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…Vanilla fudge.

Un killer si aggira per la Cornovaglia, indisturbato. Per i suoi misfatti predilige i negozi che vendono paccottiglia per turisti, ma è stato avvistato anche in ambienti più raffinati e non disdegna i ristoranti. Alla polizia sono giunte segnalazioni persino dall’aeroporto, ma lui continua ad eludere l’arresto.
Dicono sia nato in America e la traduzione del suo nome è tutto un programma: “to fudge” significa “ingannare, falsificare, svicolare…”
Si pronuncia come le prime tre lettere della parola italiana “fagiano”, ma le affinità finiscono qui. Addirittura, nell’anno 1966 d.C. un gruppo musicale psichedelico americano (quello che allora si chiamava un “complesso”), scelse di chiamarsi con il suo nome (Vanilla Fudge) e raggiunse una discreta celebrità, con pezzi mitici come “Some velvet morning” e pezzi terrificanti come “Bang bang, you shot me down”, che nel corso dei decenni ha comunque conosciuto versioni a raffica con tanto di traduzione, da Mina all’Equipe 84, da Dalida a (incredibile) Iggy Pop, indiscusso proto-re del punk.

Wanted

Wanted

Ma non divaghiamo. In realtà il fudge è spacciato come un dolce. La cosa che più gli assomiglia è il caramello, anzi è caramello con la consistenza della gomma americana.
È un killer perché basta guardarlo e si prende il diabete.
Non è un cubo di zucchero. È zucchero al cubo, anzi all’ennesima potenza!
Gi ingredienti sono i soliti ignoti, cioè zucchero, burro e latte, riscaldati e sbattuti fino a raggiungere la consistenza e l’elasticità di una palla da tennis. Per buona misura, agli americani succede di aggiungerci anche un po’ di sciroppo di acero. L’aggettivo giusto per descriverlo è stucchevole, nel senso che dopo due assaggi diventa insopportabile, e per di più, come lo stucco, una volta in bocca diventa mammozzone appiccicoso che ti rimane incollato alla volta del palato e minaccia seriamente la saldezza delle otturazioni dentarie.

Frutta e verdura a babordo!

Frutta e verdura a babordo!

Perché ne parlo? Perché partendo di domenica mattina con vento forza 8 in faccia, sono arrivato ad ora di pranzo affamato come un lupo, ed è in quel preciso momento che ho capito la prima grossa differenza tra Londra (e ogni altra città del paese) e la Cornovaglia, ovvero la campagna inglese in genere: i supermercati (e i negozi di alimentari, sempre che esistano ancora), chiudono alle 5 di sera e soprattutto restano chiusi la domenica. Risultato: dopo una mezzora di ricerca in tutta Marazion, amena località costiera in cui i turisti vanno per soddisfare il loro istinto masochista, ho trovato un solo negozietto aperto che vendeva esclusivamente souvenir, gelato e fudge. Alla sera, il cardio-frequenzimetro aveva un bel dirmi che avevo consumato 6.000 calorie; non sapeva che con due morsi di fudge ne avevo assunto almeno il doppio!

Dopo questa esperienza, ho deciso di conservare il pezzo di fudge che mi rimane (vedi foto) fino alla fine del viaggio e oltre. Gli usi possibili sono molteplici: riparazione di pneumatico della bici in caso di foratura, riserva alimentare in caso di attacco sudcoreano prolungato, succedaneo della colla e del silicone per ripiastrellare il bagno, paraurti o casco di protezione, trafilatura per uso “bungee jumping” (in italiano, salto con l’elastico), e molti ancora.

St. Enodoc

St. Enodoc

Ma lasciamo da parte l’ironia sulle specialità corniche, per dire qualcosa sull’aspetto paesaggistico, che, per fortuna, mi ha ripagato abbondantemente delle disgrazie del palato. Un esempio valga per tutti: la chiesetta di Saint Enodoc, con annesso cimitero che da un lato raccoglie alla rinfusa lapidi dal 17.o secolo in poi, e dall’altro accoglie quella che ricorda Sir John Betjeman, che fino al 1984 è stato uno dei più amati “poeti di corte”, e che qui aveva scelto di vivere gli ultimi anni della sua vita e chissà quanti del suo prosieguo.

Rest in peace

Rest in peace, Sir John

Betjeman, pur essendo nato a Londra da una famiglia di antiche origini olandesi, amava la Cornovaglia, il vicino villaggio di Trebetherick, dove abitava, e questa meravigliosa chiesetta risalente al 12.o secolo, oggi anglicana, semi sepolta nelle dune e con il tetto a forma di cono storto, dove risuona una campana sopravvissuta al naufragio secoli fa di una nave italiana, chiamata “Immacolata” e proveniente da Barletta.
Nelle sue poesie i riferimenti alla regione, al villaggio e alla chiesa sono innumerevoli: “Blessed be St Enodoc, blessed be the wave…” recita un verso della sua poesia “Trebetherick”.

Il cono di Pisa

Il cono di Pisa

A parte il rispetto che si deve alla sua figura, mi corre però l’obbligo di precisare che il titolo ufficiale di Betjeman era “poet laureate”, che io ho approssimativamente tradotto con “poeta di corte”. Il fatto che fosse laureato non c’entra niente: rientra solo nella lunghissima lista delle parole ingannevoli che i traduttori conoscono bene, i cosiddetti “falsi amici”.

Ma la figura stessa di “poet laureate” rappresenta una di quelle tradizioni che un italiano come me considera a metà fra l’inutile e il ridicolo, ma che in realtà costituiscono una piccola parte, irripetibile e non condivisibile con altri, della identità profonda di un suddito di Sua Maestà, del suo essere inglese, o meglio britannico.
Perché, cosa fa un “poeta laureato” ? Conduce la sua vita normale, in genere scrive per mestiere, ma tecnicamente il prestigioso incarico, conferito dal sovrano fin dal 1700 e che dura a vita, non comporta nessun obbligo formale. L’unica cosa che ci si aspetta è che il poeta componga dei versi (si spera indimenticabili) nelle occasioni di “rilievo nazionale”.

Paesaggio cornico

Paesaggio cornico

Resto in attesa trepidante, per vedere se la nascita di Ciro Emilio Alfred Windsor, terzo in linea di successione al trono, meriterà adeguata produzione poetica! Tutto dipenderà dallo stato di sobrietà in cui si troverà l’attuale poeta, anzi poetessa, Carol Ann Duffy, che assomma tre record nella sua persona: è la prima donna poeta di corte, è la prima scozzese ed è la prima dichiaratamente gay. Fin qua tutto bene: il problema è che la ricompensa annuale (attenzione: annuale) per questa carica reale consiste in appena 5.000 sterline, accompagnate però da 477 litri di sherry!

Speriamo che Carol sia astemia, o al povero Ciro potrebbe toccare una strana ninna nanna:

Nonostante il capogiro
Riesco a prendere la biro.
Scrivo a getto un elzeviro
Dedicato al nostro Ciro
Che già dorme come un ghiro,
Manco fosse un fachiro.
Ninna nanna, ninna è
Che un bel giorno sarai re!

Ps: Chiedo scusa per il fatto che non rispondo agli innumerevoli messaggi e commenti che ricevo. In realtà, avrete capito che quando arrivo a destinazione la sera sono piuttosto cotto e passo il tempo a mettere in ordine i deliri pensati durante il giorno. Ma vi prego, continuate a scrivere, per me è un grande incoraggiamento. E con queste salite, ne ho proprio bisogno:-). E adesso sta pure piovendo…

La fine della terra ?

Per capire che posto è Land’s End bisogna andarci, nel senso che è varie cose allo stesso tempo. Anzitutto è un angolo meraviglioso della Cornovaglia, situato proprio all’estremità di quella lunga penisola di granito che più o meno dappertutto strapiomba sull’oceano, lasciando pochissimo spazio alla spiaggia sabbiosa a cui sono abituato io. È un luogo protetto dal punto di vista ambientale, come del resto protetta è tutta la costa, dove si susseguono aree di interesse paesaggistico e faunistico, la cui tutela è affidata al National Trust, organizzazione potentissima a cui sono iscritti moltissimi britannici, che non esitano a sborsare una quarantina di sterline all’anno per proteggere monumenti, giardini, coste, palazzi e tesori assortiti.

Lontano lontano, la Statua della Libertà

Lontano lontano, la Statua della Libertà

È interessante osservare come la comune origine celtica abbia lasciato tracce importanti nella toponomastica di questa zona e del suo dirimpettaio francese: se da una parte abbiamo Land’s End, di fronte c’è il dipartimento di Finistère, dove le due parole significano la stessa cosa, cioè la fine della terra (il nostro latino “Finis terrae”). E anche i francesi vantano una regione della Bretagna che si chiama Cornovaglia. O forse Bretagna e Gran Bretagna non hanno nulla in comune?

Monte San Michele, Mont Saint-Michel o St. Michael's Mount?

Monte San Michele, Mont Saint-Michel o St. Michael’s Mount?

Il massimo l’ho visto questa mattina: di fronte alla località balneare di Marazion c’e un’isola che si può raggiungere a piedi durante la bassa marea. Ricorda in maniera impressionante un isolotto analogo al largo della costa normanna e guarda un po’: uno si chiama St. Michael’s Mount e l’altro si chiama Mont Saint-Michel. E un po’ di fantasia mai?

Ma dicevamo di Land’s End, che è anche, senza alcun dubbio, una fiorente impresa commerciale. Da un lato c’è una accozzaglia di negozi-trappola per turisti che vendono souvenir e prodotti gastronomici locali (sic), ma almeno sono nascosti alla vista da un bel muro bianco che non stona col paesaggio. Dall’altra c’è un albergo assolutamente valido, che offre un tocco di classe notevole: il letto delle camere che si affacciano sull’oceano è alto almeno un metro e venti e solo svegliandomi questa mattina, dopo aver rischiato di precipitare al suolo per tutta la notte, ho capito il perché: si può fare colazione appoggiando la schiena al cuscino e da lì, come novelli satrapi, si è più alti della finestra e si vede il mare in tutta la sua immensità. A queste condizioni, si perdona anche il fatto che il caffè che ti portano è semplicemente spaventoso.

Distanze in miglia

Distanze in miglia

Poi c’è il massimo del kitsch, a cui però nessuno, turista o ciclista che sia, ha la forza di opporsi: è la foto di rito davanti al palo che dà la distanza fra Land’s End e qualsiasi località al mondo. Ciò è possibile perché, dietro lauto compenso, il fotografo ufficiale compone il nome e la distanza della località che si vuole, scatta la foto e la spedisce a casa per posta. Avendo il sottoscritto già sborsato congruo balzello a sua maestà il fotografo, costui, unico autorizzato a scattare foto al palo chilometrico, ha accettato di fare una foto anche con la mia spregevole macchinetta digitale, e il risultato eccolo qua.

“Last, but not least, c’è un mini museo, che racconta ed enfatizza la storia dell’ End to end, cioè del viaggio che ho appena cominciato anch’io. Come museo non vale un fico secco, però serve per far capire una cosa che avevo sottovalutato, e cioè come questo viaggio sia diventato con il passare degli anni una vera e propria istituzione del paese, una specie di rito iniziatico per alcuni, una sfida con se stessi per altri e una occasione di fare beneficenza per la stragrande maggioranza dei partecipanti, che raccolgono fondi per iniziative caritatevoli.

A questo proposito, apro una parentesi per ricordare che, come nel caso del coast-to-coast americano del 2010, anche questa mia pazzia attuale vuole essere una maniera per aiutare Ruvuma onlus, una associazione di volontari che gestiscono un ospedale in Tanzania.

 

Diamo una mano!

Diamo una mano!

Spero che una breve visita al suo sito www.ruvuma.it servirà per sensibilizzare i lettori. E incoraggio chi vuole andare oltre a visitare la pagina delle donazioni (http://www.ruvuma.it/w/donazioni/)

Ma dicevamo del viaggio. Quella creatività che i Britanni di ieri come di oggi hanno lesinato nel trovare nomi geografici, è stata invece usata a piene mani per completare il percorso che unisce la Cornovaglia alla Scozia, ovvero la coda e la punta delle orecchie di quel coniglio che si riesce ad immaginare osservando, appunto con un po’ di fantasia, i contorni dell’isola. La traversata è stata fatta in tutte le maniere e con tutti i mezzi di locomozione possibili ed immaginabili e il libro Guinness dei record è pieno di casi omologati. Segue carrellata:

Porto la porta al porto. Poi torno.

Porto la porta al porto. Poi torno.

– A piedi (un mesetto)
– A piedi con una porta di legno sulle spalle
– A piedi completamente nudi
– Di corsa (9 giorni e due ore)
– Di corsa, ma correndo voltati all’indietro.
– In bicicletta (44 ore, 4 minuti e due secondi).
– In tandem, in monociclo, in triciclo e in pedalò
– In carrozzina da invalidi e in skateboard
– in moto, auto elettrica e ruspa Caterpillar
– Usando solo mezzi pubblici e in autostop
– Colpendo una pallina da golf lungo tutto il percorso, con annesso record di buca più lunga del mondo
– Spingendo un carrello della spesa
– Spingendo una lavatrice su ruote…

La fortuna è cieca, ma la sfida ci vede benissimo

La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo

Basta così?  O vogliamo parlare anche di quel poveretto che  a 500 metri dall’arrivo fa il fenomeno, carica la fidanzata sul manubrio, cade e non finisce la sua corsa perché finisce all’ospedale con un bel trauma cranico?

Ogni anno, le strade che Giulio Cesare progettò, Vespasiano costruì e Adriano difese si riempiono di umanità varia ed eventuale, che cerca con tutti i mezzi la consacrazione: uomini, donne, vecchi, giovani, bambini, professionisti, attori, atleti, nani, ballerine, celebrità ed emeriti sconosciuti. Sono stati segnalati anche UFO e legionari romani.
È giunta l’ora di mettere un po’ d’ordine.

Centurione Panzio Pelato, a rapporto!

La storia si ripete

La storia si ripete