dopo il terremoto, la “new town” de l’Aquila fosse stata battezzata “Arcore”.
Ma la Perth 2 di oggi ha una caratteristica simpatica, che dovrebbe inorgoglire noi italiani: è una delle cinque città del Regno Unito che hanno aderito al movimento internazionale delle “Città slow”, lanciato a suo tempo da Slowfood, e lo annuncia fieramente anche nei cartelli stradali che accolgono gli stanchi ciclisti come me. L’obiettivo dichiarato è quello di mettere in risalto la produzione agricola del territorio, la sostenibilità ecologica, la biodiversità e, in ultima analisi, il turismo “lento”. Ad onor del vero, Perth 2 mi sembrava già abbastanza lenta di suo, ma tant’è…

Perth - città lenta. Lenta come me

Perth – città lenta. Lenta come me

Comunque, stamattina ho salutato questa piccola città-capitale pedalando per varie miglia lungo una pista ciclabile immacolata, incastonata tra il fiume Tay, attorno a cui si raggomitola la città, e splendidi prati verdi, curatissimi. Fossero tutte così le capitali…

Nonostante abbia fatto poco più di 50 chilometri, sono comunque stanco, perché, insisto a dire a costo di essere noioso, questo paese è tutto un saliscendi e le gambe non apprezzano!

Peggio del Texas

Peggio del Texas

Serata con sorpresa a Pitlochrie, borgo turistico affollatissimo, che deve la sua notorietà al fatto di servire come base o ultima fermata per coloro che visitano le Highlands, le terre alte scozzesi. Nel cortile dell’albergo, la banda del collegio di St. Andrews si prepara alla sfilata e al concerto: sono solo tamburi e cornamuse, ma l’effetto, quando lo si sente dal vivo, è da pelle d’oca.

Banda schierata

Banda schierata

Si capisce in un attimo perché le cornamuse siano state tanto utilizzate sui campi di battaglia: il suono porta talmente lontano ed è così inconfondibile e penetrante (a volte straziante) che può facilmente galvanizzare le truppe, o aiutare a riorganizzarle. Diciamo però che in tempo di pace, una mezzoretta è il mio limite massimo di sopportazione, prima che subentri l’esaurimento.

 

Il direttore d'orchestra

Il direttore d’orchestra

Ciò detto, mi è piaciuta la cura dei dettagli, dall’abbigliamento alla coreografia, dall’organizzazione fino al tecnico che “accorda” singolarmente ogni cornamusa: diciamo che per questa operazione non usa proprio un metodo tradizionale, ma mi ha assicurato che l’iPhone funziona benissimo e gli fa risparmiare un sacco di tempo. E un sacco di orecchio, aggiungo io. Due link per gli amanti del genere cornamusa:

1 Preparazione

2 Esecuzione

Controllo accurato

Controllo accurato

Chiudo in bellezza questa carrellata di tradizioni, leggende, colonie e sovrani, parlando di uno che vorrebbe tanto essere re, ma proprio non glielo fanno fare. No, non parlo di Carlo, che, poveretto, ormai si sarà messo il cuore in pace, ma di un mio coetaneo belga che dichiara di essere l’erede legittimo al trono di Scozia.

Michel Roger Lafosse si fa chiamare Michael James Alexander Stewart of Albany (ancora l’Albania!) e sostiene che la casata reale scozzese degli Stuart non si è estinta, come sostiene ogni storico da 200 anni a questa parte, ma vive tuttora nella sua persona, a seguito di una storia mirabolante di nozze annullate dal Papa, matrimoni segreti e figli in esilio più o meno legittimi. A sostegno della sua tesi, Lafosse/Stewart ha pure pubblicato un libro sulla genealogia “segreta” dei reali di Scozia, firmandosi, ovviamente, come Sua Altezza Reale.

Ma chi è Lafosse/Stewart? Lui vanta il titolo di “Addetto culturale dell’Ambasciata dei Cavalieri di Malta nella Repubblica Democratica di Sao Tomé e Principe”, in Africa.
Pur essendo nato a Bruxelles, è diventato cittadino britannico, grazie al certificato di nascita da cui risulta essere figlio del Barone Gustave Joseph Fernand Clément Lafosse e della Principessa Stewart.

Il libro dell'erede al trono

Il libro dell’erede al trono

Nel 2006 la cittadinanza britannica gli è stata revocata, perché il certificato di nascita è risultato falso.
Lafosse/Stewart allora ha venduto la casa di Edimburgo, ha divorziato ed è tornato a vivere a Bruxelles con la mamma, impiegata di professione.
Il padre si chiama effettivamente Gustave Joseph Fernand Clément Lafosse. Sarà pure barone, ma fa il bottegaio.

Mi sa tanto che in tutta questa storia anche il nostro erede al trono è un  barone.

Nel senso di grande baro

Firmato: Panzio Pelato (autentico centurione romano)

Effetto speciale

Edimburgo-Perth. 48 miglia. 11-8-2013

Edimburgo-Perth. 48 miglia. 11-8-2013

La regola che di solito mi impongo quando viaggio in bicicletta prevede di restare lontano dalle grandi città. Salvo eccezioni. E la capitale scozzese, Edimburgo, è uno di quei posti per i quali un’eccezione è totalmente giustificata, soprattutto se ci si capita, come nel mio caso, durante lo svolgimento del Festival. Ad essere precisi, nel periodo tra fine luglio e fine agosto, di festival ce ne sono due: quello ufficiale, dedicato a opera, concerti e teatro di alto livello, e quello alternativo, il cosiddetto Fringe, che punta molto sui nuovi talenti del teatro, della comicità, della musica e della danza.

Vestito o moquette? A Edimburgo non conta

Vestito o moquette? A Edimburgo non conta

I due festival sono cominciati subito dopo la guerra, nel ’47, e per tanti anni hanno vissuto vite parallele, un po’ da separati in casa. Nelle intenzioni originarie, si rivolgevano a due pubblici diversi, sia come gusti che come disponibilità finanziaria. Oggi la discriminazione sta soprattutto nei prezzi, visto che il grosso degli eventi alternativi sono a offerta libera o a prezzi molto contenuti. I numeri di questa manifestazione sono impressionanti, e ne fanno il più grande festival dedicato alle arti dello spettacolo. Stiamo parlando, tanto per capirci, di 2800 spettacoli in tre settimane, sparsi in quasi 300 strutture ospitanti, cioè bar, ostelli, cinema, teatri, pub… Ci sono spettacoli a tutte le ore del giorno e fino a tarda notte. Gli artisti sono perlopiù anglofoni, ma l’anno scorso era rappresentata una quarantina di paesi.

Ho bevuto una birra con tre (bravi) comici scozzesi

Ho bevuto una birra con tre (bravi) comici scozzesi. O tre birre con uno di loro?

La qualità è quanto di più variabile si possa immaginare, ma nell’insieme la competizione ha portato ad un livellamento verso l’alto. Stesso discorso sui contenuti, dove si può passare da una rappresentazione di Shakespeare fino al delirio sperimentale. In quest’ultima categoria, mi piace ricordare quello che per me è lo spettacolo più strepitoso, riproposto quest’anno dopo il successo del 2012: un giovane vestito da gorilla, che a sua volta si veste da vecchio e dondola su una sedia (a dondolo) per 56 minuti esatti. Poi esce di scena. Fine. E intanto, un vichingo fa le parola crociate. Ovazione. Questo è il link.

 

Periferia

Periferia

Grazie a questo festival e ad altre manifestazioni internazionali, Edimburgo si è costruita una solidissima reputazione come capitale artistica. Si stima che la sua popolazione di mezzo milione di anime raddoppi durante il mese di agosto. Spettacoli a parte, quello che colpisce in questi giorni è la vitalità che si respira camminando per il centro, la massa cosmopolita di giovani che adesso li vedi bere una birra e cinque minuti dopo te li ritrovi in scena; o, se è per quello, in uno dei numerosissimi eventi improvvisati e non compresi nel calendario degli spettacoli che si svolgono nelle strade e nelle piazze: mimi, suonatori di cornamusa, gruppetti rock amplificati, artisti di strada nel senso più lato del termine.
Riassumendo: bello, vivace, vibrante, entusiasmante, indicato per tutti i giovani della fascia d’età 16-85.

Edimburgo

Edimburgo

E poi, il centro di Edimburgo è imponente, nonostante quasi tutti gli edifici siano costruiti in pietra grigia e non è un caso che sia patrimonio dell’Unesco. Un consiglio: fermarsi e restare con lo sguardo rivolto in alto, diciamo dai quattro metri in su, così si possono ammirare lo splendore dell’architettura e l’opulenza dello stile, e soprattutto evitare le brutture delle insegne urlate dei negozi. Partendo stamattina, ho anche visto la periferia di Edimburgo, che non fa eccezione rispetto alle periferie del resto del mondo: banale, a tratti povera, grigia. E stavolta il grigio non aggiunge fascino, bensì pesantezza.

Vista dal ponte

Vista dal ponte

Salutati gli amici Caroline e Mark (grazie per la cena) e passato l’avveniristico ponte sospeso che permette di continuare verso nord, ho affrontato una giornata che definirei classica: vento forte laterale o contrario e l’immancabile spruzzata di pioggia, che ho lasciato passare fermandomi in un pub. Ecco, l’esperienza del pub di campagna mi mancava, ma posso dire non è il massimo. Per carità, la gente è pacifica, ma l’entrata improvvisa di uno vestito da ciclista ha un impatto dirompente sulla monotonia secolare del posto, dove anche gli avventori sono ormai assimilati al mobilio. La parte più difficile, per una volta, è proprio la lingua. Devo abituarmi alla parlata scozzese, altrimenti diventa un rebus rispondere alle domande che ti fanno, anche quelle più semplici, figurarsi imbastire una conversazione.

Ma cosa dicono?

Ma cosa dicono?

Seduto in un angolo, ho preso una foto di straforo della barista e dei due clienti, ma non ho osato fare una registrazione. Di tutta la loro conversazione avrò capito tra sì e no il 30%. E il grosso di questa percentuale è composto da quella imprecazione tipica che comincia con la lettera “f” che tutti abbiamo sentito, ma che lì veniva ripetuta ogni tre parole, come un mantra. Non si finisce mai di imparare, soprattutto le parolacce…

Spettatore in kilt

Spettatore in kilt

Prima di arrivare a Perth, destinazione di giornata, finalmente un incontro simpatico. Un grande campo con l’erba verdissima, tosata corta alla perfezione, e un numero imprecisato di persone che giocavano a bocce. Dopo un po’ che li osservavo, mi hanno adottato, e a turno mi hanno spiegato le regole del gioco e mi hanno invitato pure a fare una partita, se solo fossi rimasto. Due cose mi hanno colpito: la prima è il fatto che si giochi sull’erba e col pallino a una quarantina di metri dai giocatori (in Italia, non mi risulta); e poi, le bocce stesse che, pur essendo tonde, per un effetto ottico dovuto a certe scanalature sembrano schiacciate.

Boccia a riposo

Boccia a riposo

E hanno pure un comportamento strano. Infatti, non hanno composizione omogenea e ai due lati opposti (diciamo ai due poli) contengono dei pesi. Il risultato è che i giocatori riescono a dare l’effetto alle bocce, facendo percorrere loro delle ampie traiettorie ad arco. Quando finisce l’inerzia, la boccia si “adagia” sulla parte più pesante!

1859. Si giocava a bocce prima di giocare a calcio

1859. Si giocava a bocce prima di giocare a calcio

Scopro che il club in questione esiste da 154 anni e partecipa alle competizioni internazionali. Già, perché quando c’è da competere, qua non si guarda in faccia a nessuno: Galles, Inghilterra e Irlanda del Nord diventano nemici acerrimi, alla faccia del Regno Unito, per non parlare del resto del mondo anglofono. Salta fuori che esiste il torneo delle 8 Nazioni di Bocce su Prato (un po’ come il Sei Nazioni di rugby), E finanche i Giochi del Commonwealth di specialità. Addirittura, sono in corso i tornei di qualificazione per l’Open Internazionale 2013.

Ma qui devo aprire una parentesi “politica”.

Banca cooperativa

Banca cooperativa

Ora, è innegabile che il movimento cooperativo vanti radici profondissime nel Regno Unito, al punto che la prima cooperativa di consumo recensita risale al 1769.

Cooperativa alimentare

Cooperativa alimentare

Senza entrare nei dettagli, durante il viaggio avevo acquisito una nutrita documentazione fotografica, da cui si capisce che le cooperative si occupano degli aspetti più vari della vita dei loro associati, dagli alimentari, ai risparmi, all’abbigliamento, ai viaggi…

 

Cooperativa viaggi

Cooperativa viaggi

Ma che l’Open Internazionale di Bocce su Prato, che indubbiamente attira un pubblico, diciamo così, non proprio giovanissimo, abbia come sponsor unico e riconosciuto proprio la Cooperative delle Pompe Funebri… questo proprio no.

Gli increduli possono cliccare sul link.

Io non sono superstizioso, ma se mai giocassi quel torneo, mi girerebbero con l’effetto.
E non solo le bocce.

Grattatio pallorum, omnia mala fugat

Grattatio pallorum, omnia mala fugat

Viva l’Europa

Carlisle-Selkirk. 54.5 miglia  8-8-2013

Carlisle-Selkirk. 54.5 miglia 8-8-2013

E così, a forza di pedalare verso nord, sono arrivato in Albania!

Già, perché con buona pace dei Romani, dopo la loro partenza (e per buona parte del Medioevo) non si parlò più di Caledonia. Tornò in voga il nome di origine gaelica con cui era conosciuto il territorio grosso modo a nord di Edimburgo: Alba! Da qui l’abitudine di parlare di Albania, o Albany.
Con un nuovo passaggio dal latino, emerse poi quella “Albione” che finì per identificare l’intera isola e a cui i francesi prima e il fascismo poi pensarono bene di associare l’aggettivo “perfida”.

Alba vi dà il benvenuto

Alba vi dà il benvenuto

Per complicare ancora un po’ le cose, è utile segnalare che quella che i Romani chiamavano “Hibernia” e oggi va sotto il nome di Irlanda, era conosciuta come Scozia, in quanto patria degli “Scoti”, o “Gaeli” (dal nome della lingua che parlavano, appunto il gaelico), che colonizzarono la Scozia attuale. Chiaro?

 

Selkirk-Edimburgo  45 miglia. 9-8-2013

Selkirk-Edimburgo 45 miglia. 9-8-2013

A parte le stranezze e le etimologie storiche, la sostanza del discorso è che ho finalmente superato il confine che separa l’Inghilterra dalla Scozia, pochi chilometri a nord del Vallo di Adriano. A questo proposito, per confermare che l’inglese vero non è quello delle dispense che si vendono in edicola, aggiungo al post di oggi un altro spezzone di Michael Young, l’inimitabile guida del forte di Vindolanda che spiega (credo) che i Romani non buttavano via niente degli animali che macellavano: le ossa servivano a fare la colla, il sangue a conciare la pelle, e via discorrendo. O forse parla di tutt’altro, ma questo è il bello del dialetto di Newcastle.  Per ascoltarlo, cliccate qui.

O no?

O no?

Sempre parlando del Muro, ancora un piccolo aneddoto. Helen, la guida al forte di Vercovicium (oggi noto come Housesteads), ha cominciato la visita chiedendo da dove venivano i partecipanti. C’erano molti inglesi e qualche scozzese; poi australiani e neozelandesi, sconvolti perché la cosa più vecchia che avevano mai visto fino a quel giorno era una foto della nonna, e infine c’ero io. Non ho resistito e quando mi ha chiesto di presentarmi ho detto, guardandomi attorno, che ero di Roma e che ero venuto a verificare lo stato della mia proprietà! Ovviamente l’ha presa sul ridere e mi ha nominato sul campo esperto di storia romana e suo assistente.

Prima di cominciare l’ultima parte del viaggio, che la guida giudica come la più difficile per via delle montagne e del clima piovoso (cominciamo bene), vale la pena fare una ultima considerazione sulla prima parte del percorso, in cui ho attraversato soprattutto il territorio inglese, sulla direttrice sud ovest-nord ovest.

Certi Celti...

Certi Celti…

La domanda che ormai tutti in Europa si pongono è di sapere se il Regno Unito rimarrà nell’Unione europea e, in subordine, se la Scozia resterà legata all’Inghilterra o sceglierà l’indipendenza (e eventualmente di restare nell’UE). Alla seconda domanda avremo in parte una risposta il 18 settembre dell’anno prossimo, giorno scelto per il referendum scozzese. Sulla prima questione invece, i pareri sono discordanti. Quel che è certo è che la campagna contro l’UE è condotta in maniera forsennata e costante e anche un po’ sleale dal mio punto di vista. Do un solo esempio, piccolo ma significativo di quello che intendo dire.

Qualche giorno fa scrivevo del campionato mondiale per incantatori di vermi (vedi: Vieni fuori, brutto verme!). Sulla pagina del sito che descrive la storia della competizione sta scritto che “le dimensioni delle parcelle di terreno sono aumentate da 3 iarde per 3 a 3 metri per 3, per conformarsi ai requisiti CEE”. Requisiti CEE? Se qualcuno mi trova copia di questi fantomatici requisiti, giuro che gli offro una cena a base di ostriche e champagne. È chiaro che chiunque legga questa affermazione senza sapere che è una gigantesca fesseria, si convincerà ancor più del fatto che l’Europa è inutile e che gli euroburocrati non hanno alcun diritto di interferire con l’habitat degli splendidi vermi britannici.

L'eccezione che conferma la regola

L’eccezione che conferma la regola

Buona parte della stampa ha poi preso la brutta abitudine di attribuire alla UE ogni sorta di nefandezza, presentando dati di fatto in maniera tendenziosa, oppure inventando scoop di sana pianta. Solo negli ultimi mesi, all’Europa è stata attribuita l’intenzione di:

1Imporre una tassa sulla carne che farà aumentare il prezzo del tradizionale arrosto domenicale.
2 Voler cambiare il sistema giudiziario del Regno Unito e controllare i suoi giornalisti
3 Fare una lista nera delle spiagge, in cui sarà vietato andare a nuotare
4 Vietare la vendita di marmellata con meno del 60% di zucchero
5 Vietare i profumi
6 Ridurre la potenza degli aspirapolvere
7 Finanziare film europei “noiosi”
8 Vietare alle parrucchiere di portare tacchi alti e gioielli mentre lavorano e

dulcis in fundo…

9 impedire alle chiese anglicane di cacciar via i pipistrelli che con i loro escrementi le rovinano più di quanto non avesse fatto Oliver Cromwell!

Mi fermo qua per carità di patria, ma poi non stupiamoci se qualcuno si forma un’opinione su fatti del genere e piazza sul parafango l’adesivo che ritraggo nella foto!

Amo l'Europa ma odio l'UE?

Amo l’Europa ma odio l’UE?

Comunque, se questo è il livello, mi adeguo anch’io.

Perché il Regno Unito possa restare nell’Unione europea, occorre porre fine ad alcuni fattori storicamente discriminanti nei confronti del resto del mondo. Due proposte legislative dell’Unione europea, in particolare, sono imprescindibili:

1 direttiva sul divieto d’uso della moquette e obbligo di parquet per i pavimenti. In tutti gli alberghi in cui sono transitato sembrava di camminare su uno strato di gommapiuma. Per fortuna non sono allergico a polvere e acari, ma solo un microbiologo saprebbe dirmi cosa stavo calpestando.

Crewe- Moquette d'albergo

Crewe- Moquette d’albergo

Per di più, in ogni singolo albergo inglese la moquette era di colore rosso, o una sua variazione. In Scozia è diventata verde, ma la sostanza non cambia. Vantaggio ulteriore: si potranno usare aspirapolvere meno potenti (vedi bufala n.6 qui sopra)

Moquette scozzese

Edimburgo – Moquette scozzese

2 regolamento che vieta da subito l’uso di rubinetti separati per acqua calda e fredda e impone l’uso del miscelatore. Adesso, per lavarsi la faccia si devono mettere le mani prima sotto l’acqua fredda, poi quella calda e sperare di indovinare le proporzioni. Se si sbaglia l’ordine, ci si ustiona. Il massimo della perfidia (ah, Albione!) l’ho fotografato per gli scettici: è il finto miscelatore, dove il flusso bollente e quello ghiacciato corrono paralleli ma distinti.

Caldo a sinistra, freddo a destra

Caldo a sinistra, freddo a destra

Da una parte una colata di lava, pochi millimetri più in là un fiume polare. L’effetto sulle mani è drammatico! Vantaggio collaterale: non ci sarà bisogno della laurea per fare la doccia. Ogni albergo ha un sistema diverso, e quando arrivo la sera devo districarmi fra manopole graduate con numeri rossi, frecce blu e interruttori, perché la maggior parte delle docce funziona con la corrente!

Evviva il dirigismo europeo!

E per i vermi, dimensioni minime del terreno: 4 metri per quattro!

Strade sicure

 

Kirkby Lonsdale e Kirkby Stephen, rispettivamente punto di partenza e tappa intermedia del percorso odierno, sono praticamente intercambiabili.

Kirkby Lonsdale-Carlisle. 68 miglia. 6-8-2013

Kirkby Lonsdale-Carlisle. 68 miglia. 6-8-2013

A parte i 40 chilometri che le separano, hanno lo stesso nome di base, Kirkby, composto da due parole di origine nordica (kirk = chiesa e by = villaggio) che tradiscono la presenza di insediamenti vichinghi risalenti a prima dell’anno 1.000.   Se si guarda un atlante stradale, si vede che di Kirkby in Inghilterra ce ne sono tantissime, e a molte è stato aggiunto un altro nome per distinguerle. E ci mancherebbe: è come se in Italia dovessimo identificare una località chiamandola solo “Villaggio con la chiesa” !

Kirkby Lonsdale

Kirkby Lonsdale

A parte il nome, le due località sono molto simili: centri rurali di 2.000 abitanti, città mercato da un migliaio di anni in virtù di bolle reali, tappe turistiche consolidate soprattutto per chi ama le lunghe passeggiate sulle colline di questa bella regione, la Cumbria.

È la pioggia che va...

È la pioggia che va…

A proposito, per avere un’idea del tipo di paesaggio (a cui le mie foto non possono rendere giustizia), basta prendere il nome Cumbria e togliere la lettera “C”. Ecco, facciamo finta di essere in Umbria. E invece siamo vicini al confine settentrionale dell’Inghilterra, tanto che ormai sono in vista della Scozia, ovvero del Vallo di Adriano, che a due riprese segnò il limite dell’impero romano.

Comincia il parco

Comincia il parco

E siamo anche ai confini dello Yorkshire, la regione più estesa del paese, che ospita il gigantesco parco naturale delle Yorkshire Dales, con le sue colline, vallate e brughiere così caratteristiche. A ovest, poi, ci sarebbe nientemeno che il Distretto dei Laghi, ossia i 3.000 km. quadrati collinari più romantici che l’ultima glaciazione ci ha regalato 10.000 anni fa e che decine di poeti hanno consacrato nei secoli. Peccato dover procedere, anche se le mie gambe ringraziano!

Futuro maglione di lana bruca nella brughiera

Futuro maglione di lana bruca nella brughiera

Fissato il quadro, vorrei attardarmi un attimo su una questione che alcuni amici mi hanno posto via mail, vale a dire le condizioni della viabilità per un ciclista in generale e per qualcuno che abbia voglia di fare come me, cioè affrontare un lungo percorso. La risposta l’ho data parzialmente qualche giorno fa. Le strade minori sono più belle, più panoramiche, fanno scoprire villaggi microscopici e permettono di fare incontri sorprendenti. Ad esempio, domenica pomeriggio, sulla strada per Kirkby Lonsdale, mi sono fermato, per lasciar spiovere, nel cortile di quello che sembrava un piccolo capannone. Esce un tipo con baffoni da tricheco e la tuta piena di grasso: fa il meccanico. E dei capannoni, alla fine, scopro che ne ha tre, e tutti e tre pieni di moto: da collezione, nuove da vendere e in riparazione. Gli dico che sono italiano e il gioco è fatto. Mi mostra una Guzzi Jackal a cui tiene molto, una Ducati carenata da corsa e cento altre chicche che lo tengono occupato anche in un giorno di festa.

12 cavalli

12 cavalli

Mi spiega che detesta le moto troppo piene di elettronica, perché non gli permettono più di fare il vero lavoro del meccanico. A tempo perso lavora su una Austin 12 del 1928, che tiene sotto una tettoia e per la quale costruisce da solo i pezzi che eventualmente si rompono. Ecco, tutto questo per dire che sulle grandi arterie questi incontri non si fanno, però si guadagna tantissimo dal punto di vista del fondo stradale, dei servizi e della sicurezza personale. A proposito di sicurezza, trovo davvero notevole l’uso che si fa, particolarmente nelle campagne, dei cosiddetti “cat’s eyes” (occhi di gatto).

Occhi di gatto o Star Wars?

Occhi di gatto o Star Wars?

Sono delle ganasce di ferro piantate nell’asfalto, sul bordo della carreggiata o lungo la linea di mezzeria, che trattengono un elemento di gomma rigida che protegge e addirittura pulisce un catarifrangente di colore bianco, rosso, verde o arancione. Percorrere di notte una strada sinuosa, sperduti nella campagna, lasciandosi guidare dagli occhi di gatto diventa un’esperienza fantasmagorica: sembra di guidare sulla pista di atterraggio di un aeroporto, con le linee di colore che si intrecciano in corrispondenza delle curve o degli incroci. Di giorno, invece, sembra di vedere una serie di piccoli teschi o, con un po’ di fantasia, delle teste di soldati dell’impero in Guerre Stellari. Furono inventati nel 1934 da Percy Shaw, un uomo senza fronzoli che cominciò a lavorare da apprendista a 13 anni e che ben esemplifica il carattere pragmatico della gente del Nord, e dello Yorkshire in particolare. L’invenzione lo rese milionario, ma continuò a vivere nel suo due stanze e cucina fino alla fine dei suoi giorni. Due soddisfazioni se le tolse: possedere una Rolls Royce Phantom e tenere accesi 24 ore al giorno quattro televisori, sintonizzati su BBC 1, 2, 3 e ITV. E poi dicono che guardo tanta televisione io!

Hanno cavato gli occhi al gatto?

Hanno cavato gli occhi al gatto?

L’ultimo piccolo dettaglio su cui vale la pena riflettere è che da queste parti si viaggia contromano. O meglio, si viaggia a sinistra, come si fa in circa un terzo dei paesi del mondo, spesso in funzione diretta dei possedimenti imperiali di questa o quella potenza. Adeguarsi non è difficile di per sé. Il difficile è mantenere la concentrazione e non cedere alle reazioni d’istinto, soprattutto nei momenti di difficoltà. In auto, la difficoltà sta tutta nell’usare la mano sinistra per cambiare marcia. Cercando di capire i motivi storici della scelta di guidare da una parte o dall’altra, si finisce in una palude di ipotesi, che vanno dai cavalieri medievali che tenevano la sinistra per poter usare la spada con la destra, a Robespierre che impone la destra perché era il lato del “popolo” in Inghilterra, fino al freno a mano esterno che, a seconda di dove era piazzato, determinava la posizione del volante.

Da che parte?

Da che parte?

Il bello è che mentre il Regno Unito è sempre stato coerentemente sinistrorso, nell’Italia post-unificazione si guidava da ambo i lati, a seconda della decisione di ogni provincia. Quindi, per andare da Cotignola (Ravenna) a Imola (misteriosamente in provincia di Bologna), occorreva cambiare senso di marcia dopo Castel Bolognese, che, come il nome indica, è in provincia di Ravenna. A parte gli scherzi, è pur vero che a Ravenna si teneva la destra ma, lungo la strada per Porto Corsini, «per antica consuetudine» si procedeva a mano sinistra. E ancor oggi non mancano esempi sopravvissuti alla modernità, come certi ponti sul Tevere a Roma, dove si viaggia allegramente contromano.

T - junction di pietra

T – junction di pietra

E chi, se non un romagnolo, poteva risolvere la faccenda? Ebbene sì. Di fronte al crescente numero di incidenti e proteste, fu proprio il duce a prendere la decisione di mandare tutti gli italiani a destra (e ti pareva!), con un decreto firmato dal re nel 1923, cioè appena un anno dopo che i partecipanti alla Marcia su Roma avevano tranquillamente viaggiato a sinistra! La decisione fu presa contro il parere di vari prefetti, che ritenevano più sicuro per i mezzi dell’epoca il sistema all’inglese. Ma figuriamoci se il duce voleva andare a sinistra. Provò persino a far invertire il senso di marcia dei treni, ma di fronte alla spesa colossale necessaria, almeno su quello dovette soprassedere.

Anche le pecore vanno a sinistra...

Anche le pecore vanno a sinistra…

E i Romani in tutto questo? Giulio Cesare, solitamente preciso nei dettagli, con la sua Lex Iulia Municipalis del 54 a.C. scrisse in pratica il primo codice della strada, ma stranamente non precisò il senso di marcia, forse perché, quando passava lui, erano gli altri a spostarsi. Fatto sta che oggi gli archeologi inglesi ci vengono in soccorso, con una scoperta a dir poco sensazionale. In una cava di pietra vicino alla città di Durocornovium (nei pressi dell’attuale Swindon), nel sud del paese, hanno scoperto le tracce ben conservate del passaggio dei carri che entravano vuoti nella cava e ne uscivano carichi di pietre. E, neanche a farlo apposta, il solco in entrata, molto meno profondo, si trova a sinistra.

Aveva ragione Totò: “E poi dice che uno si butta a sinistra”!

Panzio si mimetizza

Panzio si mimetizza

Una storia di periferia

Giornata lunga, come da programma, e un centinaio di chilometri coperti, equamente divisi tra pianura e saliscendi. Quella che comincia a farsi sentire è indubbiamente la fatica fisica, ma da due giorni a questa parte la relativa bruttezza del paesaggio è un’aggravante non da poco.

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Archeologia industriale

Sto attraversando zone che hanno conosciuto periodi di abbandono rurale, di sviluppo industriale frenetico, di sfruttamento minerario e di crisi massicce che hanno lasciato tracce evidenti. In questi giorni, ci si è messa anche la società Cuadrilla, che a dispetto del nome da ballo sudamericano, è una società petrolifera a tutti gli effetti. Ha appena richiesto varie autorizzazioni per cominciare a perforare anche in questa contea del Lancashire alla ricerca del gas di scisto, da ottenere con la tecnica del cosiddetto “fracking”, contestatissima dagli ambientalisti e dalle popolazioni locali.

Crewe-Preston. 62 miglia. 3-8-2013

Crewe-Preston. 62 miglia. 3-8-2013

Seguendo le indicazioni della guida, finisco per evitare i centri urbani maggiori, anche se fa una certa impressione vedere sulla cartina il groviglio di strade e autostrade che devo superare per aprirmi un varco in questa mega-agglomerazione urbana che vede Liverpool, poche miglia a ovest, e Manchester dall’altra parte: volendo, una specie di metaforico dribbling tra due grandi protagoniste della Premier League!

Ma, calcio a parte, cerco di districarmi in una immensa periferia post-industriale. Raramente le periferie di questo tipo sono belle, e qui non fa eccezione. Anzi, a rischio che gli abitanti si offendano, ho concluso che in molti dei paesi che ho attraversato la cosa esteticamente più bella era il cimitero.

Storia vissuta

Storia vissuta

Con quelle file disordinate di lapidi senza fiori, sparse nel cortile della immancabile chiesa di pietra, si crea una specie di oasi romantica che un muretto separa dalle brutture esterne: un metaforico libro aperto che racconta o lascia immaginare la vita di chi, nei secoli, ha scritto la storia locale, magari senza saperlo.

Oggi, invece, la vita si sviluppa attorno alla strada principale, cui fanno da ali file interminabili di case mono o bifamiliari, costruite in gruppi implacabilmente uguali.

Una strada fra tante

Una strada fra tante

Domina il colore rossiccio, nel senso che le abitazioni sono fatte di mattoni a vista, i muretti che le separano dalla strada sono in mattoni a vista, ed è rossa pure la piazzola di sosta della corriera.

I centri più importanti sono circondati da quello che mi piace chiamare l’anello dei parallelepipedi: un cordone sanitario di capannoni che ospitano i grandi centri commerciali, le rivendite di automobili, di macchinari e di tutto quello di cui pensa di aver bisogno il moderno consumatore.

Home sweet home

Home sweet home


Mi rendo conto che non è un quadro entusiasmante, e forse l’acido lattico mi sta giocando un brutto scherzo, ma garantisco che ogni volta che sono riuscito a uscire dalla morsa delle costruzioni e a fare un po’ di strada in ciò che resta dell’aperta campagna, beh, mi è sembrato di pedalare molto meglio.

Con tutto questo, sono arrivato in serata a Preston, che rientra già nella contea del Lancashire. All’arrivo ho chiesto indicazioni a due gentilissime cicliste, che mi hanno accompagnato fino in centro, a due passi dall’albergo.

Le mie guide

Le mie guide

Ho scattato loro una foto, che ho promesso di postare sul blog a mo’ di ringraziamento. Una delle due (purtroppo non ho raccolto i nomi) lavora per la contea e si occupa, manco a dirlo, di problemi di mobilità su due ruote. Nel breve tragitto fatto insieme lungo il fiume, mi ha raccontato di come si sia investito molto nella costruzione di un anello di una ventina di miglia di pista ciclabile attorno alla città, e di quanto l’investimento abbia fruttato in termini di miglioramento della mobilità, della salute generale e dell’ambiente. Non ho potuto far altro che darle ragione e, metaforicamente, allargare le braccia!

Solidarietà

Solidarietà

Andando a cena, mi è capitato di notare un assembramento nella piazza prospiciente il museo Harris, che è un edificio neoclassico che porta sul frontone una dedica benaugurante alla letteratura, alle arti e alle scienze.
Sembrava un normale mercatino, nel senso che dietro tre o quattro bancarelle alcune donne offrivano prodotti per lo più alimentari. Poco lontano, un gruppo di uomini pregava inginocchiato. Un giovane di origine indiana, Nasim, mi ha spiegato che si tratta di una iniziativa di beneficenza organizzata dalla comunità mussulmana di Preston a favore dei senzatetto della città, che risultano essere una cinquantina. E in effetti, un poco in disparte, un gruppo di persone piuttosto male in arnese aspettava pazientemente di poter ricevere cibo caldo a volontà e una buona riserva di prodotti da consumare in seguito. Ho parlato anche con uno di loro, un giovane, che mi ha spiegato quanto sia dura vivere all’addiaccio e quanto la polizia non tolleri più l’occupazione abusiva di edifici vuoti (squatting), pratica questa che in Inghilterra ha goduto per anni di una forma di semi impunità.

Nasim

Nasim

Vedere come la solidarietà possa avvicinare due gruppi così eterogenei è stato uno spettacolo insolito per me, ma non certo per una città in cui i mussulmani sono circa l’8% degli oltre 100.000 abitanti, mantengono 12 moschee e sono ben integrati nel tessuto socio-economico. Il mese di Ramadan finirà solo venerdì prossimo, per cui Nasim, come tutti lì, stava aspettando le nove di sera per poter bere e mangiare. È d’accordo con me nel dire che rispettare il Ramadan a queste latitudini è problematico. Mi spiega che nei paesi ancora più a Nord, dove il sole praticamente non tramonta, il muftì decide sulla durata del divieto: in genere si opta per 18-20 ore giornaliere di digiuno!

A non più di 200 metri dal luogo di questo insolito incontro, ho scoperto invece la Preston del sabato sera, che sembra essere dominata dai disco-pub, che riversano per strada musica ballabile di ogni genere già alle 8 di sera. L’impressione è che qui si raccolga buona parte della città, e infatti si vede veramente di tutto.

 

Stivale sobrio

Stivale sobrio

Uomini e donne si muovono in gruppi, occhieggiando e soppesandosi da un marciapiede all’altro della “high street”. Vola qualche fischio, qualche apprezzamento salace e qualche risatina: tanto, prima o poi si incontreranno in un locale o in un altro, dove verranno imbarcati da solerti buttadentro, che mostrano una densità di neuroni inversamente proporzionale al volume dei bicipiti. Le ragazze sono “tirate” a balestra: il risultato cromatico è spesso sconcertante e l’equilibrio è instabile su tacchi a spillo chilometrici, ma almeno si apprezza l’impegno.

Piccoli Beckham crescono

Piccoli Beckham crescono

I ragazzi invece girano in jeans e maglietta quando va bene, in short e canottiera quando va male. L’importante è mostrare un massimo di tatuaggi, principalmente sulle braccia, ma anche sui polpacci, dietro il collo e in fondo alla schiena. L’idolo è David Beckam, che a torso nudo sembra una maglia di Missoni.

Guido is back. E anche Panzio ha problemi di abbigliamento

Guido is back. E anche Panzio ha problemi di abbigliamento

Sono le 10 e qualche coppia (stagionata o appena costituita?) brancola già lungo la “high street” con andatura incerta.
Una di queste mi colpisce perché prova il brivido dell’eleganza: vestito lungo nero e filo di perle lei, giacca e pantalone lui. Addirittura, la cravatta: peccato che si fermi quattro dita sopra l’ombelico.
In loro onore, mi sembra che dal disco-pub esca addirittura la voce di Domenico Modugno che canta “Vecchio frack”.

O è forse “Vecchio fracking”, da ballare al ritmo di Cuadrilla ?

Vecchio fracking ?

Vecchio fracking ?

Sonata in Re maggiore per forcone

 

Ironbridge-Crewe. 46 miglia. 1-8-2013

Ironbridge-Crewe. 46 miglia. 1-8-2013

Ho deciso che la mia guida di viaggio non vale un fico secco, per cui stamattina ho fatto esattamente il contrario di quello che mi suggeriva. La questione riguarda sostanzialmente il tipo di strada da seguire, con la guida che regolarmente suggerisce le cosiddette strade minori, evitando quelle che da noi sarebbero le statali e le provinciali. Sulla carta tutto bene, ma nella pratica le strade minori presentano due grossi inconvenienti: sono mal segnalate, e soprattutto non hanno una corsia di emergenza o perlomeno uno spazio di sicurezza al lato della carreggiata.

Strada con siepi

Strada con siepi

Spesso, soprattutto in Cornovaglia, Devon e Somerset, la guida mi ha fatto percorrere le cosiddette “lanes”: si tratta di strade di campagna strettissime, con spazi appositi perché due macchine si possano dare strada. Se ci si incontra a metà, uno dei due deve fare marcia indietro. Ovviamente, se uno impara a guidare da queste parti saprà guidare in qualunque circostanza. Intendiamoci: queste “lanes” sono bellissime e decisamente caratteristiche del sud-ovest. Sono dei veri e propri monumenti storici, nel senso che tutte sono ultracentenarie, parecchie sono medievali e alcune risalgono addirittura a oltre 3.000 anni fa, cioè all’eta della pietra. Fondamentalmente si tratta di un terrapieno, a volte delimitato da un muro a secco, sul quale cresce fino ad una altezza di 2 o 3 metri una varietà incredibile di piante, fiori e arbusti, che costituiscono un vero e proprio paradiso della biodiversità. Vengono usate per definire le proprietà, delimitare i campi e impedire al bestiame di uscirne. Si calcola che nel solo Devon ce ne sia un totale di 53.000 chilometri! Sono praticamente sacre.

Spiraglio

Spiraglio

Però percorrerle in bicicletta è un altro paio di maniche. Seguono il contorno del terreno e di conseguenza sono piene di curve cieche e presentano pendenze assurde per un ciclista. E, come dicevo prima, sono pericolose, perché non permettono la visibilità e non lasciano spazio all’errore.

Per questo motivo, stamattina ho deciso che la mia sicurezza val bene il romanticismo delle “lanes” e ho preso una bella statale, con ampia carreggiata di emergenza, che per di più aveva l’innegabile vantaggio di essere livellata e di limitare i saliscendi al minimo indispensabile. L’unico inconveniente è stata, udite udite, una foratura. Ebbene sì, non ho forato una sola volta attraversando gli Stati Uniti, ma stamattina una sottile punta di acciaio è riuscita a oltrepassare il mezzo centimetro di corazza dei miei pneumatici e mi ha causato un’oretta di ritardo. Poco male.

Il primo ponte di ferro

Il primo ponte di ferro

Ero partito da Ironbridge, amena località che deriva il suo nome (Ponte di Ferro) dal fatto che proprio qui, sul fiume Severn, venne costruito nel 1779 il primo ponte di ferro della storia, consacrando in qualche maniera l’inizio della Rivoluzione industriale che, proprio con lo sviluppo della metallurgia su larga scala, ha rivoluzionato la storia dell’umanità.

Oggi, con la crisi conclamata dell’industria pesante, Ironbridge si è convertita soprattutto al turismo archeologico, con tutta una serie di attività musicali dedicate, che attirano nelle antiche fonderie una folla interessata di turisti e, in egual misura, di nostalgici.

Paesaggio idillico

Paesaggio idillico

Il punto d’arrivo della giornata, invece, è la cittadina di Crewe, nella contea del Cheshire. Occorre spendere due parole su questo posto, perché se appena appena accennate ad un inglese qualunque il nome di questa città, si metterà a ridere. Per un motivo che nessuno ha saputo spiegarmi, Crewe è diventata lo zimbello del paese, l’oggetto o almeno l’ambientazione di ogni barzelletta. Nessun inglese che si rispetti verrà mai da queste parti, se non per lavoro. Come turista, mai, e si può capire. Da quando ho lasciato il sud-ovest, la mia vita di ciclista è migliorata, ma il paesaggio è cambiato in peggio: colline basse, pianura noiosa, coltivazioni estensive di cereali, cittadine bruttarelle.

High street...

High street…

Non a caso, siamo nelle “Midlands” in quelle “terre di mezzo” che alternano grandi distese agricole a importanti concentrazioni urbane come quella di Birmingham, da dove sarò costretto a passare tra qualche giorno.
Comunque, sono arrivato da queste parti dopo un centinaio di chilometri fatti negli ultimi giorni costeggiando le rive del grande fiume Severn, e voglio vedere i lati positivi anche di Crewe. Certo, una città nata ufficialmente nell’ 800 come “colonia ferroviaria” non avrà mai un grande fascino storico-culturale, ma tant’è: accontentiamoci del fatto che è stata fabbrica delle Rolls Royce fino ad una decina di anni fa, mentre oggi produce esclusivamente le Bentley. Meglio di niente.

E poi sarei matto io...

E poi sarei matto io…

Chiudo con la spiegazione del titolo di questo post, che è una storia fra il simpatico e il demenziale, con forte propensione per il secondo. E questo è stato motivo sufficiente per farmi deviare dal percorso previsto.
A pochi chilometri da Crewe c’è un villaggio residenziale che va sotto il nome di Walliston.
E cosa si sono inventati gli astuti abitanti di questo posto, che altrimenti sarebbe originale come una giornata di pioggia?

Dal 1980, in un campo che appartiene alla locale scuola elementare, qui si tiene il campionato mondiale degli incantatori di vermi. Oh, yes!

Il quadrato magico

Il quadrato magico

Ad ognuno dei 144 concorrenti viene assegnato con sorteggio un appezzamento di terreno di tre metri per tre. L’obiettivo è quello di far uscire dal terreno e catturare il numero più alto possibile di vermi usando ogni tipo di “musica”, cioè di vibrazione. Nel corso degli anni, lo strumento più efficace si è rivelato essere il forcone, o forcale che dir si voglia, con tre o quattro denti. A questo punto, è la tecnica individuale, affinata in lunghi mesi di esercizio, che prende il sopravvento.

C’è chi pianta i rebbi nel terreno per una quindicina di centimetri e li percuote con un diapason, c’è chi percuote ritmicamente il manico del forcone con oggetti diversi, c’è chi “suona” il manico come se fosse la corda di un violoncello, c’è chi pianta i picchetti di una tenda e “suona” i tiranti… Durante i 30 minuti di gara, salvo supplementari in caso di parità, i vermi vengono fuori di corsa perché pensano stia suonando l’allarme atomico. Insomma, spazio alla creatività e… vai col liscio!

Bracconiere

Bracconiere

Il regolamento ufficiale prevede regole e sanzioni. Vieta ad esempio lo spargimento di acqua sul terreno: è considerato doping.
E i concorrenti schifiltosi che non vogliono toccare i vermi, possono nominare un assistente, un accalappiavermi, per così dire!

Qualche statistica:
Record mondiale per il numero di vermi catturati: 567 (anno 2009)
Record mondiale per il verme più pesante: 12,08 grammi (anno 2011)

 

Il ricco premio

Il ricco premio

Il WWF ha cercato inutilmente di bloccare il campionato, sostenendo che i vermi subiscono un trauma acuto ai loro organi, pur primitivi, preposti all’udito. Tra i postumi accertati sugli esemplari esaminati, il WWF segnala casi di cefalea, insonnia, tachicardia, attacchi di panico, gastriti, stanchezza acuta, irritabilità e difficoltà di concentrazione.

La giuria popolare ha abbozzato. Ha rigettato il ricorso del WWF, stabilendo al contempo che i vermi “incantati” vanno liberati la sera stessa della gara, però al tramonto, dopo che pollame e uccelli si sono appollaiati per la notte.

Se no, sai che festino!

Dulcis in fundo

Dulcis in fundo

Ps: Sul caso del ricorso in Cassazione contro la condanna della “pork pie” per frode alimentare, la Corte, pur considerando che quella artigianale è migliore, ha confermato la condanna a quattro anni. Quanto alla pena accessoria dell’interdizione dalla pubblica esposizione in vetrina, il giudizio è rinviato.

governo in bilico?

Ci sono due cose che detesto quando vado in bicicletta: la salita e la pioggia.
Oggi ho avuto l’una e l’altra in abbondanza. Ovviamente c’era da aspettarselo, visto che attraverso un paese prevalentemente collinare, dove piove in media 135 giorni all’anno. però la combinazione rimane sempre micidiale.

Worcester-Ironbridge 40 miglia. 31-7-2013

Worcester-Ironbridge 40 miglia. 31-7-2013

In questi giorni piove perché il vento si è rimesso a soffiare come deve, cioè da sud-ovest. Il che va benissimo da un lato, perché mi soffia quasi alle spalle, ma dall’altra parte porta con sé dell’oceano masse di aria umida e quindi le abituali perturbazioni.

Perciò stamattina ho fatto buon viso a cattivo gioco, ho indossato tutto il materiale impermeabile che ho con me, cioè copriscarpe, calzoni e giubbotto con cappuccio, e mi sono incamminato verso il mio destino. Scaramanticamente, ho provato a recitare sottovoce tutte le poesie imparate a memoria da bambino che avessero una qualche attinenza con la pioggia, ma non è servito a niente, se non a rinfrescare la memoria.

Pecore e rape

Pecore e rape

Oltre ai classiconi, D’Annunzio e Montàle in primis, è venuto naturale ricordare “La pioggia”; mi ha fatto capire che, a differenza del suo contemporaneo Alfredo Oriani, romagnolo come lui, Giovanni Pascoli non è di sicuro mai andato in bicicletta, sennò non avrebbe mai scritto un verso come questo:

Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose; e piovve a catinelle.
Poi tra il cantare delle raganelle
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo

Effettivamente stamattina il sole non si è visto per nulla, mentre c’era una nuvolaglia bassa e umida che quasi faceva arrugginire la catena della bici. E le raganelle… ma quando mai? Gli unici rospi in circolazione erano quelli che mandavo giù io assieme a qualche irripetibile imprecazione non appena la strada si impennava.

Pista ciclabile nel bosco

Pista ciclabile nel bosco

Meglio avrebbe fatto Pascoli a scrivere versi meno poetici, ma più vicini alla realtà delle cose, del tipo:

E il sol chi l’ha mai visto
In quest’ umido paese?
Vai, di GoreTex provvisto
O mio buon cotignolese…

Poi, improvviso colpo di scena: ho preso il treno!

Per dire la verità, era un diversivo programmato, non dovuto al fatto che ero inzuppato in parti uguali di pioggia e sudore: si trattava semplicemente di provare l’ebbrezza di prendere un vecchio treno coi sedili di legno e tirato da una locomotiva a vapore, che copre una dozzina di miglia lungo la vallata del fiume Severn, che, fra parentesi è il più lungo d’Inghilterra e sfocia nella baia di Bristol, dove ero due giorni fa.

Ponte sul fiume Severn tra Bristol e Chepstow

Ponte sul fiume Severn tra Bristol e Chepstow

L’atmosfera a bordo, nonostante l’età della locomotiva, non è propriamente quella dell’Orient Express.

Diciamo che il pubblico dei viaggiatori è fatto per metà di turisti americani che un treno vero non l’hanno mai visto, per cui fotografano tutto: i sedili, la ritirata, le tendine e il bigliettaio, e quando la locomotiva fischia si mettono a urlare “ciuff ciuff” come se fossero tornati bambini.

L’altra metà è fatta invece di bambini veri, inglesi, accompagnati da nonni impassibili che manifestano uno sdegnoso distacco nei confronti delle intemperanze verbali di questi ex-sudditi delle colonie. I bambini, dopo uno sguardo fugace a quelle colline verdi, bagnate e tutte uguali, silenziosamente giocano col telefonino.

Immagine della speranza

Immagine della speranza

All’arrivo a Bewdley, il capolinea, vengo accolto da un bel cielo color ghisa e dal tamburellare festante della pioggia, fine, insistente e monotona; per cui decido di fermarmi a mangiare nel pub della stazione, una specie di circolo ferrovieri aperto al pubblico. In onore a Pascoli e alle sue raganelle, vorrei tanto ordinare un piatto di rane fritte, ma il pub non ha la cucina, quindi mi devo accontentare di quello che c’è: caffè riscaldato, arachidi salate e un grande classico della gastronomia britannica: la “pork pie”.

Achtung. Pork pie!

Achtung. Pork pie!

Cos’è? Con un po’ di buona volontà lo potremmo chiamare un “pasticcio di maiale in crosta”. Qualcuno più cattivo di me lo definirebbe un pasticcio e basta. Diciamo che è un contenitore simile a quello del “pasty” della Cornovaglia, fatto di farina, acqua e lardo, riempito però di carne di maiale cotta, condita e tagliata a pezzi, a cui si aggiunge una gelatina personalizzata. Come sempre in questi casi, il prodotto industriale che si trova al pub è molto peggiore di quello che le mani sapienti delle “arzdore” inglesi sanno confezionare in casa. Per cui, il mio giudizio è sospeso.

Prima di uscire per cena ho fatto sosta in negozio che si vanta di fare una “pork pie” artigianale famosa in tutto il mondo. Nientemeno. Ne ho comperato una e, da bravo giudice imparziale, non influenzato dalle pressioni della piazza, dalle arringhe del PM e degli avvocati, né dalle possibili conseguenze della mia decisione sul futuro del paese, stanotte rifletterò. Domani, primo agosto, la sentenza 🙂

Famoso in tutto il mondo ?

Famoso in tutto il mondo ?

Ultima considerazione sul tempo, stavolta di ordine linguistico. Le previsioni del tempo in questo paese si risolvono quasi sempre nella stessa formula: “showers, with sunny intervals”, ovvero “rovesci accompagnati da schiarite”. Ho sempre trovato buffo che la parola “shower” significhi, oltre a rovescio, anche “doccia”.

Ecco, domani spero tanto di fare la doccia prima e dopo la tappa in bicicletta.

Non durante.

Pericoloso concorrente  del Team Royal Mail

Pericoloso concorrente del Team Royal Mail

 

dopo le cinque

Per non perdere quel poco di forma fisica che i circa 500 chilometri percorsi finora mi hanno permesso di recuperare, oggi ho deciso di salire i 235 scalini del campanile della cattedrale di Worcester, bella città appollaiata (e appisolata) sulle rive sinuose del fiume Severn, nella regione delle West Midlands, grosso modo al centro dell’Inghilterra.

Cattedrale lato fiume

Cattedrale lato fiume

Non esiste contrasto maggiore di quello che c’è fra una passeggiata in bicicletta nella campagna inglese e infilarsi su per una scala a chiocciola ripidissima, lungo un budello di pietra in cui si passa uno alla volta, aggrappati ad uno scorrimano reso appiccicoso da generazioni di scalatori impacciati e sudaticci.

 

Scala a chiocciola con scarpa

Scala a chiocciola con scarpa

Il bello è che per avere il privilegio di affrontare la salita ho pure dovuto pagare 4 sterline ad una signora magrissima, di età non lontana da quella della cattedrale, che annotava su un registro il nome di ogni visitatore, l’ora di entrata nella torre e l’ora di uscita. Essendo lei sorda come tutte e 15 le campane della chiesa messe assieme e volendosi ostinare per di più a scrivere i nomi in bella calligrafia piena di svolazzi, questa registrazione anagrafica completamente inutile prende almeno un minuto per persona. Così, chi è in fila ad aspettare il proprio turno capisce l’antifona, strizza l’occhio al vicino e si adegua.

Cattedrale con vista

Cattedrale con vista

Quando, tra 2.000 anni, un archeologo disseppellirà gli archivi della cattedrale di Wells arriverà alla strabiliante conclusione che metà degli inglesi maschi del 21.o secolo si chiamavano Joe e l’altra meta aveva nomi di tre lettere, quattro al massimo. Tra le donne, netta prevalenza di Bo e Jo.
La scena si ripete, paradossale, all’uscita dalla torre, con l’aggravante che chi non si ricorda del nome breve ma fasullo dato all’entrata, punta il dito a casaccio sul registro e dice: “Sono quello lì”.
Se avessi dato il mio nome vero, straniero e pieno di vocali, la trascrizione sarebbe durata quanto una gravidanza: per la cronaca, mi sono spacciato per Sid (Sex Pistols oblige).

 

Fotografia aerea

Fotografia aerea

Nonostante gli intoppi “burocratici” e un po’ di claustrofobia, alla fine la visita è valsa la pena, perché ho potuto ammirare il meccanismo dell’orologio, che batte le ore esattamente come Big Ben a Londra, la sala dove si tengono i corsi per campanari (con tanto di simulatore computerizzato per non rompere i timpani agli abitanti) e una bella vista panoramica della città, del fiume e della verdissima campagna circostante.

Aggiungo solo che la cattedrale risale al ‘200, è bellissima, ben tenuta e maestosa, con il suo chiostro interno, la sala capitolare, le immense vetrate policrome e una cripta piena di reperti a metà fra l’archeologia e la devozione delle reliquie. Il coro della cattedrale che si esercitava intonando salmi ha reso l’esperienza ancor più suggestiva.

Fragile !

Fragile !

Per un turista di passaggio e distratto come me, la cattedrale, con il suo parco che digrada verso il fiume sotto lo sguardo corrucciato della statua del musicista Edward Elgar,è sicuramente il pezzo forte di questa città, i cui importanti trascorsi storici sono testimoniati anche da un discreto numero di meravigliose case dell’epoca Tudor, coperte di intonaco bianco e con le travi di legno a vista, nere.

Villetta

Villetta bifamiliare

Non mi stancherò mai di ripetere che i ritmi di una città come questa sono totalmente diversi da quelli della capitale. Qui non siamo a Londra, qui si vive con un passo totalmente diverso, molto più lento. Torna ad avere un senso la tradizionale espressione “nine to five”, cioè si comincia a lavorare alle nove di mattina e alle cinque si chiude, negozi, impiegati o operai non importa. Il rovescio della medaglia è che mentre nelle metropoli la vita pulsa a tutte le ore, qui la strada principale, la “high street”, alle cinque del pomeriggio chiude le saracinesche e si trasforma in una specie di deserto dei tartari, con poche persone che mi sfilano davanti a passi frettolosi, mentre scrivo e bevo un cappuccino (ebbene sì, un cappuccino di pomeriggio!) di fronte all’unico locale ancora aperto a quest’ora.
È l’ora in cui si va a casa o, più probabilmente, al pub per chiudere la giornata di lavoro e aprire quella della socializzazione davanti a qualche pinta di birra, preferibilmente scura e servita a temperatura ambiente.

Organi caldi

Organi caldi

Una considerazione finale su come, secondo me, lo sviluppo della tecnologia digitale stia cambiando anche la fisionomia delle città inglesi come questa. Stamattina ho percorso tutta la strada commerciale principale di Worcester, la sua “high street”, annotando i negozi che vi si trovano. Ecco la lista:
25 negozi di abbigliamento e scarpe
19 locali per mangiare e bere (caffè, ristoranti, pub, kebab, pizzerie…)
12 istituti finanziari (banche, assicurazioni, istituti di credito per mutui…)
11 agenzie immobiliari
7 gioiellerie
6 negozi di telefonia
4 agenzie di scommesse e poco altro.

Periodo Tudor-pisano

Periodo Tudor-pisano

Sembrerebbe che l’inglese medio ormai passi il suo tempo a cercare casa e a contrarre mutui per comprarla. La cucina della nuova casa può anche essere piccola, tanto può mangiare fuori: costa poco, si fa veloce e intanto, tra una scommessa e l’altra, si può anche dare un’occhiata alle vetrine del lusso per tutti e dell’abbigliamento globalizzato, colorato e fintamente originale. Forse sono troppo pessimista, ma resta il fatto che in tutta la strada non c’è un giornalaio e ho visto un solo negozio di dischi e una sola libreria, cosa perlomeno strana in una città universitaria e in un paese in cui la lettura è sport nazionale, seconda solo dietro al ciclismo (e un giorno scopriremo anche come fanno ad andare improvvisamente così forte!). Non esiste più un solo negozio di apparecchi elettronici o fotografici e per trovare una memoria per immagazzinare le mie foto ho dovuto fare il giro della città.

Wells-Cheptow 50 miglia 28-7-2013

Wells-Cheptow 50 miglia 28-7-2013

La spiegazione è semplice e si chiama internet. Il negozio sulla “high street” sta diventando la vetrina in cui il consumatore studia il prodotto, che poi compera a meno prezzo in rete e aspetta seduto comodamente a casa. Temo che il futuro sia questo anche in Italia, che inevitabilmente ripercorre, con qualche anno di ritardo, la strada degli altri paesi europei ufficialmente più evoluti.

Penso che proverò almeno di non farmi sommergere (novello don Chisciotte?) dall’avanzata apparentemente inarrestabile di questo rullo compressore che mi vuole obbligare ad avere l’orecchio sempre incollato all’ iPhone, a digitare numeri al telefono per avere una banale informazione o a parlare con macchine idiote a riconoscimento vocale, piuttosto che con esseri umani.

Chepstow-Worcester 60,8 miglia 29-7-2013

Chepstow-Worcester 60,8 miglia 29-7-2013

Anzi, a dirla tutta ripenso con affetto alla signora della cattedrale e al suo folle registro.
Domani ci torno, faccio la fila e pago di nuovo quattro sterline:
“Your name, please?”
“Emilio Alberto Pietro Dalmonte da Cotignola”

Detto Sid.
Sid Vicious, ma solo per gli amici!

Ma Totti non c’entra

 

Polzeath-Launceston   37 miglia. 24-7-2013

Polzeath-Launceston 37 miglia. 24-7-2013

Quando, sul punto di giungere stremato alla fine dell’ennesima salita e della quinta giornata in sella, nel mio campo visivo periferico è sembrata passare l’immagine simbolo di Roma, cioè la lupa che allatta Romolo e Remo, ho pensato che la tradizionale colazione all’inglese della mattina fosse stata arricchita non dai soliti funghi coltivati, ma da una manciata di funghi allucinogeni messicani, che tanto andavano di moda prima che comparissero sul mercato le droghe sintetiche.

Launceston-Tiverton (Devon) 50 miglia. 25-7-13

Launceston-Tiverton (Devon) 50 miglia. 25-7-2013

 

Invece, dopo una rapida retromarcia e un vigoroso auto-schiaffeggiamento, ho constatato che era tutto vero. Ma cosa ci fa questa sfacciata esibizione di romanità in cima a Pen Hill, nella campagna verde del Somerset, a pochi chilometri dalla città di Wells? A prima vista, non c’entra niente. A seconda vista, nemmeno. È come se in una cittadina italiana a caso (non prendo Cotignola per non essere accusato di campanilismo), diciamo Ariano Irpino, sul campo sportivo dominasse una replica della statua di Nelson che si trova a Trafalgar Square!

Tiverton-Wells 67,8 miglia. 26-7-2013

Tiverton-Wells 67,8 miglia. 26-7-2013

La coincidenza era troppo invitante per potervi resistere, e così ho passato il mio giorno di riposo a cercare di risolvere il “mistero della statua”.
Alla fine non c’è voluto molto, nel senso che è bastato incontrare una persona che di quella statua conosceva tutta la storia: Tony D’Ovidio.

Allucinazione inglese

Allucinazione inglese

Tony è un imprenditore edile affermato, italiano di seconda generazione e molisano d’origine. Pur preferendo raccontarsi in inglese, va fierissimo dell’italianità della sua famiglia, ma allo stesso tempo è un protagonista riconosciuto della vita sociale di questa placida, per non dire sonnolenta, città del Somerset. La storia che mi racconta è notevole.

Durante la seconda guerra mondiale, molti soldati italiani vennero fatti prigionieri dagli inglesi vittoriosi, soprattutto a Tobruk, e vennero trasportati in campi di prigionia sparsi in tutto il paese. Uno di questi campi si trovava proprio a Wells e Tony mi ha mostrato alcune delle baracche che tuttora testimoniano l’evento. Alcune sono abbandonate, altre sono diventate nientemeno che una scuola elementare. Si vede che i prigionieri di guerra italiani non incutevano il terrore sacro, tant’è vero che durante la giornata erano autorizzati a lavorare, dietro compenso, nelle fabbriche, nelle miniere e nelle fattorie della zona. E i contatti con la popolazione locale si sono infittiti, al punto che, finita la guerra, una parte dei prigionieri, riacquistata la libertà, ha preferito rimanere sul luogo, che per alcuni era anche diventato il luogo del misfatto, come testimoniano le numerose famiglie miste italo-inglesi nate in quegli anni.

È proprio uguale

È proprio uguale

E la statua? Ebbene, un ex-prigioniero particolarmente dotato artisticamente preparò con cura lo stampo e fece la colata di cemento che ancora oggi, dopo l’opportuno restauro della D’Ovidio Bros, domina la vallata di Wells, e si offre, poggiata su due colonne di almeno quattro metri d’altezza, alla beata incomprensione di quasi tutti i frettolosi passanti. Per fortuna, una volta all’anno, da 18 anni a questa parte, il campo su cui è stata piazzata la statua diventa il luogo di una grande festa popolare, in cui italiani, inglesi, discendenti dei prigionieri e gente comune si incontrano per celebrare il rito pagano dell’amicizia e del rispetto. Antipasto di salumi, penne all’arrabbiata, porchetta, vino e tiramisu danno il loro piccolo, innegabile contributo!

Tony e Patricia

Tony e Patricia

Eppure, nella comunità c’è chi ha ancora ricordi di prima mano; come Patricia, oggi ottantaquattrenne e bambina all’epoca dei fatti. Mi guarda e mi dice che la guerra non è mai servita a niente, le ha portato via un fratello e ha causato solo tanta sofferenza. “Per fortuna che oggi non ci sono più guerre”, dice convinta e per parlare di come venivano trattati i prigionieri di guerra usa la parola “kindness” (gentilezza). È strano come la stessa parola (kindness) ricorra anche nella placca commemorativa che si trova ai piedi della statua. È un’aggiunta recente; è stata donata da un benefattore italo-canadese che non ha mai voluto rivelare il suo legame con il campo di prigionia e con questo apparente esempio di solidarietà e di umanità fattiva. Ma, evidentemente, la storia che racconta l’autore della placca non è diversa da quella che ho sentito io.

Scorcio di Wells

Scorcio di Wells

Dopo aver brillantemente risolto il mistero della statua romana di Wells, ho fatto il giro della città, famosa in tutto il mondo per la sua bella cattedrale medievale di impianto gotico, oggi anglicana.

La cattedrale (quella vera)

La cattedrale (quella vera)

Quello che molti non sanno è che a Wells c’è anche una chiesa cattolica molto bella e imponente, che va sotto il nome di St. Cuthbert. Ebbene, nel prato di fronte alla chiesa, due ignari turisti italiani, sbarcati da un camper megagalattico, commentavano con rabbia che il loro libro dava una descrizione totalmente errata della cattedrale e dei suoi tesori…
Peccato fossero davanti a St.Cuthbert, e non alla cattedrale, che è dall’altra parte della città!

Permesso?

Permesso?

Caro Tony, non è che con i tuoi operai puoi rimettere in sesto una di quelle baracche in disuso nel campo di prigionia? Avrei due candidati da affidarti per qualche anno.

Tanto, so che li tratterai con gentilezza.

Caviale a sbafo

 

Mentre mi appresto, dopo un giorno di riposo nella magnifica città di Wells, a completare il mio trittico di regioni del sud-ovest dell’Inghilterra e a virare verso il centro-nord, qualche considerazione si impone su ciò che, sia pur frettolosamente, ho visto in questa prima settimana di viaggio.

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Dico anzitutto che per chi ama la natura e ha un’idea romantica della campagna, Cornovaglia, Devon e Somerset sono, ciascuno alla sua maniera, regioni da non perdere; e non a caso, soprattutto le prime due d’estate raddoppiano praticamente la loro popolazione.

Surfisti allo sbaraglio

Surfisti allo sbaraglio

L’impressione che ho avuto partendo dalla costa e muovendo verso l’interno, è stata quella di visitare due paesi diversi. Sono partito dalle città della costa atlantica: qui si riversano soprattutto giovani, artisti e famiglie. I primi sono in genere surfisti alla ricerca di emozioni forti, che catturano le onde dell’oceano e volteggiano, in piedi, accucciati o stesi sulla pancia, con ogni genere di tavola: da surf, a vela, attaccata a un paracadute o a un aquilone. Per chi come me non sa nemmeno nuotare, è uno spettacolo bello ma incomprensibile, anche perché ogni volta che sento la parola tavola a me viene semplicemente l’acquolina in bocca.

Surfing in the rain

Surfing in the rain

Poi dicevamo degli artisti, pittori in particolare. Ora, a me le cittadine costiere della Cornovaglia sono sembrate tutte molto simili come struttura, salvo avere diversi gradi di eleganza estetica. A voler essere brutali, Newquay è abbastanza orrenda, mentre Padstow è carinissima. Ce n’è una però, St. Yves, che merita un discorso a parte, perché la popolazione è fatta soprattutto di artisti, che sostengono che qui la luce ha una qualità tutta speciale. Ammetto di non saper fare una “o” con un bicchiere, quindi avrei bisogno di un fotometro per capire in cosa la luce di St. Yves sia diversa dal resto del mondo. Ma da bravo cinico, ho come la sensazione che giochino altri fattori.

Alfred (the Great?)

Alfred (the Great?)

Sembra che la moda dei pittori sia nata negli anni ’20, quando un tale Alfred Wallis, dopo aver fatto il pescatore tutta la vita, decise a 67 anni che si faceva meno fatica a dipingere i pesci come autodidatta che a prenderli con la rete alzandosi alle tre ogni mattina. E si guadagnava anche di più.
Da allora, St. Yves è diventata una vera e propria colonia di artisti, con decine e decine di gallerie d’arte che ingentiliscono le case di pietra del borgo e riempiono di colore le sue stradine scoscese. Addirittura, la Tate Gallery di Londra ha aperto una succursale di fronte alla spiaggia, dove espone collezioni di arte prevalentemente moderna e prodotta in loco.

La terza componente della fauna turistica costiera sono le famiglie, che durante i mesi della transumanza dalle città, luglio e agosto, non esitano a invadere campeggi e pensioni bed and breakfast con il miraggio della vacanza a buon prezzo, degli spettacoli di burattini per i pargoli e con la garanzia assoluta di trovare ogni cento metri un posticino che vende l’altro grande mito gastronomico del paese, il “fish and chips”, cioè pesce impanato e fritto (merluzzo, quando va bene), con ampio contorno di patate fritte tagliate grosse, sale e aceto a gogo e succulenti piselli bolliti per pulire il palato.

Balanzone, Arlecchino o Pulcinella?

Balanzone, Arlecchino o Pulcinella?

Pensate che ogni anno c’è un concorso nazionale che premia i migliori “fish and chip shop”. Il bello è che due anni fa l’ha vinto una famiglia di italiani emigrati da generazioni in Scozia: secondo me, hanno usato l’accento balsamico…

Se l’atmosfera di questi posti sull’oceano è un po’ la stessa di quando andavo in colonia da bambino, lo stesso non mi è sembrato delle zone dell’interno, dove un turismo meno in vena di mare, arte e caciara, si abbandona alla suggestione veramente rustica dei luoghi, alla forza primordiale dei paesaggi boschivi e alla rarità del silenzio delle brughiere. Costeggiando i mille chilometri quadrati della brughiera di Dartmoor, si vede come questa zona superprotetta sia ancora oggi quasi disabitata, brulla, immensa, punteggiata di inquietanti resti neolitici e misteriose file di pietre rozzamente intagliate.
A scanso di equivoci, ho tenuto pronto il mio “dog dazer”, l’aggeggio elettronico che spara frequenze per tenere a bada i cani randagi, ma il dubbio rimane: e se saltava fuori il “Mastino dei Baskerville”?

Home sweet home

Home sweet home

Qui si trovano gli amanti delle passeggiate nella natura, così come i difensori ad oltranza del diritto di passaggio, che qualche agricoltore o allevatore vedrebbe volentieri limitato. I villaggi dell’interno sono spesso ridotti a poche case, a volte a sole seconde case, per cui l’attività economica stenta a sopravvivere. Per questo motivo, non è raro incontrare uffici postali che, come quello in cui mi sono fermato a chiedere indicazioni, oltre ad offrire francobolli e raccomandate, vendono anche giornali, generi di conforto ad alto tenore zuccherino, prodotti per la casa, zappe, vanghe e sementi, birra e sidro. La lista non è esaustiva.

Chiudo la carrellata turistica, dicendo che se le case con i tetti di paglia sono la caratteristica più giustamente nota del Devon, la regione del Somerset rimane molto sottovalutata. Sono passato per Glastonbury e Wells, ho purtroppo solo sfiorato Bath, ma mi capiterà di dire qualcosa su ognuna di esse.

Ufficio postale tuttofare

Ufficio postale tuttofare – Vendesi bici d’importazione semi nuova

Dimenticavo un aneddoto. Parlando di fish and chips dicevo che di solito il pesce usato è merluzzo o qualche pesce simile come gusto e consistenza. Ma una cosa è assolutamente certa: accanto alle patate non si potrà mai usare carne di balena, di delfino, di lemure o di storione. Forse perché sono specie protette? Certo, ma non solo. Il vero motivo è che dai primi anni del 1300 uno statuto attribuisce la proprietà esclusiva di queste quattro specie alla casa reale. Henry of Bracton, un famoso esperto di diritto che alla fine del ‘200 esercitò la giustizia nelle tre regioni che ho attraversato e oggi è sepolto nella navata della cattedrale di Exeter, ebbe a scrivere: “de balena vero sufficit . . . si rex habeat caput, et regina caudam” , cioè la testa della balena per il re e la coda per la regina, con la spiegazione che quest’ultima si sarebbe servita delle ossa della coda come stecche per i suoi preziosi busti e corsetti. Non è dato sapere cosa se ne facesse il re della testa della balena. Visto il livello di follia, la mia idea è che usasse i fanoni come stuzzicadenti, ma chissà!

Storia, storia cita o storione?

Storia, storiaccia o storione?

Uno che ha scoperto questo statuto a sue spese alcuni anni fa, è un pescatore gallese, che ha cercato di vendere all’asta uno dei rarissimi storioni (6 all’anno in media) che si pescano negli estuari. Una bella bestia di 120 chili che gli avrebbe fruttato qualche migliaio di sterline. Peccato che la legittima proprietaria coronata non fosse stata informata. E così, la preda del secolo si è trasformata in una colossale fregatura. La Regina ha graziosamente declinato il pesce, con annesso caviale (bontà sua), ma lo storione è finito al museo di scienze naturali in quanto specie protetta!
Che storia.

Anzi, che storione!