G9 Besh-Ba-Gowah
G9 – Tempe (AZ) – Globe (AZ) 126 km
Besh-Ba-Gowah non è il nome di un insediamento israeliano nel deserto del Negev. È il nome che noi Apache diamo alla città che l’uomo bianco chiama Globe, in Arizona.
In realtà, a Globe c’è un sito archeologico importante, un pueblo risalente a ca. 700 anni fa. Si può visitare per vedere le stanze, le suppellettili, il vasellame e le armi degli indiani Hohokam, che lo abitarono in epoca pre-colombiana.
Nel 1600 o giù di lì fecero la loro comparsa gli Apache, che ne fecero un loro territorio e lo ribattezzarono Besh-Ba-Gowah, che significa “luogo del metallo”. Non è un caso che, ancora oggi, qui intorno ci siano miniere attive e un importante impianto di lavorazione del rame.
Però a noi piace ricordare che Globe è stata associata al capo indiano Geronimo e a Apache Kid, lo scout dell’esercito diventato fuorilegge, che venne processato qui nel 1889. Condannato, evase, ovviamente. A causa della lontananza da Phoenix e della vicinanza alla riserva Apache, Globe rimase per anni una vera città di frontiera. La sua storia è piena di omicidi, assalti alla diligenza, rapine, banditi, linciaggi e attacchi indiani alle fattorie e ai minatori.
Ci sono arrivato dopo una giornata dura, passando dai 900 metri del Passo Gonzales e dai 1.500 metri di un altro passo che chiamano Top of the world e dopo essermi lasciato alle spalle il Parco Naturale Tonto, che quando vedi il cartello ti chiedi se, in effetti, non sei un po’ cretino a fare quello che fai.
È stato anche il giorno delle forze dell’ordine, con cui ho avuto a che fare tre volte: prima la stradale, che mi ha fatto uscire dall’autostrada che attraversa Tempe. Sospettavo di non poterci stare, ma ho fatto l’indiano. Qui però di indiani ne hanno già tanti e mi hanno sgamato.
Poi c’era l’agente modello Robocop che fermava il traffico per permettere agli operai di rifare e asciugare le strisce bianche. E infine la sergente Spence. Qua fanno così: chiudono un pezzo di strada di un paio di km e chi c’è c’è. Controllano i freni, la portata, lo scarico, le luci, in pratica rifanno il collaudo a tutti i veicoli che hanno pescato. La sergente Spence, ridendo, mi ha detto che stavo superando il limite di velocità. Io ho risposto che invece superavo il limite di peso consentito, e così le ho fatto anche una foto!
La storia di queste terre, come la conosciamo dai film western, sembra fatta solo di cowboy, pistoleri, bari, sceriffi e rapinatori di banche. In realtà, i veri conquistatori del West sono stati i minatori in cerca di fortuna, gli allevatori di bestiame in cerca di pascoli e gli agricoltori in cerca di sempre nuove terre da coltivare. Ogni volta che la frontiera si spostava verso occidente, si formavano nuovi insediamenti abitativi. Chi dice miniera dice soldi, chi dice soldi dice saloon, albergo, negozi, bottega da barbiere con licenza di dentista, maniscalco, dottore, notaio per le concessioni, insomma tutta una popolazione che, aggregandosi, formava un villaggio e a volte una città vera e propria.
Formato il nucleo, il problema più grande era quello di dargli un nome, visto che quello datogli dagli indiani non lo capiva nessuno. Spulciando la lista dei toponimi, è evidente che le fonti di ispirazione erano fondamentalmente tre: nomi di vegetazione o colture locali, nomi di donna e nomi di fondatori delle città stesse o personaggi di spicco. Cominciamo dai primi: troviamo noci (Walnut Canyon), fragole (Strawberry), pesche (Peach Springs), cactus (Ocotillo), alberi (Palo Verde e Sycamore) e altri ancora. Le donne hanno ispirato il lago Mary e le città di Sedona e Salomè, e infine ai loro fondatori sono dedicate tra le altre Prescott, Wickenburg, Seligman e Williams.
Trasferiamo il tutto in Italia e, tanto per rendere l’idea, scegliamo alla cieca sull’atlante. Cadiamo casualmente sul ridente borgo di Cotignola che, a rigor di logica, dovrebbe chiamarsi “Pesca Nettarina”. Essendo nata come accampamento militare romano, Ravenna si chiamerebbe come minimo Scipione. Quindi, per andare da Nettarina a Scipione, si passerebbe per Giuseppina (Bagnacavallo), Kiwi (Taglio di Cortina), Fico Secco (Russi), Godo (rimane invariato) e infine Pamela (Fornace Zarattini). Volendo ci si può fermare a prendere il caffè al Bar da Gigio, che non è un toponimo, bensì il nome di un topo.
Scherzi a parte, prendiamo un esempio assolutamente veridico: Phoenix è solo l’ultimo, in ordine di tempo, fra i tanti nomi della città che si sono succeduti nel corso specialmente dei primi anni. Venne scelto, dopo vari tentativi, perché il fondatore della comunità riaprì e rimise in funzione una fitta rete di canali d’irrigazione scavati, usati e infine abbandonati dai nativi indiani. In tal maniera, poté risorgere dalle sue ceneri una fiorente agricoltura, al punto da rendere plausibile il parallelo con la Fenice della leggenda e, se è per quello, anche con il Teatro di Venezia.
Ma fra i tanti nomi usati prima di questo, il più simpatico è sicuramente Pumpkinville, ovvero Città delle Zucche (o Zuccopoli), dato che quella era la coltura prevalente all’epoca dei primi coloni.
Pensate, se il nome avesse attecchito, oggi gli abitanti di Phoenix non sarebbero più i Fenici, bensì gli Zucchini.
O forse gli Zucconi !