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Sonata in Re maggiore per forcone

 

Ironbridge-Crewe. 46 miglia. 1-8-2013

Ironbridge-Crewe. 46 miglia. 1-8-2013

Ho deciso che la mia guida di viaggio non vale un fico secco, per cui stamattina ho fatto esattamente il contrario di quello che mi suggeriva. La questione riguarda sostanzialmente il tipo di strada da seguire, con la guida che regolarmente suggerisce le cosiddette strade minori, evitando quelle che da noi sarebbero le statali e le provinciali. Sulla carta tutto bene, ma nella pratica le strade minori presentano due grossi inconvenienti: sono mal segnalate, e soprattutto non hanno una corsia di emergenza o perlomeno uno spazio di sicurezza al lato della carreggiata.

Strada con siepi

Strada con siepi

Spesso, soprattutto in Cornovaglia, Devon e Somerset, la guida mi ha fatto percorrere le cosiddette “lanes”: si tratta di strade di campagna strettissime, con spazi appositi perché due macchine si possano dare strada. Se ci si incontra a metà, uno dei due deve fare marcia indietro. Ovviamente, se uno impara a guidare da queste parti saprà guidare in qualunque circostanza. Intendiamoci: queste “lanes” sono bellissime e decisamente caratteristiche del sud-ovest. Sono dei veri e propri monumenti storici, nel senso che tutte sono ultracentenarie, parecchie sono medievali e alcune risalgono addirittura a oltre 3.000 anni fa, cioè all’eta della pietra. Fondamentalmente si tratta di un terrapieno, a volte delimitato da un muro a secco, sul quale cresce fino ad una altezza di 2 o 3 metri una varietà incredibile di piante, fiori e arbusti, che costituiscono un vero e proprio paradiso della biodiversità. Vengono usate per definire le proprietà, delimitare i campi e impedire al bestiame di uscirne. Si calcola che nel solo Devon ce ne sia un totale di 53.000 chilometri! Sono praticamente sacre.

Spiraglio

Spiraglio

Però percorrerle in bicicletta è un altro paio di maniche. Seguono il contorno del terreno e di conseguenza sono piene di curve cieche e presentano pendenze assurde per un ciclista. E, come dicevo prima, sono pericolose, perché non permettono la visibilità e non lasciano spazio all’errore.

Per questo motivo, stamattina ho deciso che la mia sicurezza val bene il romanticismo delle “lanes” e ho preso una bella statale, con ampia carreggiata di emergenza, che per di più aveva l’innegabile vantaggio di essere livellata e di limitare i saliscendi al minimo indispensabile. L’unico inconveniente è stata, udite udite, una foratura. Ebbene sì, non ho forato una sola volta attraversando gli Stati Uniti, ma stamattina una sottile punta di acciaio è riuscita a oltrepassare il mezzo centimetro di corazza dei miei pneumatici e mi ha causato un’oretta di ritardo. Poco male.

Il primo ponte di ferro

Il primo ponte di ferro

Ero partito da Ironbridge, amena località che deriva il suo nome (Ponte di Ferro) dal fatto che proprio qui, sul fiume Severn, venne costruito nel 1779 il primo ponte di ferro della storia, consacrando in qualche maniera l’inizio della Rivoluzione industriale che, proprio con lo sviluppo della metallurgia su larga scala, ha rivoluzionato la storia dell’umanità.

Oggi, con la crisi conclamata dell’industria pesante, Ironbridge si è convertita soprattutto al turismo archeologico, con tutta una serie di attività musicali dedicate, che attirano nelle antiche fonderie una folla interessata di turisti e, in egual misura, di nostalgici.

Paesaggio idillico

Paesaggio idillico

Il punto d’arrivo della giornata, invece, è la cittadina di Crewe, nella contea del Cheshire. Occorre spendere due parole su questo posto, perché se appena appena accennate ad un inglese qualunque il nome di questa città, si metterà a ridere. Per un motivo che nessuno ha saputo spiegarmi, Crewe è diventata lo zimbello del paese, l’oggetto o almeno l’ambientazione di ogni barzelletta. Nessun inglese che si rispetti verrà mai da queste parti, se non per lavoro. Come turista, mai, e si può capire. Da quando ho lasciato il sud-ovest, la mia vita di ciclista è migliorata, ma il paesaggio è cambiato in peggio: colline basse, pianura noiosa, coltivazioni estensive di cereali, cittadine bruttarelle.

High street...

High street…

Non a caso, siamo nelle “Midlands” in quelle “terre di mezzo” che alternano grandi distese agricole a importanti concentrazioni urbane come quella di Birmingham, da dove sarò costretto a passare tra qualche giorno.
Comunque, sono arrivato da queste parti dopo un centinaio di chilometri fatti negli ultimi giorni costeggiando le rive del grande fiume Severn, e voglio vedere i lati positivi anche di Crewe. Certo, una città nata ufficialmente nell’ 800 come “colonia ferroviaria” non avrà mai un grande fascino storico-culturale, ma tant’è: accontentiamoci del fatto che è stata fabbrica delle Rolls Royce fino ad una decina di anni fa, mentre oggi produce esclusivamente le Bentley. Meglio di niente.

E poi sarei matto io...

E poi sarei matto io…

Chiudo con la spiegazione del titolo di questo post, che è una storia fra il simpatico e il demenziale, con forte propensione per il secondo. E questo è stato motivo sufficiente per farmi deviare dal percorso previsto.
A pochi chilometri da Crewe c’è un villaggio residenziale che va sotto il nome di Walliston.
E cosa si sono inventati gli astuti abitanti di questo posto, che altrimenti sarebbe originale come una giornata di pioggia?

Dal 1980, in un campo che appartiene alla locale scuola elementare, qui si tiene il campionato mondiale degli incantatori di vermi. Oh, yes!

Il quadrato magico

Il quadrato magico

Ad ognuno dei 144 concorrenti viene assegnato con sorteggio un appezzamento di terreno di tre metri per tre. L’obiettivo è quello di far uscire dal terreno e catturare il numero più alto possibile di vermi usando ogni tipo di “musica”, cioè di vibrazione. Nel corso degli anni, lo strumento più efficace si è rivelato essere il forcone, o forcale che dir si voglia, con tre o quattro denti. A questo punto, è la tecnica individuale, affinata in lunghi mesi di esercizio, che prende il sopravvento.

C’è chi pianta i rebbi nel terreno per una quindicina di centimetri e li percuote con un diapason, c’è chi percuote ritmicamente il manico del forcone con oggetti diversi, c’è chi “suona” il manico come se fosse la corda di un violoncello, c’è chi pianta i picchetti di una tenda e “suona” i tiranti… Durante i 30 minuti di gara, salvo supplementari in caso di parità, i vermi vengono fuori di corsa perché pensano stia suonando l’allarme atomico. Insomma, spazio alla creatività e… vai col liscio!

Bracconiere

Bracconiere

Il regolamento ufficiale prevede regole e sanzioni. Vieta ad esempio lo spargimento di acqua sul terreno: è considerato doping.
E i concorrenti schifiltosi che non vogliono toccare i vermi, possono nominare un assistente, un accalappiavermi, per così dire!

Qualche statistica:
Record mondiale per il numero di vermi catturati: 567 (anno 2009)
Record mondiale per il verme più pesante: 12,08 grammi (anno 2011)

 

Il ricco premio

Il ricco premio

Il WWF ha cercato inutilmente di bloccare il campionato, sostenendo che i vermi subiscono un trauma acuto ai loro organi, pur primitivi, preposti all’udito. Tra i postumi accertati sugli esemplari esaminati, il WWF segnala casi di cefalea, insonnia, tachicardia, attacchi di panico, gastriti, stanchezza acuta, irritabilità e difficoltà di concentrazione.

La giuria popolare ha abbozzato. Ha rigettato il ricorso del WWF, stabilendo al contempo che i vermi “incantati” vanno liberati la sera stessa della gara, però al tramonto, dopo che pollame e uccelli si sono appollaiati per la notte.

Se no, sai che festino!

Dulcis in fundo

Dulcis in fundo

Ps: Sul caso del ricorso in Cassazione contro la condanna della “pork pie” per frode alimentare, la Corte, pur considerando che quella artigianale è migliore, ha confermato la condanna a quattro anni. Quanto alla pena accessoria dell’interdizione dalla pubblica esposizione in vetrina, il giudizio è rinviato.

Caviale a sbafo

 

Mentre mi appresto, dopo un giorno di riposo nella magnifica città di Wells, a completare il mio trittico di regioni del sud-ovest dell’Inghilterra e a virare verso il centro-nord, qualche considerazione si impone su ciò che, sia pur frettolosamente, ho visto in questa prima settimana di viaggio.

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Dico anzitutto che per chi ama la natura e ha un’idea romantica della campagna, Cornovaglia, Devon e Somerset sono, ciascuno alla sua maniera, regioni da non perdere; e non a caso, soprattutto le prime due d’estate raddoppiano praticamente la loro popolazione.

Surfisti allo sbaraglio

Surfisti allo sbaraglio

L’impressione che ho avuto partendo dalla costa e muovendo verso l’interno, è stata quella di visitare due paesi diversi. Sono partito dalle città della costa atlantica: qui si riversano soprattutto giovani, artisti e famiglie. I primi sono in genere surfisti alla ricerca di emozioni forti, che catturano le onde dell’oceano e volteggiano, in piedi, accucciati o stesi sulla pancia, con ogni genere di tavola: da surf, a vela, attaccata a un paracadute o a un aquilone. Per chi come me non sa nemmeno nuotare, è uno spettacolo bello ma incomprensibile, anche perché ogni volta che sento la parola tavola a me viene semplicemente l’acquolina in bocca.

Surfing in the rain

Surfing in the rain

Poi dicevamo degli artisti, pittori in particolare. Ora, a me le cittadine costiere della Cornovaglia sono sembrate tutte molto simili come struttura, salvo avere diversi gradi di eleganza estetica. A voler essere brutali, Newquay è abbastanza orrenda, mentre Padstow è carinissima. Ce n’è una però, St. Yves, che merita un discorso a parte, perché la popolazione è fatta soprattutto di artisti, che sostengono che qui la luce ha una qualità tutta speciale. Ammetto di non saper fare una “o” con un bicchiere, quindi avrei bisogno di un fotometro per capire in cosa la luce di St. Yves sia diversa dal resto del mondo. Ma da bravo cinico, ho come la sensazione che giochino altri fattori.

Alfred (the Great?)

Alfred (the Great?)

Sembra che la moda dei pittori sia nata negli anni ’20, quando un tale Alfred Wallis, dopo aver fatto il pescatore tutta la vita, decise a 67 anni che si faceva meno fatica a dipingere i pesci come autodidatta che a prenderli con la rete alzandosi alle tre ogni mattina. E si guadagnava anche di più.
Da allora, St. Yves è diventata una vera e propria colonia di artisti, con decine e decine di gallerie d’arte che ingentiliscono le case di pietra del borgo e riempiono di colore le sue stradine scoscese. Addirittura, la Tate Gallery di Londra ha aperto una succursale di fronte alla spiaggia, dove espone collezioni di arte prevalentemente moderna e prodotta in loco.

La terza componente della fauna turistica costiera sono le famiglie, che durante i mesi della transumanza dalle città, luglio e agosto, non esitano a invadere campeggi e pensioni bed and breakfast con il miraggio della vacanza a buon prezzo, degli spettacoli di burattini per i pargoli e con la garanzia assoluta di trovare ogni cento metri un posticino che vende l’altro grande mito gastronomico del paese, il “fish and chips”, cioè pesce impanato e fritto (merluzzo, quando va bene), con ampio contorno di patate fritte tagliate grosse, sale e aceto a gogo e succulenti piselli bolliti per pulire il palato.

Balanzone, Arlecchino o Pulcinella?

Balanzone, Arlecchino o Pulcinella?

Pensate che ogni anno c’è un concorso nazionale che premia i migliori “fish and chip shop”. Il bello è che due anni fa l’ha vinto una famiglia di italiani emigrati da generazioni in Scozia: secondo me, hanno usato l’accento balsamico…

Se l’atmosfera di questi posti sull’oceano è un po’ la stessa di quando andavo in colonia da bambino, lo stesso non mi è sembrato delle zone dell’interno, dove un turismo meno in vena di mare, arte e caciara, si abbandona alla suggestione veramente rustica dei luoghi, alla forza primordiale dei paesaggi boschivi e alla rarità del silenzio delle brughiere. Costeggiando i mille chilometri quadrati della brughiera di Dartmoor, si vede come questa zona superprotetta sia ancora oggi quasi disabitata, brulla, immensa, punteggiata di inquietanti resti neolitici e misteriose file di pietre rozzamente intagliate.
A scanso di equivoci, ho tenuto pronto il mio “dog dazer”, l’aggeggio elettronico che spara frequenze per tenere a bada i cani randagi, ma il dubbio rimane: e se saltava fuori il “Mastino dei Baskerville”?

Home sweet home

Home sweet home

Qui si trovano gli amanti delle passeggiate nella natura, così come i difensori ad oltranza del diritto di passaggio, che qualche agricoltore o allevatore vedrebbe volentieri limitato. I villaggi dell’interno sono spesso ridotti a poche case, a volte a sole seconde case, per cui l’attività economica stenta a sopravvivere. Per questo motivo, non è raro incontrare uffici postali che, come quello in cui mi sono fermato a chiedere indicazioni, oltre ad offrire francobolli e raccomandate, vendono anche giornali, generi di conforto ad alto tenore zuccherino, prodotti per la casa, zappe, vanghe e sementi, birra e sidro. La lista non è esaustiva.

Chiudo la carrellata turistica, dicendo che se le case con i tetti di paglia sono la caratteristica più giustamente nota del Devon, la regione del Somerset rimane molto sottovalutata. Sono passato per Glastonbury e Wells, ho purtroppo solo sfiorato Bath, ma mi capiterà di dire qualcosa su ognuna di esse.

Ufficio postale tuttofare

Ufficio postale tuttofare – Vendesi bici d’importazione semi nuova

Dimenticavo un aneddoto. Parlando di fish and chips dicevo che di solito il pesce usato è merluzzo o qualche pesce simile come gusto e consistenza. Ma una cosa è assolutamente certa: accanto alle patate non si potrà mai usare carne di balena, di delfino, di lemure o di storione. Forse perché sono specie protette? Certo, ma non solo. Il vero motivo è che dai primi anni del 1300 uno statuto attribuisce la proprietà esclusiva di queste quattro specie alla casa reale. Henry of Bracton, un famoso esperto di diritto che alla fine del ‘200 esercitò la giustizia nelle tre regioni che ho attraversato e oggi è sepolto nella navata della cattedrale di Exeter, ebbe a scrivere: “de balena vero sufficit . . . si rex habeat caput, et regina caudam” , cioè la testa della balena per il re e la coda per la regina, con la spiegazione che quest’ultima si sarebbe servita delle ossa della coda come stecche per i suoi preziosi busti e corsetti. Non è dato sapere cosa se ne facesse il re della testa della balena. Visto il livello di follia, la mia idea è che usasse i fanoni come stuzzicadenti, ma chissà!

Storia, storia cita o storione?

Storia, storiaccia o storione?

Uno che ha scoperto questo statuto a sue spese alcuni anni fa, è un pescatore gallese, che ha cercato di vendere all’asta uno dei rarissimi storioni (6 all’anno in media) che si pescano negli estuari. Una bella bestia di 120 chili che gli avrebbe fruttato qualche migliaio di sterline. Peccato che la legittima proprietaria coronata non fosse stata informata. E così, la preda del secolo si è trasformata in una colossale fregatura. La Regina ha graziosamente declinato il pesce, con annesso caviale (bontà sua), ma lo storione è finito al museo di scienze naturali in quanto specie protetta!
Che storia.

Anzi, che storione!

… e whiskey dopo i pasty !

Il post di ieri sul “fudge” ha creato una lotta serrata fra detrattori e sostenitori della caramella Mou, con l’intera tifoseria interista schierata a favore, perché solo a sentire la parola Mou torna in mente l’artefice del mirabolante “triplete”.
Ma mettiamo i sogni nel cassetto e continuiamo la carrellata di specialità gastronomiche della Cornovaglia. Il giro è presto fatto, perché sono due in tutto: la “double cream” e il “pasty”.

Il dizionario Collins traduce “double cream” con panna da cucina. Forse è giusto, ma non mi piace, perché non rende giustizia al mito di questa “panna doppia”, o “panna pesante”, come la chiamano gli americani. Come consistenza fa pensare al nostro mascarpone, e al palato è semplicemente voluttuosa, forse perché la materia grassa sfiora il 50%.

Gnam gnam

Gnam gnam

Nonostante i tentativi di usarla in altre ricette, la “double cream” dà il massimo nel rito del tè, che non a caso da queste parti diventa un “cream tea”. Per chi non lo avesse mai provato, funziona così: vengono servite due focaccine (in inglese di chiamano “scones”) piuttosto insipide, che hanno la consistenza di una nostra ciambella. L’idea è che si imburrano le focacce, si tappezzano di marmellata di fragole e si ricopre il tutto con “double cream”. Il risultato è una esplosione eccezionale di sapori, però bisogna dimenticare le ultime analisi e le raccomandazioni del medico: della serie “meglio un giorno da leoni”…

Fabbrica di double cream

Fabbrica di double cream

Purtroppo non posso essere così elogiativo nei confronti del “pasty”. Intanto, cos’è?
Ha la forma e le dimensioni di un crescione, ma le somiglianze finiscono lì.
L’involucro è ottenuto mischiando farina, margarina, lardo e acqua. Lo si riempie con una combinazione di cipolla, scalogno, porri, rape, patate e carne di manzo tritata.

Praticamente è un crescione di stufato. Se proprio si deve, meglio consumarlo di mattina, perché la permanenza sullo stomaco può durare ore e la sensazione di pesantezza darebbe insonnia. Incredibilmente, però, il “pasty” è il prodotto principe delle esportazioni della Cornovaglia e la pietanza culto della Regione. Nel libro dei record ce n’è uno che pesa 850 chili.

... for ever...

… for ever…

Era il piatto forte dei minatori, che però mangiavano solo il ripieno e gettavano la crosta esterna, per non ingurgitare le sostanze chimiche e velenose che ricoprivano guanti e mani. Pensate che dall’inizio del ‘900 ( quando metà dello stagno mondiale era estratto da queste parti!), ogni volta che la squadra di rugby della Cornovaglia gioca una partita importante, sopra la traversa della meta viene issato un “pasty” portafortuna gigantesco. Il bello è che non è un “pasty” qualunque: è sempre lo stesso dal 1908!
E poi dicono che gli italiani sono superstiziosi…

Si pronuncia come il plurale di pasto. E vale altrettanto.

Si pronuncia come il plurale di pasto. E vale altrettanto.

I riferimenti nel titolo odierno a sidro, vino e whiskey non sono casuali, perché, con grande sorpresa, ho scoperto che la Cornovaglia li produce tutti e tre.
Niente da dire sul sidro, che è un prodotto eccellente, da gustare fresco e frizzante per apprezzarne aroma e gusto, non importa se alla base ci siano le mele o le pere. Si raccomanda comunque moderazione, perché ha un tenore alcolico che va dal 5 al 7% e si serve in bottiglie da mezzo litro. Non so se mi capisco…

Il vino è una storia recente, diciamo dagli anni ’80. Certo, il terreno è lo stesso della Champagne e le varietà di uva sono adattate al clima di queste parti. Certo, qui è permesso zuccherare il mosto per aumentare il grado alcolico. Certo, mi è capitato di offrire a cena vino inglese ad ospiti ignari, coprendo l’etichetta per fare una sorpresa… Resta il fatto, però, che il risultato non mi convince ancora. Ieri mattina stavo per visitare una cantina, la Camelvalley Vinery, ma ho rinunciato perché rischiavo di far tardi. Per scrupolo, mi impegno a tornarci una volta che ripasso in macchina da queste parti. Ma non mi aspetto miracoli; anzi, temo la fregatura, da quando ho visto che uno dei vini è intitolato ad uno chef francese che un giorno sì è l’altro pure compare in tv con le sue ricette “creative”. È il fenomeno dei cosiddetti “celebrity chefs”, su cui tornerò un altro giorno.

Ottimo dopo i pasty

Ottimo dopo i pasty

E il whiskey? Intanto si scrive con una “e” per distinguerlo da quello scozzese. Poi esiste solo da 10 anni e costa 175 sterline per una bottiglia da 500cc. Scusate il disturbo! Ma forse il prezzo così salato si giustifica con il fatto che è l’unica bevanda al mondo che riesce a far digerire un “pasty”.
Sono certo che Carlo e Camilla, che detengono i prestigiosi titoli di Duca e Duchessa di Cornovaglia, non esiteranno a regalarne almeno una bottiglia al neonato nipotino, acquisito o meno che sia. Dopotutto è una tradizione cornica, cornica in tutti i sensi.

Sterline al vento...

Sterline al vento…

A proposito, nel mio piccolo esprimo profonda indignazione per la scelta del nome George. Ma come? La fantasia si ferma al nome del nonno? E pensare che il mio cavallo di battaglia, Alfred, con uno scatto di reni era sceso a 33:1 nelle ultime quotazioni degli allibratori. Ieri sera, forse annebbiato dalla stanchezza e dalle salite, ho addirittura scommesso su quel nome la bellezza di 10 sterline. Se le cose fossero andate bene, avrei organizzato una festa in piazza a Cotignola: “anti-pasty e pasty-ccini” per tutti. E come dolce, “fudge” coperto di “double cream”. Il tutto innaffiato di sidro e vino di Cornovaglia. Whiskey come digestivo. Cotignola non è un paese per stomaci deboli.

Fra tutte le reazioni più o meno scomposte alla nascita dell’erede al trono, chiudo citandone due, che secondo me esemplificano da un lato l’amore di tutto un popolo per la monarchia e dall’altra la sua fenomenale indole dissacratrice.

– Un settimanale satirico ha titolato a tutta pagina: “Donna partorisce un figlio”.
– Invece il quotidiano “the Sun” ha cambiato il suo nome per un giorno in “The son”, giocando sul l’identità di pronuncia dei due termini.

Sarebbe come se, in Italia, Giuliano Ferrara avesse chiamato il suo giornale: “il Figlio”.

Gioco di parole

Gioco di parole

Ps: Domani giornata pesante. Si prevedono salite e pioggia. Il blog probabilmente salterà un giorno.

La fine della terra ?

Per capire che posto è Land’s End bisogna andarci, nel senso che è varie cose allo stesso tempo. Anzitutto è un angolo meraviglioso della Cornovaglia, situato proprio all’estremità di quella lunga penisola di granito che più o meno dappertutto strapiomba sull’oceano, lasciando pochissimo spazio alla spiaggia sabbiosa a cui sono abituato io. È un luogo protetto dal punto di vista ambientale, come del resto protetta è tutta la costa, dove si susseguono aree di interesse paesaggistico e faunistico, la cui tutela è affidata al National Trust, organizzazione potentissima a cui sono iscritti moltissimi britannici, che non esitano a sborsare una quarantina di sterline all’anno per proteggere monumenti, giardini, coste, palazzi e tesori assortiti.

Lontano lontano, la Statua della Libertà

Lontano lontano, la Statua della Libertà

È interessante osservare come la comune origine celtica abbia lasciato tracce importanti nella toponomastica di questa zona e del suo dirimpettaio francese: se da una parte abbiamo Land’s End, di fronte c’è il dipartimento di Finistère, dove le due parole significano la stessa cosa, cioè la fine della terra (il nostro latino “Finis terrae”). E anche i francesi vantano una regione della Bretagna che si chiama Cornovaglia. O forse Bretagna e Gran Bretagna non hanno nulla in comune?

Monte San Michele, Mont Saint-Michel o St. Michael's Mount?

Monte San Michele, Mont Saint-Michel o St. Michael’s Mount?

Il massimo l’ho visto questa mattina: di fronte alla località balneare di Marazion c’e un’isola che si può raggiungere a piedi durante la bassa marea. Ricorda in maniera impressionante un isolotto analogo al largo della costa normanna e guarda un po’: uno si chiama St. Michael’s Mount e l’altro si chiama Mont Saint-Michel. E un po’ di fantasia mai?

Ma dicevamo di Land’s End, che è anche, senza alcun dubbio, una fiorente impresa commerciale. Da un lato c’è una accozzaglia di negozi-trappola per turisti che vendono souvenir e prodotti gastronomici locali (sic), ma almeno sono nascosti alla vista da un bel muro bianco che non stona col paesaggio. Dall’altra c’è un albergo assolutamente valido, che offre un tocco di classe notevole: il letto delle camere che si affacciano sull’oceano è alto almeno un metro e venti e solo svegliandomi questa mattina, dopo aver rischiato di precipitare al suolo per tutta la notte, ho capito il perché: si può fare colazione appoggiando la schiena al cuscino e da lì, come novelli satrapi, si è più alti della finestra e si vede il mare in tutta la sua immensità. A queste condizioni, si perdona anche il fatto che il caffè che ti portano è semplicemente spaventoso.

Distanze in miglia

Distanze in miglia

Poi c’è il massimo del kitsch, a cui però nessuno, turista o ciclista che sia, ha la forza di opporsi: è la foto di rito davanti al palo che dà la distanza fra Land’s End e qualsiasi località al mondo. Ciò è possibile perché, dietro lauto compenso, il fotografo ufficiale compone il nome e la distanza della località che si vuole, scatta la foto e la spedisce a casa per posta. Avendo il sottoscritto già sborsato congruo balzello a sua maestà il fotografo, costui, unico autorizzato a scattare foto al palo chilometrico, ha accettato di fare una foto anche con la mia spregevole macchinetta digitale, e il risultato eccolo qua.

“Last, but not least, c’è un mini museo, che racconta ed enfatizza la storia dell’ End to end, cioè del viaggio che ho appena cominciato anch’io. Come museo non vale un fico secco, però serve per far capire una cosa che avevo sottovalutato, e cioè come questo viaggio sia diventato con il passare degli anni una vera e propria istituzione del paese, una specie di rito iniziatico per alcuni, una sfida con se stessi per altri e una occasione di fare beneficenza per la stragrande maggioranza dei partecipanti, che raccolgono fondi per iniziative caritatevoli.

A questo proposito, apro una parentesi per ricordare che, come nel caso del coast-to-coast americano del 2010, anche questa mia pazzia attuale vuole essere una maniera per aiutare Ruvuma onlus, una associazione di volontari che gestiscono un ospedale in Tanzania.

 

Diamo una mano!

Diamo una mano!

Spero che una breve visita al suo sito www.ruvuma.it servirà per sensibilizzare i lettori. E incoraggio chi vuole andare oltre a visitare la pagina delle donazioni (http://www.ruvuma.it/w/donazioni/)

Ma dicevamo del viaggio. Quella creatività che i Britanni di ieri come di oggi hanno lesinato nel trovare nomi geografici, è stata invece usata a piene mani per completare il percorso che unisce la Cornovaglia alla Scozia, ovvero la coda e la punta delle orecchie di quel coniglio che si riesce ad immaginare osservando, appunto con un po’ di fantasia, i contorni dell’isola. La traversata è stata fatta in tutte le maniere e con tutti i mezzi di locomozione possibili ed immaginabili e il libro Guinness dei record è pieno di casi omologati. Segue carrellata:

Porto la porta al porto. Poi torno.

Porto la porta al porto. Poi torno.

– A piedi (un mesetto)
– A piedi con una porta di legno sulle spalle
– A piedi completamente nudi
– Di corsa (9 giorni e due ore)
– Di corsa, ma correndo voltati all’indietro.
– In bicicletta (44 ore, 4 minuti e due secondi).
– In tandem, in monociclo, in triciclo e in pedalò
– In carrozzina da invalidi e in skateboard
– in moto, auto elettrica e ruspa Caterpillar
– Usando solo mezzi pubblici e in autostop
– Colpendo una pallina da golf lungo tutto il percorso, con annesso record di buca più lunga del mondo
– Spingendo un carrello della spesa
– Spingendo una lavatrice su ruote…

La fortuna è cieca, ma la sfida ci vede benissimo

La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo

Basta così?  O vogliamo parlare anche di quel poveretto che  a 500 metri dall’arrivo fa il fenomeno, carica la fidanzata sul manubrio, cade e non finisce la sua corsa perché finisce all’ospedale con un bel trauma cranico?

Ogni anno, le strade che Giulio Cesare progettò, Vespasiano costruì e Adriano difese si riempiono di umanità varia ed eventuale, che cerca con tutti i mezzi la consacrazione: uomini, donne, vecchi, giovani, bambini, professionisti, attori, atleti, nani, ballerine, celebrità ed emeriti sconosciuti. Sono stati segnalati anche UFO e legionari romani.
È giunta l’ora di mettere un po’ d’ordine.

Centurione Panzio Pelato, a rapporto!

La storia si ripete

La storia si ripete

 

Per Toutatis

Ricordo che quando al liceo il professore decideva di assegnarci come compito in classe una versione dal latino tratta dal “De bello gallico” di Cesare, un brusio di approvazione e di sollievo percorreva la scolaresca tutta. Il motivo è presto detto: sarebbe stata una versione facile, perché nella sua opera sicuramente più conosciuta Cesare usa una prosa chiara, lineare (oggi la definiremmo sobria), priva delle difficoltà e dei trabocchetti linguistici tipici di tanti autori classici. Poi c’era il vantaggio che si sapeva già come andava finire, nel senso che, come per gli eroi dei fumetti, alla fine vinceva sempre lui. Il fatto poi che scrivesse di sé sempre alla terza persona col pretesto di farsi spettatore delle proprie gesta, era un vezzo che gli perdonavamo volentieri.

Forza  Panzio

Forza Panzio

Il motivo di questa lunga premessa sta nel fatto che i libri IV e V del “De bello” sono in gran parte dedicati alle sue due spedizioni in Britannia. Oltre a magnificare le gesta militari con cui stabilisce una prima forma di controllo sulla parte sud-orientale del paese, Cesare si dedica a qualche considerazione sul popolo che sta affrontando e sul territorio che abita, con enfasi particolare sul tempo atmosferico, che da solo gli causa più perdite del nemico.
Riporto di seguito qualche estratto a mio modo di vedere significativo:

“Tra tutti i popoli della Britannia, i più civili in assoluto sono gli abitanti del Canzio (Kent), una regione completamente marittima non molto dissimile per usi e costumi dalla Gallia. Gli abitanti dell’interno, per la maggior parte, non seminano grano, ma si nutrono di latte e carne e si vestono di pelli. Tutti i Britanni, poi, si tingono col guado, che produce un colore turchino, e perciò in battaglia il loro aspetto è ancor più terrificante; portano i capelli lunghi e si radono in ogni parte del corpo, a eccezione della testa e del labbro superiore. Hanno le donne in comune, vivendo in gruppi di dieci o dodici, soprattutto fratelli con fratelli e genitori con figli; se nascono dei bambini, sono considerati figli dell’uomo che per primo si è unito alla donna…(libro V, 14)”

Nell’interno…ritengono empio assaggiare lepri, galline e oche; tuttavia le allevano per proprio diletto (voluptatis causa)… (libro V,12,6)

Seguirono parecchi giorni di ininterrotti temporali… (libro IV, 34,4)

La notte precedente era scoppiata una furiosa tempesta… (libro V 10,2)

Considerando la perdita di parecchi vascelli in seguito alla tempesta…(libro V, 23,2)

A metà di questo tragitto si trova un’isola di nome Mona… (libro V,13,3)

Panzio vede per la prima volta un Britanno nudo che lo attacca

Panzio vede per la prima volta un Britanno nudo che lo attacca

Ebbene, a più di duemila anni dal primo sbarco di Cesare, gli storici continuano ad interrogarsi sui cinque grandi misteri che ancora avvolgono la vita, gli usi e i bizzarri costumi di questa popolazione celtica:

Ammesso che le lepri servissero per scommettere sulle corse dei cani levrieri, cosa vuol dirci Cesare con “allevano oche e galline per proprio diletto (voluptatis causa)”?Parla delle penne che ornavano i cappellini delle regine tribali, o allude a pratiche di accoppiamento inconfessabili?
I capi tribù avevano il sangue blu perché si iniettavano il guado direttamente in vena, invece di spalmarselo?
E quando Augusto Daolio dei Nomadi cantava “Cielo grande, cielo blu”, riprendeva forse l’agghiacciante urlo di guerra dei Britanni: “Ce l’ho grande, ce l’ho blu”?
Guerrieri e casalinghe si depilavano usando una spada affilata (God shave the Queen) o si facevano la ceretta con strappo brutale?
I Celti che battezzarono l’isola di “Mona” erano di origine veneta o triestina?

Rarissima iscrizione celtica

Rarissima iscrizione celtica

Poi, fuori concorso, c’è la madre di tutti i misteri della storia: “Ma chi glielo ha fatto fare, a uno scaltro e prudente come Cesare, di invadere un paese dove, quando va bene, piove un giorno sì e l’altro pure, e quando non piove grandina?”

Alla stessa maniera, dopo che la Britannia ha goduto, dal 54 a.C. in poi, di oltre 400 anni di educazione gratuita alla civiltà romana e di altri 1600 anni di apprendimento a distanza, è giunto il momento di trovare risposta a cinque grandi domande, che potrebbero cambiare il corso delle nostre relazioni diplomatiche e commerciali con la odierna Albione. Eccole.

I Britanni del terzo millennio:

Si nutrono ancora di solo latte e carne o si sono convertiti alla dieta mediterranea?
Si vestono ancora di pelli o si sono evoluti verso il Made in Italy?
Si tingono ancora la pelle col guado per non bruciarsi a Ibiza, o lo usano solo per i tatuaggi?
Portano ancora i capelli lunghi e i baffi come Jesus Christ Superstar, o imitano Crozza?
Mettono ancora le donne in comune, o si limitano ad invitarle a cene eleganti?

Ecco, la riconquista della Britannia parte da qui.

Monumento a Alfredo Oriani

Monumento a Alfredo Oriani

Il poeta e mio conterraneo Alfredo Oriani, il cui monumento fa bella mostra di sé sul Colle Oppio a Roma, fu autore tra le altre cose di uno dei primi libri sul viaggio a due ruote: (La bicicletta, 1902). Scriveva Oriani: “Cento libri non vi daranno di un popolo quella conoscenza che otterrete consultandolo a viva voce in un mese…”

 

Brughiera di sera, bel tempo si spera

Brughiera di sera, bel tempo si spera

È esattamente quello che conto di fare a partire da domattina. Messe da parte le mie ricostruzioni storiche più o meno sgangherate e le velleità scherzose di riconquista “romana” mi inoltrerò in queste lande, novello Panzio Pelato appesantito e fuori forma, lungo strade secondarie, il più possibile lontane dal cuore pulsante e cosmopolita di Londra. Il mio vuole essere un semplice itinerario di scoperta, dettato dal caso e da una piccola guida cartacea, che ogni giorno mi aiuteranno a scegliere una strada, anzi, la mia strada. Spero di riuscire a conoscere un po’ meglio questo paese a cui devo già molto per motivi personali e che, a occhio e croce, ha molte cose da raccontarmi e da insegnarmi. Magari non nel campo della gastronomia (vedremo!), ma di sicuro in materia di tolleranza, di rispetto della persona e di difesa della natura.

God save the Queen. E anche Freddy Mercury.