Sonata in Re maggiore per forcone

 

Ironbridge-Crewe. 46 miglia. 1-8-2013

Ironbridge-Crewe. 46 miglia. 1-8-2013

Ho deciso che la mia guida di viaggio non vale un fico secco, per cui stamattina ho fatto esattamente il contrario di quello che mi suggeriva. La questione riguarda sostanzialmente il tipo di strada da seguire, con la guida che regolarmente suggerisce le cosiddette strade minori, evitando quelle che da noi sarebbero le statali e le provinciali. Sulla carta tutto bene, ma nella pratica le strade minori presentano due grossi inconvenienti: sono mal segnalate, e soprattutto non hanno una corsia di emergenza o perlomeno uno spazio di sicurezza al lato della carreggiata.

Strada con siepi

Strada con siepi

Spesso, soprattutto in Cornovaglia, Devon e Somerset, la guida mi ha fatto percorrere le cosiddette “lanes”: si tratta di strade di campagna strettissime, con spazi appositi perché due macchine si possano dare strada. Se ci si incontra a metà, uno dei due deve fare marcia indietro. Ovviamente, se uno impara a guidare da queste parti saprà guidare in qualunque circostanza. Intendiamoci: queste “lanes” sono bellissime e decisamente caratteristiche del sud-ovest. Sono dei veri e propri monumenti storici, nel senso che tutte sono ultracentenarie, parecchie sono medievali e alcune risalgono addirittura a oltre 3.000 anni fa, cioè all’eta della pietra. Fondamentalmente si tratta di un terrapieno, a volte delimitato da un muro a secco, sul quale cresce fino ad una altezza di 2 o 3 metri una varietà incredibile di piante, fiori e arbusti, che costituiscono un vero e proprio paradiso della biodiversità. Vengono usate per definire le proprietà, delimitare i campi e impedire al bestiame di uscirne. Si calcola che nel solo Devon ce ne sia un totale di 53.000 chilometri! Sono praticamente sacre.

Spiraglio

Spiraglio

Però percorrerle in bicicletta è un altro paio di maniche. Seguono il contorno del terreno e di conseguenza sono piene di curve cieche e presentano pendenze assurde per un ciclista. E, come dicevo prima, sono pericolose, perché non permettono la visibilità e non lasciano spazio all’errore.

Per questo motivo, stamattina ho deciso che la mia sicurezza val bene il romanticismo delle “lanes” e ho preso una bella statale, con ampia carreggiata di emergenza, che per di più aveva l’innegabile vantaggio di essere livellata e di limitare i saliscendi al minimo indispensabile. L’unico inconveniente è stata, udite udite, una foratura. Ebbene sì, non ho forato una sola volta attraversando gli Stati Uniti, ma stamattina una sottile punta di acciaio è riuscita a oltrepassare il mezzo centimetro di corazza dei miei pneumatici e mi ha causato un’oretta di ritardo. Poco male.

Il primo ponte di ferro

Il primo ponte di ferro

Ero partito da Ironbridge, amena località che deriva il suo nome (Ponte di Ferro) dal fatto che proprio qui, sul fiume Severn, venne costruito nel 1779 il primo ponte di ferro della storia, consacrando in qualche maniera l’inizio della Rivoluzione industriale che, proprio con lo sviluppo della metallurgia su larga scala, ha rivoluzionato la storia dell’umanità.

Oggi, con la crisi conclamata dell’industria pesante, Ironbridge si è convertita soprattutto al turismo archeologico, con tutta una serie di attività musicali dedicate, che attirano nelle antiche fonderie una folla interessata di turisti e, in egual misura, di nostalgici.

Paesaggio idillico

Paesaggio idillico

Il punto d’arrivo della giornata, invece, è la cittadina di Crewe, nella contea del Cheshire. Occorre spendere due parole su questo posto, perché se appena appena accennate ad un inglese qualunque il nome di questa città, si metterà a ridere. Per un motivo che nessuno ha saputo spiegarmi, Crewe è diventata lo zimbello del paese, l’oggetto o almeno l’ambientazione di ogni barzelletta. Nessun inglese che si rispetti verrà mai da queste parti, se non per lavoro. Come turista, mai, e si può capire. Da quando ho lasciato il sud-ovest, la mia vita di ciclista è migliorata, ma il paesaggio è cambiato in peggio: colline basse, pianura noiosa, coltivazioni estensive di cereali, cittadine bruttarelle.

High street...

High street…

Non a caso, siamo nelle “Midlands” in quelle “terre di mezzo” che alternano grandi distese agricole a importanti concentrazioni urbane come quella di Birmingham, da dove sarò costretto a passare tra qualche giorno.
Comunque, sono arrivato da queste parti dopo un centinaio di chilometri fatti negli ultimi giorni costeggiando le rive del grande fiume Severn, e voglio vedere i lati positivi anche di Crewe. Certo, una città nata ufficialmente nell’ 800 come “colonia ferroviaria” non avrà mai un grande fascino storico-culturale, ma tant’è: accontentiamoci del fatto che è stata fabbrica delle Rolls Royce fino ad una decina di anni fa, mentre oggi produce esclusivamente le Bentley. Meglio di niente.

E poi sarei matto io...

E poi sarei matto io…

Chiudo con la spiegazione del titolo di questo post, che è una storia fra il simpatico e il demenziale, con forte propensione per il secondo. E questo è stato motivo sufficiente per farmi deviare dal percorso previsto.
A pochi chilometri da Crewe c’è un villaggio residenziale che va sotto il nome di Walliston.
E cosa si sono inventati gli astuti abitanti di questo posto, che altrimenti sarebbe originale come una giornata di pioggia?

Dal 1980, in un campo che appartiene alla locale scuola elementare, qui si tiene il campionato mondiale degli incantatori di vermi. Oh, yes!

Il quadrato magico

Il quadrato magico

Ad ognuno dei 144 concorrenti viene assegnato con sorteggio un appezzamento di terreno di tre metri per tre. L’obiettivo è quello di far uscire dal terreno e catturare il numero più alto possibile di vermi usando ogni tipo di “musica”, cioè di vibrazione. Nel corso degli anni, lo strumento più efficace si è rivelato essere il forcone, o forcale che dir si voglia, con tre o quattro denti. A questo punto, è la tecnica individuale, affinata in lunghi mesi di esercizio, che prende il sopravvento.

C’è chi pianta i rebbi nel terreno per una quindicina di centimetri e li percuote con un diapason, c’è chi percuote ritmicamente il manico del forcone con oggetti diversi, c’è chi “suona” il manico come se fosse la corda di un violoncello, c’è chi pianta i picchetti di una tenda e “suona” i tiranti… Durante i 30 minuti di gara, salvo supplementari in caso di parità, i vermi vengono fuori di corsa perché pensano stia suonando l’allarme atomico. Insomma, spazio alla creatività e… vai col liscio!

Bracconiere

Bracconiere

Il regolamento ufficiale prevede regole e sanzioni. Vieta ad esempio lo spargimento di acqua sul terreno: è considerato doping.
E i concorrenti schifiltosi che non vogliono toccare i vermi, possono nominare un assistente, un accalappiavermi, per così dire!

Qualche statistica:
Record mondiale per il numero di vermi catturati: 567 (anno 2009)
Record mondiale per il verme più pesante: 12,08 grammi (anno 2011)

 

Il ricco premio

Il ricco premio

Il WWF ha cercato inutilmente di bloccare il campionato, sostenendo che i vermi subiscono un trauma acuto ai loro organi, pur primitivi, preposti all’udito. Tra i postumi accertati sugli esemplari esaminati, il WWF segnala casi di cefalea, insonnia, tachicardia, attacchi di panico, gastriti, stanchezza acuta, irritabilità e difficoltà di concentrazione.

La giuria popolare ha abbozzato. Ha rigettato il ricorso del WWF, stabilendo al contempo che i vermi “incantati” vanno liberati la sera stessa della gara, però al tramonto, dopo che pollame e uccelli si sono appollaiati per la notte.

Se no, sai che festino!

Dulcis in fundo

Dulcis in fundo

Ps: Sul caso del ricorso in Cassazione contro la condanna della “pork pie” per frode alimentare, la Corte, pur considerando che quella artigianale è migliore, ha confermato la condanna a quattro anni. Quanto alla pena accessoria dell’interdizione dalla pubblica esposizione in vetrina, il giudizio è rinviato.

governo in bilico?

Ci sono due cose che detesto quando vado in bicicletta: la salita e la pioggia.
Oggi ho avuto l’una e l’altra in abbondanza. Ovviamente c’era da aspettarselo, visto che attraverso un paese prevalentemente collinare, dove piove in media 135 giorni all’anno. però la combinazione rimane sempre micidiale.

Worcester-Ironbridge 40 miglia. 31-7-2013

Worcester-Ironbridge 40 miglia. 31-7-2013

In questi giorni piove perché il vento si è rimesso a soffiare come deve, cioè da sud-ovest. Il che va benissimo da un lato, perché mi soffia quasi alle spalle, ma dall’altra parte porta con sé dell’oceano masse di aria umida e quindi le abituali perturbazioni.

Perciò stamattina ho fatto buon viso a cattivo gioco, ho indossato tutto il materiale impermeabile che ho con me, cioè copriscarpe, calzoni e giubbotto con cappuccio, e mi sono incamminato verso il mio destino. Scaramanticamente, ho provato a recitare sottovoce tutte le poesie imparate a memoria da bambino che avessero una qualche attinenza con la pioggia, ma non è servito a niente, se non a rinfrescare la memoria.

Pecore e rape

Pecore e rape

Oltre ai classiconi, D’Annunzio e Montàle in primis, è venuto naturale ricordare “La pioggia”; mi ha fatto capire che, a differenza del suo contemporaneo Alfredo Oriani, romagnolo come lui, Giovanni Pascoli non è di sicuro mai andato in bicicletta, sennò non avrebbe mai scritto un verso come questo:

Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose; e piovve a catinelle.
Poi tra il cantare delle raganelle
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo

Effettivamente stamattina il sole non si è visto per nulla, mentre c’era una nuvolaglia bassa e umida che quasi faceva arrugginire la catena della bici. E le raganelle… ma quando mai? Gli unici rospi in circolazione erano quelli che mandavo giù io assieme a qualche irripetibile imprecazione non appena la strada si impennava.

Pista ciclabile nel bosco

Pista ciclabile nel bosco

Meglio avrebbe fatto Pascoli a scrivere versi meno poetici, ma più vicini alla realtà delle cose, del tipo:

E il sol chi l’ha mai visto
In quest’ umido paese?
Vai, di GoreTex provvisto
O mio buon cotignolese…

Poi, improvviso colpo di scena: ho preso il treno!

Per dire la verità, era un diversivo programmato, non dovuto al fatto che ero inzuppato in parti uguali di pioggia e sudore: si trattava semplicemente di provare l’ebbrezza di prendere un vecchio treno coi sedili di legno e tirato da una locomotiva a vapore, che copre una dozzina di miglia lungo la vallata del fiume Severn, che, fra parentesi è il più lungo d’Inghilterra e sfocia nella baia di Bristol, dove ero due giorni fa.

Ponte sul fiume Severn tra Bristol e Chepstow

Ponte sul fiume Severn tra Bristol e Chepstow

L’atmosfera a bordo, nonostante l’età della locomotiva, non è propriamente quella dell’Orient Express.

Diciamo che il pubblico dei viaggiatori è fatto per metà di turisti americani che un treno vero non l’hanno mai visto, per cui fotografano tutto: i sedili, la ritirata, le tendine e il bigliettaio, e quando la locomotiva fischia si mettono a urlare “ciuff ciuff” come se fossero tornati bambini.

L’altra metà è fatta invece di bambini veri, inglesi, accompagnati da nonni impassibili che manifestano uno sdegnoso distacco nei confronti delle intemperanze verbali di questi ex-sudditi delle colonie. I bambini, dopo uno sguardo fugace a quelle colline verdi, bagnate e tutte uguali, silenziosamente giocano col telefonino.

Immagine della speranza

Immagine della speranza

All’arrivo a Bewdley, il capolinea, vengo accolto da un bel cielo color ghisa e dal tamburellare festante della pioggia, fine, insistente e monotona; per cui decido di fermarmi a mangiare nel pub della stazione, una specie di circolo ferrovieri aperto al pubblico. In onore a Pascoli e alle sue raganelle, vorrei tanto ordinare un piatto di rane fritte, ma il pub non ha la cucina, quindi mi devo accontentare di quello che c’è: caffè riscaldato, arachidi salate e un grande classico della gastronomia britannica: la “pork pie”.

Achtung. Pork pie!

Achtung. Pork pie!

Cos’è? Con un po’ di buona volontà lo potremmo chiamare un “pasticcio di maiale in crosta”. Qualcuno più cattivo di me lo definirebbe un pasticcio e basta. Diciamo che è un contenitore simile a quello del “pasty” della Cornovaglia, fatto di farina, acqua e lardo, riempito però di carne di maiale cotta, condita e tagliata a pezzi, a cui si aggiunge una gelatina personalizzata. Come sempre in questi casi, il prodotto industriale che si trova al pub è molto peggiore di quello che le mani sapienti delle “arzdore” inglesi sanno confezionare in casa. Per cui, il mio giudizio è sospeso.

Prima di uscire per cena ho fatto sosta in negozio che si vanta di fare una “pork pie” artigianale famosa in tutto il mondo. Nientemeno. Ne ho comperato una e, da bravo giudice imparziale, non influenzato dalle pressioni della piazza, dalle arringhe del PM e degli avvocati, né dalle possibili conseguenze della mia decisione sul futuro del paese, stanotte rifletterò. Domani, primo agosto, la sentenza 🙂

Famoso in tutto il mondo ?

Famoso in tutto il mondo ?

Ultima considerazione sul tempo, stavolta di ordine linguistico. Le previsioni del tempo in questo paese si risolvono quasi sempre nella stessa formula: “showers, with sunny intervals”, ovvero “rovesci accompagnati da schiarite”. Ho sempre trovato buffo che la parola “shower” significhi, oltre a rovescio, anche “doccia”.

Ecco, domani spero tanto di fare la doccia prima e dopo la tappa in bicicletta.

Non durante.

Pericoloso concorrente  del Team Royal Mail

Pericoloso concorrente del Team Royal Mail

 

dopo le cinque

Per non perdere quel poco di forma fisica che i circa 500 chilometri percorsi finora mi hanno permesso di recuperare, oggi ho deciso di salire i 235 scalini del campanile della cattedrale di Worcester, bella città appollaiata (e appisolata) sulle rive sinuose del fiume Severn, nella regione delle West Midlands, grosso modo al centro dell’Inghilterra.

Cattedrale lato fiume

Cattedrale lato fiume

Non esiste contrasto maggiore di quello che c’è fra una passeggiata in bicicletta nella campagna inglese e infilarsi su per una scala a chiocciola ripidissima, lungo un budello di pietra in cui si passa uno alla volta, aggrappati ad uno scorrimano reso appiccicoso da generazioni di scalatori impacciati e sudaticci.

 

Scala a chiocciola con scarpa

Scala a chiocciola con scarpa

Il bello è che per avere il privilegio di affrontare la salita ho pure dovuto pagare 4 sterline ad una signora magrissima, di età non lontana da quella della cattedrale, che annotava su un registro il nome di ogni visitatore, l’ora di entrata nella torre e l’ora di uscita. Essendo lei sorda come tutte e 15 le campane della chiesa messe assieme e volendosi ostinare per di più a scrivere i nomi in bella calligrafia piena di svolazzi, questa registrazione anagrafica completamente inutile prende almeno un minuto per persona. Così, chi è in fila ad aspettare il proprio turno capisce l’antifona, strizza l’occhio al vicino e si adegua.

Cattedrale con vista

Cattedrale con vista

Quando, tra 2.000 anni, un archeologo disseppellirà gli archivi della cattedrale di Wells arriverà alla strabiliante conclusione che metà degli inglesi maschi del 21.o secolo si chiamavano Joe e l’altra meta aveva nomi di tre lettere, quattro al massimo. Tra le donne, netta prevalenza di Bo e Jo.
La scena si ripete, paradossale, all’uscita dalla torre, con l’aggravante che chi non si ricorda del nome breve ma fasullo dato all’entrata, punta il dito a casaccio sul registro e dice: “Sono quello lì”.
Se avessi dato il mio nome vero, straniero e pieno di vocali, la trascrizione sarebbe durata quanto una gravidanza: per la cronaca, mi sono spacciato per Sid (Sex Pistols oblige).

 

Fotografia aerea

Fotografia aerea

Nonostante gli intoppi “burocratici” e un po’ di claustrofobia, alla fine la visita è valsa la pena, perché ho potuto ammirare il meccanismo dell’orologio, che batte le ore esattamente come Big Ben a Londra, la sala dove si tengono i corsi per campanari (con tanto di simulatore computerizzato per non rompere i timpani agli abitanti) e una bella vista panoramica della città, del fiume e della verdissima campagna circostante.

Aggiungo solo che la cattedrale risale al ‘200, è bellissima, ben tenuta e maestosa, con il suo chiostro interno, la sala capitolare, le immense vetrate policrome e una cripta piena di reperti a metà fra l’archeologia e la devozione delle reliquie. Il coro della cattedrale che si esercitava intonando salmi ha reso l’esperienza ancor più suggestiva.

Fragile !

Fragile !

Per un turista di passaggio e distratto come me, la cattedrale, con il suo parco che digrada verso il fiume sotto lo sguardo corrucciato della statua del musicista Edward Elgar,è sicuramente il pezzo forte di questa città, i cui importanti trascorsi storici sono testimoniati anche da un discreto numero di meravigliose case dell’epoca Tudor, coperte di intonaco bianco e con le travi di legno a vista, nere.

Villetta

Villetta bifamiliare

Non mi stancherò mai di ripetere che i ritmi di una città come questa sono totalmente diversi da quelli della capitale. Qui non siamo a Londra, qui si vive con un passo totalmente diverso, molto più lento. Torna ad avere un senso la tradizionale espressione “nine to five”, cioè si comincia a lavorare alle nove di mattina e alle cinque si chiude, negozi, impiegati o operai non importa. Il rovescio della medaglia è che mentre nelle metropoli la vita pulsa a tutte le ore, qui la strada principale, la “high street”, alle cinque del pomeriggio chiude le saracinesche e si trasforma in una specie di deserto dei tartari, con poche persone che mi sfilano davanti a passi frettolosi, mentre scrivo e bevo un cappuccino (ebbene sì, un cappuccino di pomeriggio!) di fronte all’unico locale ancora aperto a quest’ora.
È l’ora in cui si va a casa o, più probabilmente, al pub per chiudere la giornata di lavoro e aprire quella della socializzazione davanti a qualche pinta di birra, preferibilmente scura e servita a temperatura ambiente.

Organi caldi

Organi caldi

Una considerazione finale su come, secondo me, lo sviluppo della tecnologia digitale stia cambiando anche la fisionomia delle città inglesi come questa. Stamattina ho percorso tutta la strada commerciale principale di Worcester, la sua “high street”, annotando i negozi che vi si trovano. Ecco la lista:
25 negozi di abbigliamento e scarpe
19 locali per mangiare e bere (caffè, ristoranti, pub, kebab, pizzerie…)
12 istituti finanziari (banche, assicurazioni, istituti di credito per mutui…)
11 agenzie immobiliari
7 gioiellerie
6 negozi di telefonia
4 agenzie di scommesse e poco altro.

Periodo Tudor-pisano

Periodo Tudor-pisano

Sembrerebbe che l’inglese medio ormai passi il suo tempo a cercare casa e a contrarre mutui per comprarla. La cucina della nuova casa può anche essere piccola, tanto può mangiare fuori: costa poco, si fa veloce e intanto, tra una scommessa e l’altra, si può anche dare un’occhiata alle vetrine del lusso per tutti e dell’abbigliamento globalizzato, colorato e fintamente originale. Forse sono troppo pessimista, ma resta il fatto che in tutta la strada non c’è un giornalaio e ho visto un solo negozio di dischi e una sola libreria, cosa perlomeno strana in una città universitaria e in un paese in cui la lettura è sport nazionale, seconda solo dietro al ciclismo (e un giorno scopriremo anche come fanno ad andare improvvisamente così forte!). Non esiste più un solo negozio di apparecchi elettronici o fotografici e per trovare una memoria per immagazzinare le mie foto ho dovuto fare il giro della città.

Wells-Cheptow 50 miglia 28-7-2013

Wells-Cheptow 50 miglia 28-7-2013

La spiegazione è semplice e si chiama internet. Il negozio sulla “high street” sta diventando la vetrina in cui il consumatore studia il prodotto, che poi compera a meno prezzo in rete e aspetta seduto comodamente a casa. Temo che il futuro sia questo anche in Italia, che inevitabilmente ripercorre, con qualche anno di ritardo, la strada degli altri paesi europei ufficialmente più evoluti.

Penso che proverò almeno di non farmi sommergere (novello don Chisciotte?) dall’avanzata apparentemente inarrestabile di questo rullo compressore che mi vuole obbligare ad avere l’orecchio sempre incollato all’ iPhone, a digitare numeri al telefono per avere una banale informazione o a parlare con macchine idiote a riconoscimento vocale, piuttosto che con esseri umani.

Chepstow-Worcester 60,8 miglia 29-7-2013

Chepstow-Worcester 60,8 miglia 29-7-2013

Anzi, a dirla tutta ripenso con affetto alla signora della cattedrale e al suo folle registro.
Domani ci torno, faccio la fila e pago di nuovo quattro sterline:
“Your name, please?”
“Emilio Alberto Pietro Dalmonte da Cotignola”

Detto Sid.
Sid Vicious, ma solo per gli amici!

Ma Totti non c’entra

 

Polzeath-Launceston   37 miglia. 24-7-2013

Polzeath-Launceston 37 miglia. 24-7-2013

Quando, sul punto di giungere stremato alla fine dell’ennesima salita e della quinta giornata in sella, nel mio campo visivo periferico è sembrata passare l’immagine simbolo di Roma, cioè la lupa che allatta Romolo e Remo, ho pensato che la tradizionale colazione all’inglese della mattina fosse stata arricchita non dai soliti funghi coltivati, ma da una manciata di funghi allucinogeni messicani, che tanto andavano di moda prima che comparissero sul mercato le droghe sintetiche.

Launceston-Tiverton (Devon) 50 miglia. 25-7-13

Launceston-Tiverton (Devon) 50 miglia. 25-7-2013

 

Invece, dopo una rapida retromarcia e un vigoroso auto-schiaffeggiamento, ho constatato che era tutto vero. Ma cosa ci fa questa sfacciata esibizione di romanità in cima a Pen Hill, nella campagna verde del Somerset, a pochi chilometri dalla città di Wells? A prima vista, non c’entra niente. A seconda vista, nemmeno. È come se in una cittadina italiana a caso (non prendo Cotignola per non essere accusato di campanilismo), diciamo Ariano Irpino, sul campo sportivo dominasse una replica della statua di Nelson che si trova a Trafalgar Square!

Tiverton-Wells 67,8 miglia. 26-7-2013

Tiverton-Wells 67,8 miglia. 26-7-2013

La coincidenza era troppo invitante per potervi resistere, e così ho passato il mio giorno di riposo a cercare di risolvere il “mistero della statua”.
Alla fine non c’è voluto molto, nel senso che è bastato incontrare una persona che di quella statua conosceva tutta la storia: Tony D’Ovidio.

Allucinazione inglese

Allucinazione inglese

Tony è un imprenditore edile affermato, italiano di seconda generazione e molisano d’origine. Pur preferendo raccontarsi in inglese, va fierissimo dell’italianità della sua famiglia, ma allo stesso tempo è un protagonista riconosciuto della vita sociale di questa placida, per non dire sonnolenta, città del Somerset. La storia che mi racconta è notevole.

Durante la seconda guerra mondiale, molti soldati italiani vennero fatti prigionieri dagli inglesi vittoriosi, soprattutto a Tobruk, e vennero trasportati in campi di prigionia sparsi in tutto il paese. Uno di questi campi si trovava proprio a Wells e Tony mi ha mostrato alcune delle baracche che tuttora testimoniano l’evento. Alcune sono abbandonate, altre sono diventate nientemeno che una scuola elementare. Si vede che i prigionieri di guerra italiani non incutevano il terrore sacro, tant’è vero che durante la giornata erano autorizzati a lavorare, dietro compenso, nelle fabbriche, nelle miniere e nelle fattorie della zona. E i contatti con la popolazione locale si sono infittiti, al punto che, finita la guerra, una parte dei prigionieri, riacquistata la libertà, ha preferito rimanere sul luogo, che per alcuni era anche diventato il luogo del misfatto, come testimoniano le numerose famiglie miste italo-inglesi nate in quegli anni.

È proprio uguale

È proprio uguale

E la statua? Ebbene, un ex-prigioniero particolarmente dotato artisticamente preparò con cura lo stampo e fece la colata di cemento che ancora oggi, dopo l’opportuno restauro della D’Ovidio Bros, domina la vallata di Wells, e si offre, poggiata su due colonne di almeno quattro metri d’altezza, alla beata incomprensione di quasi tutti i frettolosi passanti. Per fortuna, una volta all’anno, da 18 anni a questa parte, il campo su cui è stata piazzata la statua diventa il luogo di una grande festa popolare, in cui italiani, inglesi, discendenti dei prigionieri e gente comune si incontrano per celebrare il rito pagano dell’amicizia e del rispetto. Antipasto di salumi, penne all’arrabbiata, porchetta, vino e tiramisu danno il loro piccolo, innegabile contributo!

Tony e Patricia

Tony e Patricia

Eppure, nella comunità c’è chi ha ancora ricordi di prima mano; come Patricia, oggi ottantaquattrenne e bambina all’epoca dei fatti. Mi guarda e mi dice che la guerra non è mai servita a niente, le ha portato via un fratello e ha causato solo tanta sofferenza. “Per fortuna che oggi non ci sono più guerre”, dice convinta e per parlare di come venivano trattati i prigionieri di guerra usa la parola “kindness” (gentilezza). È strano come la stessa parola (kindness) ricorra anche nella placca commemorativa che si trova ai piedi della statua. È un’aggiunta recente; è stata donata da un benefattore italo-canadese che non ha mai voluto rivelare il suo legame con il campo di prigionia e con questo apparente esempio di solidarietà e di umanità fattiva. Ma, evidentemente, la storia che racconta l’autore della placca non è diversa da quella che ho sentito io.

Scorcio di Wells

Scorcio di Wells

Dopo aver brillantemente risolto il mistero della statua romana di Wells, ho fatto il giro della città, famosa in tutto il mondo per la sua bella cattedrale medievale di impianto gotico, oggi anglicana.

La cattedrale (quella vera)

La cattedrale (quella vera)

Quello che molti non sanno è che a Wells c’è anche una chiesa cattolica molto bella e imponente, che va sotto il nome di St. Cuthbert. Ebbene, nel prato di fronte alla chiesa, due ignari turisti italiani, sbarcati da un camper megagalattico, commentavano con rabbia che il loro libro dava una descrizione totalmente errata della cattedrale e dei suoi tesori…
Peccato fossero davanti a St.Cuthbert, e non alla cattedrale, che è dall’altra parte della città!

Permesso?

Permesso?

Caro Tony, non è che con i tuoi operai puoi rimettere in sesto una di quelle baracche in disuso nel campo di prigionia? Avrei due candidati da affidarti per qualche anno.

Tanto, so che li tratterai con gentilezza.

Caviale a sbafo

 

Mentre mi appresto, dopo un giorno di riposo nella magnifica città di Wells, a completare il mio trittico di regioni del sud-ovest dell’Inghilterra e a virare verso il centro-nord, qualche considerazione si impone su ciò che, sia pur frettolosamente, ho visto in questa prima settimana di viaggio.

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Dico anzitutto che per chi ama la natura e ha un’idea romantica della campagna, Cornovaglia, Devon e Somerset sono, ciascuno alla sua maniera, regioni da non perdere; e non a caso, soprattutto le prime due d’estate raddoppiano praticamente la loro popolazione.

Surfisti allo sbaraglio

Surfisti allo sbaraglio

L’impressione che ho avuto partendo dalla costa e muovendo verso l’interno, è stata quella di visitare due paesi diversi. Sono partito dalle città della costa atlantica: qui si riversano soprattutto giovani, artisti e famiglie. I primi sono in genere surfisti alla ricerca di emozioni forti, che catturano le onde dell’oceano e volteggiano, in piedi, accucciati o stesi sulla pancia, con ogni genere di tavola: da surf, a vela, attaccata a un paracadute o a un aquilone. Per chi come me non sa nemmeno nuotare, è uno spettacolo bello ma incomprensibile, anche perché ogni volta che sento la parola tavola a me viene semplicemente l’acquolina in bocca.

Surfing in the rain

Surfing in the rain

Poi dicevamo degli artisti, pittori in particolare. Ora, a me le cittadine costiere della Cornovaglia sono sembrate tutte molto simili come struttura, salvo avere diversi gradi di eleganza estetica. A voler essere brutali, Newquay è abbastanza orrenda, mentre Padstow è carinissima. Ce n’è una però, St. Yves, che merita un discorso a parte, perché la popolazione è fatta soprattutto di artisti, che sostengono che qui la luce ha una qualità tutta speciale. Ammetto di non saper fare una “o” con un bicchiere, quindi avrei bisogno di un fotometro per capire in cosa la luce di St. Yves sia diversa dal resto del mondo. Ma da bravo cinico, ho come la sensazione che giochino altri fattori.

Alfred (the Great?)

Alfred (the Great?)

Sembra che la moda dei pittori sia nata negli anni ’20, quando un tale Alfred Wallis, dopo aver fatto il pescatore tutta la vita, decise a 67 anni che si faceva meno fatica a dipingere i pesci come autodidatta che a prenderli con la rete alzandosi alle tre ogni mattina. E si guadagnava anche di più.
Da allora, St. Yves è diventata una vera e propria colonia di artisti, con decine e decine di gallerie d’arte che ingentiliscono le case di pietra del borgo e riempiono di colore le sue stradine scoscese. Addirittura, la Tate Gallery di Londra ha aperto una succursale di fronte alla spiaggia, dove espone collezioni di arte prevalentemente moderna e prodotta in loco.

La terza componente della fauna turistica costiera sono le famiglie, che durante i mesi della transumanza dalle città, luglio e agosto, non esitano a invadere campeggi e pensioni bed and breakfast con il miraggio della vacanza a buon prezzo, degli spettacoli di burattini per i pargoli e con la garanzia assoluta di trovare ogni cento metri un posticino che vende l’altro grande mito gastronomico del paese, il “fish and chips”, cioè pesce impanato e fritto (merluzzo, quando va bene), con ampio contorno di patate fritte tagliate grosse, sale e aceto a gogo e succulenti piselli bolliti per pulire il palato.

Balanzone, Arlecchino o Pulcinella?

Balanzone, Arlecchino o Pulcinella?

Pensate che ogni anno c’è un concorso nazionale che premia i migliori “fish and chip shop”. Il bello è che due anni fa l’ha vinto una famiglia di italiani emigrati da generazioni in Scozia: secondo me, hanno usato l’accento balsamico…

Se l’atmosfera di questi posti sull’oceano è un po’ la stessa di quando andavo in colonia da bambino, lo stesso non mi è sembrato delle zone dell’interno, dove un turismo meno in vena di mare, arte e caciara, si abbandona alla suggestione veramente rustica dei luoghi, alla forza primordiale dei paesaggi boschivi e alla rarità del silenzio delle brughiere. Costeggiando i mille chilometri quadrati della brughiera di Dartmoor, si vede come questa zona superprotetta sia ancora oggi quasi disabitata, brulla, immensa, punteggiata di inquietanti resti neolitici e misteriose file di pietre rozzamente intagliate.
A scanso di equivoci, ho tenuto pronto il mio “dog dazer”, l’aggeggio elettronico che spara frequenze per tenere a bada i cani randagi, ma il dubbio rimane: e se saltava fuori il “Mastino dei Baskerville”?

Home sweet home

Home sweet home

Qui si trovano gli amanti delle passeggiate nella natura, così come i difensori ad oltranza del diritto di passaggio, che qualche agricoltore o allevatore vedrebbe volentieri limitato. I villaggi dell’interno sono spesso ridotti a poche case, a volte a sole seconde case, per cui l’attività economica stenta a sopravvivere. Per questo motivo, non è raro incontrare uffici postali che, come quello in cui mi sono fermato a chiedere indicazioni, oltre ad offrire francobolli e raccomandate, vendono anche giornali, generi di conforto ad alto tenore zuccherino, prodotti per la casa, zappe, vanghe e sementi, birra e sidro. La lista non è esaustiva.

Chiudo la carrellata turistica, dicendo che se le case con i tetti di paglia sono la caratteristica più giustamente nota del Devon, la regione del Somerset rimane molto sottovalutata. Sono passato per Glastonbury e Wells, ho purtroppo solo sfiorato Bath, ma mi capiterà di dire qualcosa su ognuna di esse.

Ufficio postale tuttofare

Ufficio postale tuttofare – Vendesi bici d’importazione semi nuova

Dimenticavo un aneddoto. Parlando di fish and chips dicevo che di solito il pesce usato è merluzzo o qualche pesce simile come gusto e consistenza. Ma una cosa è assolutamente certa: accanto alle patate non si potrà mai usare carne di balena, di delfino, di lemure o di storione. Forse perché sono specie protette? Certo, ma non solo. Il vero motivo è che dai primi anni del 1300 uno statuto attribuisce la proprietà esclusiva di queste quattro specie alla casa reale. Henry of Bracton, un famoso esperto di diritto che alla fine del ‘200 esercitò la giustizia nelle tre regioni che ho attraversato e oggi è sepolto nella navata della cattedrale di Exeter, ebbe a scrivere: “de balena vero sufficit . . . si rex habeat caput, et regina caudam” , cioè la testa della balena per il re e la coda per la regina, con la spiegazione che quest’ultima si sarebbe servita delle ossa della coda come stecche per i suoi preziosi busti e corsetti. Non è dato sapere cosa se ne facesse il re della testa della balena. Visto il livello di follia, la mia idea è che usasse i fanoni come stuzzicadenti, ma chissà!

Storia, storia cita o storione?

Storia, storiaccia o storione?

Uno che ha scoperto questo statuto a sue spese alcuni anni fa, è un pescatore gallese, che ha cercato di vendere all’asta uno dei rarissimi storioni (6 all’anno in media) che si pescano negli estuari. Una bella bestia di 120 chili che gli avrebbe fruttato qualche migliaio di sterline. Peccato che la legittima proprietaria coronata non fosse stata informata. E così, la preda del secolo si è trasformata in una colossale fregatura. La Regina ha graziosamente declinato il pesce, con annesso caviale (bontà sua), ma lo storione è finito al museo di scienze naturali in quanto specie protetta!
Che storia.

Anzi, che storione!

… e whiskey dopo i pasty !

Il post di ieri sul “fudge” ha creato una lotta serrata fra detrattori e sostenitori della caramella Mou, con l’intera tifoseria interista schierata a favore, perché solo a sentire la parola Mou torna in mente l’artefice del mirabolante “triplete”.
Ma mettiamo i sogni nel cassetto e continuiamo la carrellata di specialità gastronomiche della Cornovaglia. Il giro è presto fatto, perché sono due in tutto: la “double cream” e il “pasty”.

Il dizionario Collins traduce “double cream” con panna da cucina. Forse è giusto, ma non mi piace, perché non rende giustizia al mito di questa “panna doppia”, o “panna pesante”, come la chiamano gli americani. Come consistenza fa pensare al nostro mascarpone, e al palato è semplicemente voluttuosa, forse perché la materia grassa sfiora il 50%.

Gnam gnam

Gnam gnam

Nonostante i tentativi di usarla in altre ricette, la “double cream” dà il massimo nel rito del tè, che non a caso da queste parti diventa un “cream tea”. Per chi non lo avesse mai provato, funziona così: vengono servite due focaccine (in inglese di chiamano “scones”) piuttosto insipide, che hanno la consistenza di una nostra ciambella. L’idea è che si imburrano le focacce, si tappezzano di marmellata di fragole e si ricopre il tutto con “double cream”. Il risultato è una esplosione eccezionale di sapori, però bisogna dimenticare le ultime analisi e le raccomandazioni del medico: della serie “meglio un giorno da leoni”…

Fabbrica di double cream

Fabbrica di double cream

Purtroppo non posso essere così elogiativo nei confronti del “pasty”. Intanto, cos’è?
Ha la forma e le dimensioni di un crescione, ma le somiglianze finiscono lì.
L’involucro è ottenuto mischiando farina, margarina, lardo e acqua. Lo si riempie con una combinazione di cipolla, scalogno, porri, rape, patate e carne di manzo tritata.

Praticamente è un crescione di stufato. Se proprio si deve, meglio consumarlo di mattina, perché la permanenza sullo stomaco può durare ore e la sensazione di pesantezza darebbe insonnia. Incredibilmente, però, il “pasty” è il prodotto principe delle esportazioni della Cornovaglia e la pietanza culto della Regione. Nel libro dei record ce n’è uno che pesa 850 chili.

... for ever...

… for ever…

Era il piatto forte dei minatori, che però mangiavano solo il ripieno e gettavano la crosta esterna, per non ingurgitare le sostanze chimiche e velenose che ricoprivano guanti e mani. Pensate che dall’inizio del ‘900 ( quando metà dello stagno mondiale era estratto da queste parti!), ogni volta che la squadra di rugby della Cornovaglia gioca una partita importante, sopra la traversa della meta viene issato un “pasty” portafortuna gigantesco. Il bello è che non è un “pasty” qualunque: è sempre lo stesso dal 1908!
E poi dicono che gli italiani sono superstiziosi…

Si pronuncia come il plurale di pasto. E vale altrettanto.

Si pronuncia come il plurale di pasto. E vale altrettanto.

I riferimenti nel titolo odierno a sidro, vino e whiskey non sono casuali, perché, con grande sorpresa, ho scoperto che la Cornovaglia li produce tutti e tre.
Niente da dire sul sidro, che è un prodotto eccellente, da gustare fresco e frizzante per apprezzarne aroma e gusto, non importa se alla base ci siano le mele o le pere. Si raccomanda comunque moderazione, perché ha un tenore alcolico che va dal 5 al 7% e si serve in bottiglie da mezzo litro. Non so se mi capisco…

Il vino è una storia recente, diciamo dagli anni ’80. Certo, il terreno è lo stesso della Champagne e le varietà di uva sono adattate al clima di queste parti. Certo, qui è permesso zuccherare il mosto per aumentare il grado alcolico. Certo, mi è capitato di offrire a cena vino inglese ad ospiti ignari, coprendo l’etichetta per fare una sorpresa… Resta il fatto, però, che il risultato non mi convince ancora. Ieri mattina stavo per visitare una cantina, la Camelvalley Vinery, ma ho rinunciato perché rischiavo di far tardi. Per scrupolo, mi impegno a tornarci una volta che ripasso in macchina da queste parti. Ma non mi aspetto miracoli; anzi, temo la fregatura, da quando ho visto che uno dei vini è intitolato ad uno chef francese che un giorno sì è l’altro pure compare in tv con le sue ricette “creative”. È il fenomeno dei cosiddetti “celebrity chefs”, su cui tornerò un altro giorno.

Ottimo dopo i pasty

Ottimo dopo i pasty

E il whiskey? Intanto si scrive con una “e” per distinguerlo da quello scozzese. Poi esiste solo da 10 anni e costa 175 sterline per una bottiglia da 500cc. Scusate il disturbo! Ma forse il prezzo così salato si giustifica con il fatto che è l’unica bevanda al mondo che riesce a far digerire un “pasty”.
Sono certo che Carlo e Camilla, che detengono i prestigiosi titoli di Duca e Duchessa di Cornovaglia, non esiteranno a regalarne almeno una bottiglia al neonato nipotino, acquisito o meno che sia. Dopotutto è una tradizione cornica, cornica in tutti i sensi.

Sterline al vento...

Sterline al vento…

A proposito, nel mio piccolo esprimo profonda indignazione per la scelta del nome George. Ma come? La fantasia si ferma al nome del nonno? E pensare che il mio cavallo di battaglia, Alfred, con uno scatto di reni era sceso a 33:1 nelle ultime quotazioni degli allibratori. Ieri sera, forse annebbiato dalla stanchezza e dalle salite, ho addirittura scommesso su quel nome la bellezza di 10 sterline. Se le cose fossero andate bene, avrei organizzato una festa in piazza a Cotignola: “anti-pasty e pasty-ccini” per tutti. E come dolce, “fudge” coperto di “double cream”. Il tutto innaffiato di sidro e vino di Cornovaglia. Whiskey come digestivo. Cotignola non è un paese per stomaci deboli.

Fra tutte le reazioni più o meno scomposte alla nascita dell’erede al trono, chiudo citandone due, che secondo me esemplificano da un lato l’amore di tutto un popolo per la monarchia e dall’altra la sua fenomenale indole dissacratrice.

– Un settimanale satirico ha titolato a tutta pagina: “Donna partorisce un figlio”.
– Invece il quotidiano “the Sun” ha cambiato il suo nome per un giorno in “The son”, giocando sul l’identità di pronuncia dei due termini.

Sarebbe come se, in Italia, Giuliano Ferrara avesse chiamato il suo giornale: “il Figlio”.

Gioco di parole

Gioco di parole

Ps: Domani giornata pesante. Si prevedono salite e pioggia. Il blog probabilmente salterà un giorno.

…Vanilla fudge.

Un killer si aggira per la Cornovaglia, indisturbato. Per i suoi misfatti predilige i negozi che vendono paccottiglia per turisti, ma è stato avvistato anche in ambienti più raffinati e non disdegna i ristoranti. Alla polizia sono giunte segnalazioni persino dall’aeroporto, ma lui continua ad eludere l’arresto.
Dicono sia nato in America e la traduzione del suo nome è tutto un programma: “to fudge” significa “ingannare, falsificare, svicolare…”
Si pronuncia come le prime tre lettere della parola italiana “fagiano”, ma le affinità finiscono qui. Addirittura, nell’anno 1966 d.C. un gruppo musicale psichedelico americano (quello che allora si chiamava un “complesso”), scelse di chiamarsi con il suo nome (Vanilla Fudge) e raggiunse una discreta celebrità, con pezzi mitici come “Some velvet morning” e pezzi terrificanti come “Bang bang, you shot me down”, che nel corso dei decenni ha comunque conosciuto versioni a raffica con tanto di traduzione, da Mina all’Equipe 84, da Dalida a (incredibile) Iggy Pop, indiscusso proto-re del punk.

Wanted

Wanted

Ma non divaghiamo. In realtà il fudge è spacciato come un dolce. La cosa che più gli assomiglia è il caramello, anzi è caramello con la consistenza della gomma americana.
È un killer perché basta guardarlo e si prende il diabete.
Non è un cubo di zucchero. È zucchero al cubo, anzi all’ennesima potenza!
Gi ingredienti sono i soliti ignoti, cioè zucchero, burro e latte, riscaldati e sbattuti fino a raggiungere la consistenza e l’elasticità di una palla da tennis. Per buona misura, agli americani succede di aggiungerci anche un po’ di sciroppo di acero. L’aggettivo giusto per descriverlo è stucchevole, nel senso che dopo due assaggi diventa insopportabile, e per di più, come lo stucco, una volta in bocca diventa mammozzone appiccicoso che ti rimane incollato alla volta del palato e minaccia seriamente la saldezza delle otturazioni dentarie.

Frutta e verdura a babordo!

Frutta e verdura a babordo!

Perché ne parlo? Perché partendo di domenica mattina con vento forza 8 in faccia, sono arrivato ad ora di pranzo affamato come un lupo, ed è in quel preciso momento che ho capito la prima grossa differenza tra Londra (e ogni altra città del paese) e la Cornovaglia, ovvero la campagna inglese in genere: i supermercati (e i negozi di alimentari, sempre che esistano ancora), chiudono alle 5 di sera e soprattutto restano chiusi la domenica. Risultato: dopo una mezzora di ricerca in tutta Marazion, amena località costiera in cui i turisti vanno per soddisfare il loro istinto masochista, ho trovato un solo negozietto aperto che vendeva esclusivamente souvenir, gelato e fudge. Alla sera, il cardio-frequenzimetro aveva un bel dirmi che avevo consumato 6.000 calorie; non sapeva che con due morsi di fudge ne avevo assunto almeno il doppio!

Dopo questa esperienza, ho deciso di conservare il pezzo di fudge che mi rimane (vedi foto) fino alla fine del viaggio e oltre. Gli usi possibili sono molteplici: riparazione di pneumatico della bici in caso di foratura, riserva alimentare in caso di attacco sudcoreano prolungato, succedaneo della colla e del silicone per ripiastrellare il bagno, paraurti o casco di protezione, trafilatura per uso “bungee jumping” (in italiano, salto con l’elastico), e molti ancora.

St. Enodoc

St. Enodoc

Ma lasciamo da parte l’ironia sulle specialità corniche, per dire qualcosa sull’aspetto paesaggistico, che, per fortuna, mi ha ripagato abbondantemente delle disgrazie del palato. Un esempio valga per tutti: la chiesetta di Saint Enodoc, con annesso cimitero che da un lato raccoglie alla rinfusa lapidi dal 17.o secolo in poi, e dall’altro accoglie quella che ricorda Sir John Betjeman, che fino al 1984 è stato uno dei più amati “poeti di corte”, e che qui aveva scelto di vivere gli ultimi anni della sua vita e chissà quanti del suo prosieguo.

Rest in peace

Rest in peace, Sir John

Betjeman, pur essendo nato a Londra da una famiglia di antiche origini olandesi, amava la Cornovaglia, il vicino villaggio di Trebetherick, dove abitava, e questa meravigliosa chiesetta risalente al 12.o secolo, oggi anglicana, semi sepolta nelle dune e con il tetto a forma di cono storto, dove risuona una campana sopravvissuta al naufragio secoli fa di una nave italiana, chiamata “Immacolata” e proveniente da Barletta.
Nelle sue poesie i riferimenti alla regione, al villaggio e alla chiesa sono innumerevoli: “Blessed be St Enodoc, blessed be the wave…” recita un verso della sua poesia “Trebetherick”.

Il cono di Pisa

Il cono di Pisa

A parte il rispetto che si deve alla sua figura, mi corre però l’obbligo di precisare che il titolo ufficiale di Betjeman era “poet laureate”, che io ho approssimativamente tradotto con “poeta di corte”. Il fatto che fosse laureato non c’entra niente: rientra solo nella lunghissima lista delle parole ingannevoli che i traduttori conoscono bene, i cosiddetti “falsi amici”.

Ma la figura stessa di “poet laureate” rappresenta una di quelle tradizioni che un italiano come me considera a metà fra l’inutile e il ridicolo, ma che in realtà costituiscono una piccola parte, irripetibile e non condivisibile con altri, della identità profonda di un suddito di Sua Maestà, del suo essere inglese, o meglio britannico.
Perché, cosa fa un “poeta laureato” ? Conduce la sua vita normale, in genere scrive per mestiere, ma tecnicamente il prestigioso incarico, conferito dal sovrano fin dal 1700 e che dura a vita, non comporta nessun obbligo formale. L’unica cosa che ci si aspetta è che il poeta componga dei versi (si spera indimenticabili) nelle occasioni di “rilievo nazionale”.

Paesaggio cornico

Paesaggio cornico

Resto in attesa trepidante, per vedere se la nascita di Ciro Emilio Alfred Windsor, terzo in linea di successione al trono, meriterà adeguata produzione poetica! Tutto dipenderà dallo stato di sobrietà in cui si troverà l’attuale poeta, anzi poetessa, Carol Ann Duffy, che assomma tre record nella sua persona: è la prima donna poeta di corte, è la prima scozzese ed è la prima dichiaratamente gay. Fin qua tutto bene: il problema è che la ricompensa annuale (attenzione: annuale) per questa carica reale consiste in appena 5.000 sterline, accompagnate però da 477 litri di sherry!

Speriamo che Carol sia astemia, o al povero Ciro potrebbe toccare una strana ninna nanna:

Nonostante il capogiro
Riesco a prendere la biro.
Scrivo a getto un elzeviro
Dedicato al nostro Ciro
Che già dorme come un ghiro,
Manco fosse un fachiro.
Ninna nanna, ninna è
Che un bel giorno sarai re!

Ps: Chiedo scusa per il fatto che non rispondo agli innumerevoli messaggi e commenti che ricevo. In realtà, avrete capito che quando arrivo a destinazione la sera sono piuttosto cotto e passo il tempo a mettere in ordine i deliri pensati durante il giorno. Ma vi prego, continuate a scrivere, per me è un grande incoraggiamento. E con queste salite, ne ho proprio bisogno:-). E adesso sta pure piovendo…

è nato niro

Se è vero che il bambino più mediatizzato al mondo un giorno sarà re, oltre che della Gran Bretagna, anche di un numero assurdo di paesi dall’altra parte del mondo, tra cui Antigua, Bahamas, Barbados, Belize, Granada e Giamaica, sarebbe simpatico, oltre che politicamente corretto, se avesse la pelle scura. Confido quindi che tra qualche giorno, complice qualcuna delle leggi di Mendel sulla ereditarietà, avremo diritto ad una sorpresa planetaria: fuori da Buckingham Palace la banda militare dei Gurkha suonerà

Coltelli Gurkha

Coltelli Gurkha

ininterrottamente quel gioiello della canzone popolare napoletana che è la “Tammurriata nera” e il portavoce di palazzo annuncerà il nome del futuro erede della corona: Ciro!
Anzi, per completezza, Ciro Windsor.

Segue versione originale e libera traduzione inglese:

È nato nu criaturo, è nato niro,
e ‘a mamma ‘o chiamma gGiro,
sissignore, ‘o chiamma gGiro (Ciro)

The Royal Baby’s black, this is Ground Zero!
His mother calls him Ciro
Oh yes sir, she calls him Ciro

Panzio Pelato mentre Ciro viene mostrato alle folle

Panzio Pelato soddisfatto, mentre Ciro viene mostrato alle folle

In attesa del felice annuncio, suggello ultimo dell’avventura imperiale e della conseguente apertura sul mondo di questa isola felice, devo constatare con assoluto stupore che né Ciro, né Emilio compaiono tra gli oltre 200 nomi sui quali si scommette al momento. Esaminando la lista, si nota subito che i nomi femminili sono crollati nelle quotazioni, ma non sono stati eliminati del tutto: infatti una società di allibratori li dà ancora indistintamente a 949 a 1. Ossia, uno scommette una sterlina che l’erede maschio si chiamerà Isabella e, se la famiglia reale dovesse decidere una clamorosa apertura verso il mondo transgender, porterà a casa 948 sterline.

Si sa che i nomi più gettonati al momento sono Giorgio, Giacomo, Arturo e Alessandro, cioè tutti classici della dinastia presente e di quelle passate.
A me, personalmente, piace molto il nome Alfred.
Alfred fu un grande personaggio storico, che per aver difeso con successo il regno del Wessex dalle scorribande dei Danesi alla fine del IX secolo, fu il primo ad essere chiamato “il Grande” e soprattutto “re di Inghilterra”. Un po’ come Hitchcock.

Vorrei tornare un momento alla lista dei nomi per ripetere che Ciro, e ancor meno Emilio, non sono nomi così strampalati per un futuro monarca. Vediamo perché:

E Adriano è forse un brutto nome?

E Adriano è forse un brutto nome?

Psy, il rapper sudcoreano, è dato a 5.000 a 1: un affarone!
Brooklyn è dato a 1.000
Appena meglio Elvis, Wayne e Luther (500:1)
Sempre a 500 troviamo un terrificante Rumpelstiltskin. È il nome di un nano cattivissimo (a volte ritornano) protagonista di una favola dei fratelli Grimm e ripreso anche in un film dell’orrore degli anni ’90. Per chi ha la letto la storia, in italiano è il nano Tremotino.
Non poteva mancare Barack, dato 250:1 e possibile alternativa a Ciro.
Sempre a 250:1 abbiamo un nostalgico Thatcher e un misterioso Sapesan.
Viste le origine tedesche della dinastia, ecco spuntare Otto a 150:1
A 100:1 c’è un incomprensibile Duke. Come si fa a chiamare Duca uno che deve fare il re?
Sotto quota 100 i nomi diventano più accettabili, per non dire banali, ma tant’è.
Il mio preferito, Alfred, spunta un buon 50:1, quindi può essere considerato un outsider di tutto riguardo. Domani mi fermo in una ricevitoria e punto un bel bigliettone su Alfred vincente e un altro sul terno secco: Ciro, Barack, Emilio Windsor.
Se esce, divento milionario e vado a fare la traversata delle Bahamas!

Prima tappa

Prima tappa

A proposito. Dimenticavo che lo scopo del blog sarebbe anche quello di raccontare come sta andando il viaggio. Lo dico con una parola sola: malissimo, nel senso che di questo passo rischio di arrivare in Scozia per Natale. Senza voler essere blasfemo, come in ogni Via Crucis che si rispetti, anch’io vado avanti a tappe.

 

Prima tappa: Land’s End – Parrenporth: 44 miglia. Media ridicola e indolenzitura del polpaccio destro.

Seconda tappa: Parrenporth – Polzeath 30 miglia e gambe come due travi di legno.

Seconda tappa

Seconda tappa

Ribadisco il concetto di ieri: la Cornovaglia non è un paese per ciclisti e non è un caso se le poche biciclette che vedo in giro sono quelle che potenti Suv, guidati da gente sana di mente, trasportano verso qualche regione più consona alle due ruote.
Comunque, ormai sono in ballo e devo ballare, anche se il ritmo da seguire è quello forsennato di una giga cornica suonata con strumenti tipici: violino, corno, arpa e cornamusa.
Fuor di metafora musicale, capisco anche perché i Romani non si siano dannati l’anima più di tanto per conquistare queste lande che avrebbero dato loro tanti grattacapi e solamente una materia prima: lo stagno. Hanno preferito far venire lo stagno dalla Spagna, dove costava meno estrarlo (globalizatio, globalizationis…?), dove c’era il sole e non si rischiava di sprofondare negli acquitrini delle brughiere.

Ad maiora!

Ad maiora!

Insomma, se il progetto di riconquista della Britannia del centurione Panzio andrà in porto, mi impegno fin da ora, in accordo con il nuovo sovrano Ciro, a spianare ogni collina del paese e a trasformare questo luogo di sudore e sofferenza insensata in una nuova realtà morfologica perfetta per il chilometro lanciato, le gare di atletica, il bowling e le bocce, le piste per le biglie e le corse dei dragster.

Benvenuti nel tavoliere della Cornovaglia, altitudine 10 centimetri s.l.m!

Ps: ringrazio fin da ora l’amico Guido Carretta che si trova in questo preciso momento in Cornovaglia. Lui dice che è una coincidenza, ma io so che vuole documentare accuratamente le sue vignette. Tornerà fra due settimane con la sua personalissima visione a fumetti di questa nuova avventura di Panzio Pelato.

 

Piadina in scatola

Non è un paese per ciclisti

Piadina è il nome con cui ho battezzato la mia bicicletta nel 2010, sulla spiaggia di Saint Augustine, in Florida. La scelta del nome fu determinata da una giuria popolare virtuale di lettori del blog, che con una maggioranza risicata preferì questo nome al principale contendente: Aquilante, il mitico destriero di Gassman ne “l’armata Brancaleone”.
Col senno di poi, mi rendo conto che con tutti i voti che ha raccolto per via telematica, oggi Piadina potrebbe essere seduta, o più propriamente parcheggiata, in Parlamento.
Dopotutto, se Caligola fece senatore il suo cavallo (ok, è una leggenda metropolitana!), anche Panzio potrebbe elevare al soglio senatoriale il suo cavallo di ferro…

Panzio in borghese con Piadina

Panzio in borghese con Piadina

A parte le battute, dire che si parte dalla punta della Cornovaglia è facile, ma prima bisogna arrivarci. Ecco perché Piadina è stata messa in una scatola di cartone dopo i preparativi del caso: si devono sgonfiare le ruote, girare il manubrio, togliere i pedali e la ruota anteriore. Poi si proteggono le parti vulnerabili (leggi il cambio) e si aggiunge un massimo di polistirolo, bugnato e stracci. Si evidenzia la fragilità dell’insieme con appositi cartelli, frecce e raccomandazioni. Infine, si accende un cero in chiesa, sperando che i facchini all’aeroporto saranno meno brutali di quanto non lo siano normalmente con le nostre valigie.

Piadina in scatola

Piadina in scatola

Forse il cero che ho acceso non era abbastanza grosso, o forse ho scelto il santo sbagliato. Resta il fatto che mentre a Bologna ho seguito con i miei occhi le operazioni di imbarco mentre ero già seduto in aereo, all’arrivo a Heathrow ho trovato la scatola di Piadina rovesciata, e soprattutto col fondo aperto senza tanti complimenti.
Si sa che questo è il paese del self-control, quindi mi sono adeguato. Dopo essermi informato sul grado di alfabetizzazione del personale di terra, ho gentilmente chiesto al preposto alle denunce se per caso avesse una sfera di cristallo, dato che sosteneva, guardando appena appena la scatola, che la bicicletta non aveva subito alcun danno…
Comunque, tutto è bene quel che finisce bene e nessun grosso problema è emerso durante il rimontaggio.

Ma prima del recupero bagagli, anche qua c’è la frontiera. Ovviamente il Regno Unito non aderisce al Trattato di Schengen, per cui controlla sistematicamente chiunque si presenti alle sue frontiere. I malcapitati viaggiatori entrano in uno stanzone grande come uno stadio e vengono suddivisi fra “cittadini dell’area economica europea” e resto del mondo. È interessante notare come la menzione “Unione europea” compaia in fondo ai cartelli in caratteri microscopici, come le condizioni capestro nascoste nei contratti.

Documenti, prego!

Documenti, prego!

La fila è estenuante, ma chi, come il sottoscritto, ha un passaporto di ultima generazione può procedere al controllo fai-da-te: si appoggia il passaporto su di un lettore e si fissa intensamente un occhio elettronico che ti fa un esame che neanche il chirurgo estetico: misura il naso, ti fotografa l’iride, ti ridisegna le sopracciglia, conta i peli delle ciglia, del naso e quelli delle orecchie. Per chi soffre di alopecia, conta il numero di nei. Semaforo verde e finalmente, dopo una mezzoretta di attesa, si calpesta il suolo di sua maestà.

Il giorno dopo c’è stato il grande viaggio fino a Land’s End, che pensavo di fare in treno, e invece mi è stato generosamente offerto dalla mia amica Katy, che, da brava devoniana, ha assicurato il suo supporto logistico in questi momenti iniziali, a patto che non parli troppo male del suo paese nel mio blog…:-)

Groupies

Groupies

Ma tutti i problemi dei preparativi svaniscono quando ti trovi sulla linea di partenza e scopri che Eolo, il dio dei venti, c’è l’ha con te. Altrimenti non si spiega come mai il vento, che su tutte le spiagge della terra, in tutti i paesi del mondo soffia dal mare verso terra, proprio oggi abbia deciso di fare il contrario. I primi dieci metri del viaggio sono stati micidiali: tra il peso della bicicletta (20 kg più una dozzina di bagaglio) e le raffiche fortissime di vento in faccia, avanzavo come se fossi uscito dal pub ubriaco fradicio. E così ho finalmente imboccato la lunga strada che, direzione nord – nord-est, dovrebbe (nota: dovrebbe) portarmi fino in Scozia, e la giornata è proseguita sulla stessa falsariga, ma con una aggravante terribile: le salite.
Avevo letto molto al riguardo, ma la realtà supera la fantasia: do solamente un esempio fra tanti. Tutte le città costiere che ho attraversato, Perranporth, Newquay, Padstow, ecc. ecc. sono naturalmente costruite attorno al porto. Il problema è che, passato il lungomare, il paese si sviluppa lungo la scogliera, che definire ripidissima è l’eufemismo del secolo.

Mirabilandia

Mirabilandia

Risultato: all’arrivo ci si precipita a fondovalle da non più di 200-300 metri di altitudine nello spazio di un solo chilometro (pendenza del 20-30%). Al momento della ripartenza si annota il numero del più vicino cardiologo, ma dopo un po’, spompati e cianotici, si fa l’unica cosa che un ciclista serio non confesserà mai: si mette il piede a terra e si spinge, come un moderno Sisifo, quell’ammasso impietoso di ferro e gomma che non ne vuol sapere di fare sconti.

Oggi poi, l’ignominia finale: in una delle mille salite su cui arrancavo sono stato superato in tromba da una giovane mamma che faceva footing spingendo la carrozzina con il figlio dentro! È andata così: alla base della salita mi ha lasciato passare, convinta che sarei partito a tutto gas.

Provocatrice

Provocatrice

Verso metà, mentre sentivo i suoi passi avvicinarsi, ho fatto una mossa tanto furbesca quanto vergognosa. Mi sono fermato esausto e con un filo di voce le ho fatto i complimenti, chiedendole se era una atleta e se potevo farle una foto mentre passava! È così è stato.

Povero Panzio Pelato, il discendente di una lunga stirpe di intrepidi centurioni avvezzi ad ogni sfida, che si è arreso in questa maniera incredibile!

Questo non è un paese per ciclisti.
Ma non solo, cara signora: non ci sono più nemmeno i centurioni di una volta.

La fine della terra ?

Per capire che posto è Land’s End bisogna andarci, nel senso che è varie cose allo stesso tempo. Anzitutto è un angolo meraviglioso della Cornovaglia, situato proprio all’estremità di quella lunga penisola di granito che più o meno dappertutto strapiomba sull’oceano, lasciando pochissimo spazio alla spiaggia sabbiosa a cui sono abituato io. È un luogo protetto dal punto di vista ambientale, come del resto protetta è tutta la costa, dove si susseguono aree di interesse paesaggistico e faunistico, la cui tutela è affidata al National Trust, organizzazione potentissima a cui sono iscritti moltissimi britannici, che non esitano a sborsare una quarantina di sterline all’anno per proteggere monumenti, giardini, coste, palazzi e tesori assortiti.

Lontano lontano, la Statua della Libertà

Lontano lontano, la Statua della Libertà

È interessante osservare come la comune origine celtica abbia lasciato tracce importanti nella toponomastica di questa zona e del suo dirimpettaio francese: se da una parte abbiamo Land’s End, di fronte c’è il dipartimento di Finistère, dove le due parole significano la stessa cosa, cioè la fine della terra (il nostro latino “Finis terrae”). E anche i francesi vantano una regione della Bretagna che si chiama Cornovaglia. O forse Bretagna e Gran Bretagna non hanno nulla in comune?

Monte San Michele, Mont Saint-Michel o St. Michael's Mount?

Monte San Michele, Mont Saint-Michel o St. Michael’s Mount?

Il massimo l’ho visto questa mattina: di fronte alla località balneare di Marazion c’e un’isola che si può raggiungere a piedi durante la bassa marea. Ricorda in maniera impressionante un isolotto analogo al largo della costa normanna e guarda un po’: uno si chiama St. Michael’s Mount e l’altro si chiama Mont Saint-Michel. E un po’ di fantasia mai?

Ma dicevamo di Land’s End, che è anche, senza alcun dubbio, una fiorente impresa commerciale. Da un lato c’è una accozzaglia di negozi-trappola per turisti che vendono souvenir e prodotti gastronomici locali (sic), ma almeno sono nascosti alla vista da un bel muro bianco che non stona col paesaggio. Dall’altra c’è un albergo assolutamente valido, che offre un tocco di classe notevole: il letto delle camere che si affacciano sull’oceano è alto almeno un metro e venti e solo svegliandomi questa mattina, dopo aver rischiato di precipitare al suolo per tutta la notte, ho capito il perché: si può fare colazione appoggiando la schiena al cuscino e da lì, come novelli satrapi, si è più alti della finestra e si vede il mare in tutta la sua immensità. A queste condizioni, si perdona anche il fatto che il caffè che ti portano è semplicemente spaventoso.

Distanze in miglia

Distanze in miglia

Poi c’è il massimo del kitsch, a cui però nessuno, turista o ciclista che sia, ha la forza di opporsi: è la foto di rito davanti al palo che dà la distanza fra Land’s End e qualsiasi località al mondo. Ciò è possibile perché, dietro lauto compenso, il fotografo ufficiale compone il nome e la distanza della località che si vuole, scatta la foto e la spedisce a casa per posta. Avendo il sottoscritto già sborsato congruo balzello a sua maestà il fotografo, costui, unico autorizzato a scattare foto al palo chilometrico, ha accettato di fare una foto anche con la mia spregevole macchinetta digitale, e il risultato eccolo qua.

“Last, but not least, c’è un mini museo, che racconta ed enfatizza la storia dell’ End to end, cioè del viaggio che ho appena cominciato anch’io. Come museo non vale un fico secco, però serve per far capire una cosa che avevo sottovalutato, e cioè come questo viaggio sia diventato con il passare degli anni una vera e propria istituzione del paese, una specie di rito iniziatico per alcuni, una sfida con se stessi per altri e una occasione di fare beneficenza per la stragrande maggioranza dei partecipanti, che raccolgono fondi per iniziative caritatevoli.

A questo proposito, apro una parentesi per ricordare che, come nel caso del coast-to-coast americano del 2010, anche questa mia pazzia attuale vuole essere una maniera per aiutare Ruvuma onlus, una associazione di volontari che gestiscono un ospedale in Tanzania.

 

Diamo una mano!

Diamo una mano!

Spero che una breve visita al suo sito www.ruvuma.it servirà per sensibilizzare i lettori. E incoraggio chi vuole andare oltre a visitare la pagina delle donazioni (http://www.ruvuma.it/w/donazioni/)

Ma dicevamo del viaggio. Quella creatività che i Britanni di ieri come di oggi hanno lesinato nel trovare nomi geografici, è stata invece usata a piene mani per completare il percorso che unisce la Cornovaglia alla Scozia, ovvero la coda e la punta delle orecchie di quel coniglio che si riesce ad immaginare osservando, appunto con un po’ di fantasia, i contorni dell’isola. La traversata è stata fatta in tutte le maniere e con tutti i mezzi di locomozione possibili ed immaginabili e il libro Guinness dei record è pieno di casi omologati. Segue carrellata:

Porto la porta al porto. Poi torno.

Porto la porta al porto. Poi torno.

– A piedi (un mesetto)
– A piedi con una porta di legno sulle spalle
– A piedi completamente nudi
– Di corsa (9 giorni e due ore)
– Di corsa, ma correndo voltati all’indietro.
– In bicicletta (44 ore, 4 minuti e due secondi).
– In tandem, in monociclo, in triciclo e in pedalò
– In carrozzina da invalidi e in skateboard
– in moto, auto elettrica e ruspa Caterpillar
– Usando solo mezzi pubblici e in autostop
– Colpendo una pallina da golf lungo tutto il percorso, con annesso record di buca più lunga del mondo
– Spingendo un carrello della spesa
– Spingendo una lavatrice su ruote…

La fortuna è cieca, ma la sfida ci vede benissimo

La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo

Basta così?  O vogliamo parlare anche di quel poveretto che  a 500 metri dall’arrivo fa il fenomeno, carica la fidanzata sul manubrio, cade e non finisce la sua corsa perché finisce all’ospedale con un bel trauma cranico?

Ogni anno, le strade che Giulio Cesare progettò, Vespasiano costruì e Adriano difese si riempiono di umanità varia ed eventuale, che cerca con tutti i mezzi la consacrazione: uomini, donne, vecchi, giovani, bambini, professionisti, attori, atleti, nani, ballerine, celebrità ed emeriti sconosciuti. Sono stati segnalati anche UFO e legionari romani.
È giunta l’ora di mettere un po’ d’ordine.

Centurione Panzio Pelato, a rapporto!

La storia si ripete

La storia si ripete